Per una volta, arrivo al Traffic a un orario decente e mi gusto il concerto dei Southern Drinkstruction da sotto il palco. Era un po’ che non incrociavo i romani dal vivo e mi sono divertito anche stavolta. Death’n’roll grezzo e panteroso, sudato e pestone come si addice a testi che vedono nelle distillerie la terra promessa e nell’ubriachezza molesta la redenzione. Il chitarrista Pinuccio si è fatto una chitarra customizzata a forma di logo della band. La gente non è ancora moltissima ma si diverte. Subito dopo ci sarebbero gli Eyeconoclast che mi incuriosiscono parecchio. Drones of the awakening è stato uno dei dischi death metal più interessanti usciti dall’Italia negli ultimi due-tre anni ma tocca uscire e beccare Donald Tardy per l’intervista che potete leggere qua sotto.
Gli rubo una ventina di minuti scarsi, che tra un po’ tocca a loro. Il locale è stracolmo. Stasera scaletta per intenditori. Per festeggiare i venticinque anni di carriera, gli Obituary suoneranno solo brani dai primi tre album con l’aggiunta di qualche anticipazione dal nuovo disco. Partenza in quarta con estratti da Slowly We Rot che non si sentivano dal vivo da chissà quanto. Chicche al cianuro come Gates of Hell e Bloodsoaked. I classiconi obbligatori da Cause of Death. E ben cinque estratti da The End Complete. Ce n’è abbastanza da mandare in visibilio anche chi, come il sottoscritto, dal loro ritorno sulle scene non si è mai perso una loro calata in terra italica. Terry Butler è una presenza ormai familiare e sembra stia con loro da un’eternità. Il nuovo chitarrista Kenny Andrews se la cava benissimo e la voce di John Tardy è il solito gorgoglio inumano da Grande Antico. Sempre una certezza, insomma.
Sarà stata almeno la settima o l’ottava volta che vedo gli Obituary dal vivo. La prima era stata esattamente dieci anni fa, a Reggio Emilia. Primo tour di reunion con la formazione storica ancora intatta. Un massacro. Frozen in Time non era ancora uscito. Anche in quell’occasione intervistai Donald, che è sempre il classico bravo ragazzo del sud diretto e alla mano. Il batterista della storica band floridiana ci ha parlato del nuovo album, della campagna di crowdfunding per finanziarlo, di che fine abbiano fatto Frank Watkins e Ralph Santolla e del perché Allen West non tornerà mai più…
Avete finanziato il nuovo album tramite Kickstarter e la raccolta fondi è stata un successo. Avevate fissato un obiettivo di 10 mila dollari e ne avete raccolti 60 mila. Come vi è venuta l’idea? Peraltro ha molto senso: in tempi in cui sono rimasti in pochi a comprare musica su supporto fisico, avete chiesto ai fan di dimostrare di essere veramente interessati a un nuovo disco…
Dieci o vent’anni fa una band aveva bisogno di una casa discografica che le prestasse il denaro per registrare il disco per poi rifarsi sulle vendite prima che il gruppo venisse pagato. La triste realtà è che la band avrebbe incassato solo una frazione dei ricavi e non era esattamente il massimo della vita. Nei primi anni ’90, prima di internet, gli album vendevano ancora molto bene perché la gente non aveva altra scelta che acquistarli. Oggi internet ha cambiato tutto: si può ascoltare il disco in streaming gratis o scaricarlo senza pagare e le vendite dei dischi se ne sono andate completamente giù per lo scarico. Non sto dicendo nulla di nuovo e non ci lamentiamo, non si piange sul latte versato. Internet ci ha dato il potere di non doverci inginocchiare davanti a una casa discografica, ci ha rafforzato e, come hai detto tu, ha consentito ai fan di mostrare i loro colori. Se veramente volevano un album, avrebbero dovuto aiutarci e lo hanno fatto. Siamo molto fieri delle persone che ci hanno finanziato: ci hanno dato la possibilità di andare da una casa discografica e discutere un vero contratto di partnership. Non siamo una semplice band sotto contratto con un’etichetta ma siamo partner. Il che significa dividere con la Relapse i costi di fabbricazione, di stampa, di distribuzione e di marketing e, alla fine, dividere anche i guadagni. Non per tutti i gruppi, magari, ma per noi il futuro è questo. Le etichette continueranno a esistere ma credo che gli Obituary stiano dimostrando che esiste anche un modo diverso di fare le cose rispetto a quello tradizionale. Anche perché quello tradizionale non sta funzionando più.
Se non sbaglio, siete il primo grande gruppo death metal a ricorrere al crowdfunding…
Sì, non siamo stati il primo gruppo in assoluto ma credo siamo stati il primo gruppo death metal non solo ad avere l’idea ma anche a investirci davvero. Abbiamo raccolto un sacco di soldi perché abbiamo dato un sacco di roba fica a chi ci ha finanziato. Roba importante, roba storica. I piatti con cui abbiamo registrato Cause of Death, il rullante che ho utilizzato su World Demise… Chi ha voluto esserne parte, ha messo le mani su roba veramente fica.
Ci presenti il vostro nuovo chitarrista, Kenny Andrews? È praticamente uno sconosciuto, perché proprio lui?
È un amico di vecchia data. Lo conobbi quando suonavo la batteria per Andrew WK. All’epoca faceva parte del suo staff tecnico. Passò dal ruolo di roadie a quello di chitarrista nel gruppo di Andrew semplicemente perché è un bravissimo ragazzo e un buon chitarrista. Per gli Obituary era perfetto: è un metallaro, ha studiato quel che gli Obituary significano per i fan, ha studiato gli assoli di James Murphy e si è veramente applicato su quello che era stato il lavoro di Allen West con il gruppo. Credo che stasera te ne accorgerai e te ne accorgerai soprattutto quando ascolterai il nuovo album. Ken è il perfetto incrocio tra Allen e James. Sembra quasi una stronzata ma è veramente così, non sto cercando di renderlo interessante. Era il pezzo mancante del puzzle: ora questa è e sempre sarà la band.
State suonando dal vivo alcuni pezzi che finiranno sul nuovo disco. Kenny ha partecipato alla stesura?
Ha contribuito al lavoro in studio. Io, Trevor Perez e mio fratello continuiamo a scrivere tutta la musica. La cosa buona di questo album e che ce la siamo veramente presa comoda. Ci abbiamo messo letteralmente anni a scriverlo, quindi, una volta in studio, c’erano pezzi vecchi di 3 o 4 anni e altri sui quali stavamo ancora lavorando. Ken ci ha dato la sua opinione in merito, ci ha aiutato, ci ha dato idee fresche e, soprattutto, ha preso quel che io e Trevor avevamo scritto mettendoci qualcosa di suo, armonie, roba veramente fica. È stato estremamente facile lavorare con lui, nonostante fosse la sua prima volta in uno studio di registrazione. Aveva già suonato con delle band in passato ma era la prima volta che incideva un disco.
Sapete già come sara intitolato?
Sì, si chiamerà Inked in Blood. La copertina è finita, il master è pronto e la campagna pubblicitaria è stata preparata.
Uscirà in autunno?
Credo a fine ottobre, verso Halloween.
Un paio di anni fa vi vidi con una formazione a quattro: Ralph Santolla se ne era appena andato e non avevate ancora Kenny a bordo. Da fan, devo dire che, senza gli assoli, c’era decisamente qualcosa che mancava. Perché decideste comunque di partire in tour con un solo chitarrista?
Quel tour fu organizzato molto in fretta. Avremmo potuto chiamare qualcuno per riempire il buco ma sarebbe stato filmato e registrato e ci avrebbero chiesto per i dieci anni successivi chi fosse quel tizio. Le cose più importanti degli Obituary sono il groove e la voce di John, quindi anche in quattro avrebbe funzionato. Sapevamo che sarebbe mancato qualcosa ma dovevamo guardare avanti e aspettare che Ken fosse pronto. All’epoca Ken aveva già accettato di entrare negli Obituary ma, dato che in quel momento stava lavorando come tecnico della chitarra per alcune band molto grosse, ci chiese un anno di tempo. Gli dicemmo, ok, tra un anno sarai dentro e aspetteremo. Sapevamo che volevamo lui e avemmo pazienza.
Cosa andò male con Ralph?
Il problema principale era lo stile. Ralph era così tecnico… Su Darkest Day se la cavò bene ma, riascoltando quel disco, devo dire che non si integrava al 100%… Cozzava un po’ con quello che era il nostro stile, tutto qua. Siamo ancora molto amici, ci sentiamo tutti i giorni e scriviamo ancora musica insieme, però.
Concordo, non è decisamente il mio disco degli Obituary preferito. Alcuni pezzi non sono male ma certi assoli non c’entrano veramente nulla…
Credo che tutti i nostri fan concorderebbero. Ci sono alcune cose in quel disco che mi piacciono molto ma la miglior chitarra possibile per gli Obituary era Allen West, i suoi assoli erano perfetti. James Murphy era un po’ a metà tra Allen e Ralph. Era tecnico e quasi troppo pulito per un nostro disco. Erano gli anni ’90, 25 anni fa, non credo che James sarebbe durato molto con noi, anche se avessimo fatto altri dischi insieme…
Beh, con James Murphy avete inciso Cause of Death, quello che resta forse il vostro album più amato…
Sì, facemmo un disco splendido con lui. James arrivò davvero all’ultimo momento e suonò assoli su brani che non aveva nemmeno mai sentito prima di allora, fu meraviglioso quello che riuscì a fare su Cause of Death.
Sei ancora in contatto con Allen, che fu arrestato l’anno scorso dopo che la polizia gli aveva trovato in casa un laboratorio di crystal meth?
No. So che oggi è un uomo libero è che è uscito di prigione. Nessuno è stato in contatto con lui da allora, spero che sia lui a trovare me. Sa dove vivo, sa dove vive mio fratello e spero che si faccia vivo lui.
Secondo te, perché non è mai riuscito a trovare la motivazione per lasciar perdere gli stravizi e concentrarsi sulla band?
Allen non è più in grado di reggere un tour e questo è il motivo per cui se n’è andato. Non ha il senso dell’organizzazione e l’impegno necessari. Stare sul palco è facile, stare sul tour bus, in hotel e così via non lo è affatto. Devi saperti organizzare, altrimenti farai uscire di testa gli altri membri. Fu quello che accadde durante l’ultimo tour con lui: la sua mancanza di professionalità e di organizzazione ci mandò al manicomio.
Avete provato a fare pressione su di lui perché si desse una regolata e magari riuscisse a tornare?
Certo che ci abbiamo provato ma non funzionerà mai. Un suo ritorno è una prospettiva che non prendiamo nemmeno in considerazione. Conosco Allen da una vita e so che non funzionerà mai.
L’addio del vostro bassista storico Frank Watkins fu assai meno prevedibile. Era quello che aveva il look da impiegato e i capelli corti e oggi sta a 45 anni a suonare con il face painting e le borchie per i Gorgoroth. Insomma, mi auguro che si stia divertendo, però è un po’ bizzarra come faccenda.
Frank se ne andò per ragioni legate al lato economico del gruppo. Spero anch’io che si stia divertendo e, soprattutto, spero stia bene di salute.
Aveva problemi di salute?
Sì ma non ne voglio parlare perché non conosco i fatti appieno. La mia unica preoccupazione è che stia conducendo una vita sana, anche perché ha dei figli. Ora abbiamo Terry Butler e siamo molto fieri di lui: è una parte enorme di questa band, è nostro amico da oltre 25 anni ed è il ragazzo più gentile che tu possa mai incontrare.
Tu e John pubblicherete mai un altro disco come Tardy Brothers?
Abbiamo qualche pezzo da parte ma negli ultimi anni gli Obituary ci hanno tenuto troppo impegnati. È un progetto che mi piace perché adoro suonare la chitarra e scrivere pezzi da solo ed è lo stesso per mio fratello. La roba nuova è ancora più distante dal death metal tradizionale e credo che piacerà soprattutto agli amanti dell’heavy metal vecchia scuola. Sicuramente uscirà un altro disco, in futuro.
Per quanto tempo ancora ti vedi a suonare con gli Obituary?
Per me la musica è vita e andrò avanti finché ce la farò. Non ci siamo mai divertiti tanto come adesso: la musica è tutto, la musica ti tiene giovane, ti tiene di buon umore e ti fa dimenticare il resto del mondo. Suonare la batteria mi tiene in forma e mi rende felice, ed essere felice è la cosa più importante per stare in salute. Non c’è nulla di meglio che suonare la musica che ami dal vivo ed è quello che faccio.
English version