Scopriamo assieme Wayne Young, il sales and marketing manager dei vini Bastianich, attraverso quest’intervista.
Ma prima vogliamo raccontarvi come siamo giunti a realizzarla. Cosa fanno i giovani blogger alle prime esperienze? Tentano la fortuna, anche grazie a un pizzico di faccia tosta! Quindi, per non essere da meno, qualche settimana fa ho scritto una e-mail a Wayne Young, incontrato all’evento 250 vini, per chiedergli un’intervista sulle sue origini, su come è arrivato qui in Friuli da New York, sul suo rapporto di stretta amicizia con Joe Bastianich.
Dopo qualche giorno di attesa e l’abbandono dell’entusiasmo iniziale, eccola lì, la piccola bustina che segna un messaggio da leggere: Wayne acconsente volentieri a concederci un’intervista, proprio al ristorante di Joe aperto nel cividalese, l’Orsone.
E davanti a un bicchiere di Plus (il Friulano Bastianich, e cos’altro sennò?), un po’ intimiditi ma molto curiosi iniziamo le domande. Wayne ci mette subito a nostro agio con una gentilezza e disponibilità uniche. Alla fine ci confiderà pure di essere stato sorpreso e lusingato dalla nostra richiesta: “Ma allora sono famoso anche io!”.
Qual è il percorso che ti ha portato da New York alla frazione di Gagliano in Provincia di Udine?
Effettivamente è una storia un po’ strana. Nel 1992, ho terminato il mio corso di studio di 3 anni al WSET, una delle 2 scuole di sommelerie di New York. La scuola è molto focalizzata sull’aspetto commerciale, sulla degustazione e sul marketing del vino e poco sul servizio, quindi la mia esperienza nel mondo della ristorazione era pressoché nulla. Malgrado questo, grazie ad un’amicizia in comune, ho fatto un colloquio con Joe che mi ha affidato l’incarico di beverage manager del ristorante “Becco” che aveva appena aperto.
La vita lavorativa al ristorante è molto stressante e i tempi sono completamente sfasati rispetto a tutti gli altri lavori: ti ritrovi a lavorare quando gli altri sono in giro e quando puoi uscire gli altri lavorano. Nella ristorazione a New York c’è poi il grosso problema dell’alcolismo: quando finisci di lavorare alle 2 di mattina ogni giorno e hai orari sballati è fin troppo facile esagerare con l’alcol. Dopo essermi reso conto che questa vita non mi piaceva, e neanche quella dietro a una scrivania per la rivista Wine Spectator, ho detto a Joe che volevo cambiare. Avevo allora varie possibilità ma tutte essenzialmente legate a rimanere Stati Uniti. Era il periodo in cui Joe aveva appena comprato una cantina qui in Friuli e mi chiese se volessi andare ad occuparmene io. Sinceramente non sapevo neanche dov’ era il Friuli, non parlavo una parola d’italiano e non essendo un enologo non avrei potuto curare la produzione del vino. Ero veramente indeciso. Ne parlai allora con la mia ex-moglie con cui avevo ancora un ottimo rapporto di amicizia, e lei mi disse: “Se non vai, sei un idiota!” Presi allora il biglietto aereo e arrivai in Friuli nel settembre del 1998.
All’inizio fu dura. Il primo giorno di vendemmia mi presentai con un look americano che non era molto adatto al lavoro in cantina: t-shirt, jeans e sneakers. Ogni giorno tornavo a casa con i piedi completamente zuppi. Solo dopo qualche settimana, perchè non avevo il tempo per farlo, mi comprai delle scarpe più adatte.
Dopo quella vendemmia ne feci altre 5, vivendo sempre le stesse grandissime emozioni e lo spirito d’attesa che solo questo lavoro ti sa dare.
Che grandi diversità trovi tra il mondo del vino in America e in Friuli?
Ormai in America tutti fanno vino, l’unico stato in cui non c’è produzione di vino è l’Alaska! Per questo motivo la cultura del vino sta crescendo rapidamente anche se in modo diverso dall’Europa. Negli Stati Uniti tanti ancora interpretano il vino come un cocktail da bere dopo lavoro, senza veramente dargli l’importanza che meriterebbe.
Anche i vini in sé sono molto differenti. Prendiamo ad esempio i vini californiani: lì l’uva matura in un clima ben più caldo e secco del nostro in Friuli: troviamo quindi sapori molto fruttati e il vino è complessivamente pesante. Assaggiando un Sauvignon californiano, dopo averne bevuti di europei, è un po’ come bere della marmellata da tanto corpo ha. In Friuli invece si fanno degli ottimi bianchi freschi (acidi), con aromi in equilibrio e tanta, tanta eleganza. E io li adoro perché sono un “acid freak” (n.d.r., un maniaco del gusto acido). Per questo mi piacciono molto i Riesling e gli Chablis ma anche diversi vini austriaci. In Friuli adoro il Terre Alte di Felluga, ma anche i bianchi di Venica sono molto interessanti. Si è capito che sono un bianchista? Per l’80% bevo vino bianco, anche perché secondo me per apprezzare un vino bianco bisogna per forza di cose essere più sensibili.
Qualche tempo fa, la critica coreana Jeanie Cho Lee è venuta qui a visitare la cantina Bastianich e mi disse una frase che ricordo ancora: “Bere un vino rosso è come ascoltare un’orchestra che suona una sinfonia, bere un bianco è come ascoltare un cantante a cappella.” Io sono perfettamente d’accordo con lei.
Cosa ti manca dell’America? E cosa invece ti manca del Friuli quando sei là?
Dell’America mi manca senza dubbio il cibo etnico. Pensate che per trovare del buon indiano spesso vado fino a Padova o fino a Trieste solo per mangiare del sushi. Adoro il sushi, sono capace di svegliarmi di notte e sentire il bisogno di sushi, non passa settimana che non ne mangi. Anche a Udine comunque si può trovare del buon sushi e c’è un buon ristorante messicano.
Quando sono in America non mi manca invece il cibo italiano, soprattutto perché lavoro per una delle più importanti e famose catene di ristorazione italiana, quindi non ho difficoltà a trovarne di buono. Quello che in assoluto mi manca di più è la possibilità di andare in osteria, starmene tranquillo senza vivere lo stress che c’è a New York e godermi un buon vino a 2-3 euro al calice. O anche meno se è quello della casa. Sapete quanto costa un bicchiere di vino a NY? Mai meno di 12 dollari.
Com’è il rapporto tra il vino e i giovani secondo te?
Negli Stati Uniti i giovani si stanno avvicinando molto al vino, un po’ perché fa “cool” e un po’ perché veramente lo apprezzano ma soprattutto ne sono molto meno intimiditi rispetto al passato. Rimane però il problema che la scelta del vino è fatta solo in base al brand: Bordeaux o Pinot grigio per esempio sono entrambi brand. Se vai in un’enoteca a NY su 20 vini italiani in vendita, 18 sono Pinot grigio. La gente conosce quello e vuole quello. Proprio per questo motivo mi sembra stupido insistere a creare sottozone geografiche di produzione che non fanno altro che confusione: bisogna semplificare per far conoscere di più e meglio certi vini.
In Italia invece non mi pare che ci sia un forte incremento di passione dei giovani per il vino, piuttosto per la birra. È incredibile il numero di birrifici artigianali che stanno nascendo solo qui in Friuli. Secondo me in futuro sarà ancora più intenso questo movimento e la birra acquisterà ancora più valore.
Qual è la conoscenza del Friuli in America?
Purtroppo in America pochissimi sanno dov’è e cos’è il Friuli. Sicuramente grazie a Joe e a sua mamma Lidia la conoscenza è aumentata ma anche grazie a Luca Manfé (friulano, ultimo vincitore di Masterchef USA). È per questo che penso che aver cambiato il nome del Tocai in Friulano, sia positivo, non negativo. In America, quando si parla di Tocai viene subito in mente un vino dolce, di certo non il bianco secco friulano. Ma si sa, quando qualcosa viene imposto, anche se positivo, è sempre difficile da accettare…
Siete curiosi di sapere cosa altro ci ha raccontato Wayne? Allora non perdetevi la seconda parte dell’intervista, in cui ci racconterà del rapporto con Joe e tanto altro!
L’immagine in copertina è una rielaborazione grafica della foto di Aleksandar Opacic