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Intervista ad Aldo Kaslowski

Creato il 06 febbraio 2013 da Istanbulavrupa

Intervista ad Aldo Kaslowski(pubblicato ieri su Develop.med dell’Istituto Paralleli)

Dalla Polonia, passando per il Piemonte, la famiglia Kaslowski si trasferì nel 1878 nell’Impero Ottomano, chiamata dal sultano Abdülhamid II. DevelopMed intervista Aldo Kaslowski, businessman e grande conoscitore ed esperto protagonista della realtà imprenditoriale turca e italiana in Turchia.

Aldo Kaslowski è un italo-istanbuliota, dalla storia personale complessa e dalla carriera imprenditoriale prestigiosa. La sua famiglia viene dalla Polonia; i suoi antenati si stabilirono in Piemonte qualche secolo fa. Poi suo nonno, ingegnere ferroviario, venne chiamato dal sultano Abdülhamid II – nel 1878 – per occuparsi dei collegamenti via treno dell’Impero ottomano. I Kaslowski ci sono rimasti, in quella che è poi diventata nel 1923 la Turchia. E oggi sono arrivati alla quinta generazione, mantenendo la doppia cittadinanza turca e italiana.

Aldo è un businessman affermato, a capo della Organik che produce prodotti chimici nei due impianti di Istanbul e Rotterdam, per poi esportarli in tutto il mondo. Ha anche ricoperto cariche ai vertici di molti organismi imprenditoriali. Attualmente, per esempio, è vice-presidente per l’internazionalizzazione delle imprese di Tüsiad (l’organizzazione degli industriali turchi), ed è molto attivo anche in seno alla comunità italiana, come vice-presidente della sezione eurasiatica della Confederazione degli imprenditori italiani all’estero e come membro del direttivo della Società operaia di mutuo soccorso di Istanbul. Un profondo conoscitore ed esperto protagonista della realtà imprenditoriale turca e italiana in Turchia, su cui offre – degli uni e degli altri – giudizi molto positivi.

Il posto giusto
Aldo Kaslowski definisce la Turchia “il posto giusto” per chi vuole investire, perché gli imprenditori turchi “sono allenati a fare affari” e hanno una gran voglia di ottenere risultati concreti. I dati macroeconomici che cita – anche in prospettiva – sono eccellenti e incoraggianti. “Crescita” e “dinamismo” sono sempre al centro delle sue riflessioni. A suo avviso, il segreto principale di questo successo è il legame forte con gli Usa e l’Europa, da cui ancora dipendono – nonostante la crisi – la metà del suo interscambio e i più importanti trasferimenti di tecnologie; anche perché la Turchia, rispetto a tutti gli altri paesi emergenti, ha il grande vantaggio della vicinanza geografica e dell’essere inserita nel contesto comunitario attraverso l’unione doganale. Certo, per assicurarsi ulteriori e alternativi mercati rispetto a quelli tradizionali, ritiene necessaria una politica estera di buoni rapporti con tutti. “Ci sono poi contraddizioni, come nel caso di Siria e Israele”, afferma Kaslowski. In ogni caso, nonostante guardi anche altrove e soprattutto verso i paesi musulmani, “il cuore della Turchia batte in Occidente”.

L’imprenditore nutre qualche dubbio, per esempio, sull’approccio strategico verso l’Africa. Ne apprezza la lungimiranza e le finalità umanitarie, “ma poi – si chiede – che cosa vendiamo loro?”. Nel senso che il salto definitivo dell’economia turca verso il club dei 10 paesi più ricchi per Pil – obiettivo dichiarato del governo Erdoğan nel medio periodo – passa soprattutto per la produzione e l’esportazione di beni con prevalente contenuto tecnologico e ad alto valore aggiunto. Beni che – almeno al momento – sarebbe molto difficile piazzare in paesi mediamente poveri. Più in generale, Kaslowski ritiene che la politica estera dell’Akp sia profondamente influenzata – ancor più in questa fase di boom economico (circa 3% di crescita nel 2012, 4-5% previsto per il 2013: con un incremento continuo delle esportazioni) – dal fabbisogno energetico, che nonostante la svolta nucleare e un timido avvicinamento alle fonti rinnovabili, continuerà per molto tempo a dipendere da olio e gas naturale provenienti dalla Russia, dall’Asia centrale e dai paesi del Golfo Persico, quindi. Tuttavia, anche in questo caso, la geografia è di grande aiuto: la penisola anatolica è l’ideale punto di transito di oleodotti e gasdotti verso l’Europa e l’Occidente, e questo farà della Turchia il paese-chiave per la distribuzione.

Mille imprese sono poche
Kaslowski è soprattutto felicissimo che l’Italia abbia ormai scoperto la Turchia “come luogo per investimenti”, ma considera le circa mille imprese italiane presenti poche rispetto alle potenzialità. “Cresceranno sempre più – afferma Kaslowski – seguendo le success stories di quelli che sono già arrivati”. Come per esempio la Ferrero, impegnata nella costruzione di un impianto tecnologicamente avanzato, per poi esportare in tutta la regione (“un mercato di 400 milioni di abitanti, che la Turchia vuole trasformare in una grande area di libero scambio”). Le imprese italiane trovano, infatti, terreno fertile: da una parte, “il sistema produttivo turco è anch’esso basato sulle piccole e medie imprese”; dall’altro, “gli italiani sono tradizionalmente ben voluti e per loro esiste una vera e propria corsia preferenziale”. Ci sono anche problemi, ovviamente, come per esempio il volume enorme dell’economia sommersa. Il nuovo codice commerciale entrato in vigore il 1° luglio 2012, che rende la governance delle imprese sempre più trasparente, “è però in grado di ridurla”. Nuovo codice commerciale che, inoltre, “può favorire le joint-ventures italo-turche”. L’altro problema, secondo Aldo Kaslowski, concerne le regole sui brevetti e sui marchi “la cui applicazione non è sempre garantita e uniforme”.

Per continuare ad attrarre e a crescere, la Turchia “deve fornire assicurazioni alle imprese che portano tecnologie” dalle quali dipende il futuro.

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