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Intervista a Zerocalcare

Creato il 05 dicembre 2013 da Temperamente

Di Angela Pansini

zerocalcare
Nel corso dell’ultimo Lucca Comics & Games ho avuto il piacere di incontrare uno degli autori di fumetti più popolari del panorama italiano: Michele Rech, alias Zerocalcare.

Ho potuto rivolgergli qualche domanda all’interno della chiassosa arena dello stand della BAO Publishing, casa editrice d’eccellenza con cui ha già pubblicato La profezia dell’armadillo, Un polpo alla gola e Ogni maledetto lunedì su due.

Mentre si concedeva da bravo stacanovista al suo pubblico, fra autografi, sketch, strane richieste dei fan e strette di mano, abbiamo parlato del suo lavoro, del suo punto di vista sul fumetto italiano, dei suoi progetti futuri e, naturalmente, del suo ultimo graphic novel, Dodici.

Il grande successo di pubblico ha fatto di te quello che qualcuno potrebbe definire un autore mainstream. Come concili tanta popolarità con le tue origini underground?

Il solo modo che ho per conciliare questi due aspetti del mio lavoro è di cercare di fare sempre le stesse cose, non modificando ciò che faccio né il modo in cui lo faccio. Quindi, per esempio, continuo a tenere presentazioni all’interno degli spazi occupati e a disegnare locandine per i concerti punk, per le manifestazioni, per l’universo da cui provengo che è quello dei centri sociali.

A proposito del tuo legame con le origini e i temi prevalentemente autobiografici che affronti nei tuoi lavori, già al Napoli Comicon avevi dichiarato che a tuo avviso questo successo è passeggero e destinato a esaurirsi. Ritieni che se questo dovesse effettivamente accadere inizierai a trattare argomenti di più ampio respiro, magari utilizzando la vena allegorica già ampiamente sfruttata sul tuo blog e nei tuoi graphic novels?

Non saprei risponderti al momento. In generale vorrei provare a migliorare come fumettista e imparare a raccontare cose diverse, ma mente nulla per il futuro.

So che questa fase autobiografica avrà una conclusione probabilmente con il prossimo libro – in uscita all’incirca fra un anno, un anno e mezzo –, che quindi potremmo considerare la fine di un ciclo. Non ho idea però di quello che succederà dopo, se avrò qualcuno ancora disposto a pubblicarmi o se addirittura continuerò a produrre graphic novels.

A proposito del prossimo libro cosa ci puoi dire?

È una storia autobiografica, ma oltre me riguarderà anche una parte della mia famiglia e delle generazioni precedenti a quelle del mio nucleo familiare.

Mescolerà sia elementi autobiografici che elementi fantastici, e per questo sarà un po’ la sintesi di elementi presenti nei miei libri già pubblicati, sia in termini di storia lunga che in termini di impegno emotivo. Per questo la sua lavorazione sta richiedendo molto tempo.

In Dodici, invece, è chiaro che il tema dell’invasione zombie è solo un espediente letterario per trattare temi più ampi come quello del senso di appartenenza a una comunità, dell’amicizia, della lealtà.
Hai dichiarato anche che è racconto che hai tenuto a scrivere per non far attendere troppo a lungo il tuo pubblico in vista della pubblicazione del prossimo libro.
Puoi raccontarci qual è stata la genesi di quest’opera?

 È vero, stavo lavorando appunto al libro di prossima uscita, ma mi sono accorto che aveva dei tempi di gestazione molto lunghi e non sarei riuscito a consegnarlo a breve, anche perché avevo bisogno di parlarle con parte della mia famiglia per capire cosa fosse effettivamente possibile raccontare.

Quindi l’idea è stata quella di mettere in pausa quel progetto, che mi impegnava molto anche emotivamente, e realizzare qualcosa che mi rilassasse, anche per cercare di scrollarmi di dosso l’etichetta di ‘bandiera generazionale’ che mi è stata cucita addosso. Quindi raccontare una storia di zombie andava incontro a questa mia esigenza.

Poi, in fase di lavorazione, le cose sono cambiate perché in verità non sono molto bravo a raccontare storie di pura fiction e questo, lo confesso, mi ha messo un po’ in difficoltà. Quindi ho sublimato la parte autobiografica all’interno della narrazione del quartiere, che è diventato un elemento preponderante nella trama, anche rispetto a quanto avevo pensato all’inizio.

Quindi non pensi, in futuro, di raccontare storie legate ad esempio all’universo fantasy o comunque del tutto originali e frutto di pura invenzione, in cui i personaggi non siano ispirati ai tuoi familiari o ai tuoi amici?

Al momento no. Io so raccontare delle cose che mi stanno intorno, anche se questo può sembrare un limite alle mie capacità.

Tu sei un figlio degli anni Ottanta e il tuo lavoro è fortemente influenzato da quella cultura pop appresa quasi per osmosi durante la tua infanzia e adolescenza.
Ritieni che, potendo tornare indietro nel tempo di un paio di decenni, producendo i tuoi lavori così come sono oggi, saresti stato ugualmente capito e osannato dal pubblico?

Lo escludo! Ma c’è anche da dire che il target dei miei lettori è molto trasversale, mi leggono per esempio anche ragazzini che non hanno vissuto gli Anni Ottanta. E per questo ho ancora difficoltà a capire ciò che il lettore medio coglie del mio vissuto quando non è della mia generazione. Quindi non so dare una risposta alla tua domanda, perché un po’ è la stessa che mi faccio io.

Qual è il tuo giudizio sulla situazione editoriale italiana? A tuo avviso un autore, che non sia un emergente, deve puntare sui graphic novels, o piuttosto su prodotti seriali?

Il problema dei prodotti seriali è trovare un editore che li pubblichi. In Italia, a meno che il seriale non sia Bonelli, non funziona; o almeno a me non vengono in mente grossi esempi di seriale che funzioni, che venga ben distribuito e permetta all’autore di viverci. Inoltre si tratta di un impegno continuo e difficilmente praticabile per qualcuno che non sia già all’interno di una casa editrice affermata. Diciamo che è più facile pubblicare graphic novels.

Ma in generale, al momento, nel nostro Paese, bisogna essere davvero molto fortunati a vivere di fumetti. Forse qualcosa si sta muovendo, ma a livello retributivo, con il fumetto, non siamo in una condizione tale da consentire a un autore di vivere dei propri guadagni.

Hai mai pensato di vagliare il mercato estero, per sfuggire a queste logiche distorte?

In questo momento mi sento in una situazione privilegiata, riesco a vivere del mio lavoro di fumettista e non ho bisogno di rivolgermi ad altri editori o a un altro mercato, anche se BAO sta già lavorando a un progetto di adattamento dei miei libri per altri Paesi.

Per un emergente, però, il mercato estero è paradossalmente più facile e redditizio che quello italiano.

Un’ultima domanda: c’è un autore italiano che apprezzi particolarmente o che è per te fonte di ispirazione?

Se parliamo di autori italiani, durante il Lucca Comics & Games 2013 è stato presentato l’ultimo libro di Gipi [unastoria, edito da Coconino Press, n.d.r.], un’opera meravigliosa che ogni appassionato di fumetti dovrebbe avere. Ma non ritengo Gipi una ispirazione, perché è molto più avanti di me in questo lavoro. Personalmente lo ritengo IL fumetto italiano.

Se non parliamo di fumetti, io leggo tantissima narrativa americana e giapponese e quasi nulla di italiano. Ma se dovessi consigliare qualche autore italiano direi il collettivo Wu Ming, che considero l’eccellenza italiana in campo letterario, anche se mi piace molto anche Sandrone Dazieri.


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