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Intervista alla scrittrice tedesca Nicole C. Vosseler

Creato il 30 giugno 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

Intervista alla scrittrice tedesca Nicole C. Vosseler

Pubblicato da Simona Postiglione Cari lettori,
ogni appassionato lettore sa bene che esistono incontri magici, pagine di cui non ci si può non innamorare, che regalano emozioni uniche e fanno inevitabilmente desiderare di conoscere l’autore e il suo mondo. La luna color zafferano è intriso di magia: una scrittura perfetta e coinvolgente, personaggi delineati dei quali si possono condividere le emozioni, descrizioni di luoghi e avvenimenti che fotografano la storia e consentono di immedesimarsi nelle atmosfere. Un insieme perfetto di avventura, emozioni e amore romantico: un libro appassionante.  

Intervista alla scrittrice tedesca Nicole C. VosselerPubblicato dalla casa editrice Corbaccio la scorsa primavera, è stato scritto dall’autrice tedesca Nicole C. Vosseler che conquista il lettore dalla prima all’ultima pagina con uno stile molto suggestivo. Il suo romanzo permette di calarsi inevitabilmente nei colori, negli odori e nei gusti caratteristici dell’ Arabia, una terra geograficamente non particolarmente distante dalla nostra, ma estremamente lontana nelle tradizioni, pericolosa e affascinante nelle sue atmosfere esotiche. La fantasia si perde nella magia che solo i caldi e sterminati deserti d’Arabia sanno trasmettere. 

La luna color zafferano è un romanzo storicamente accurato, con tutto il fascino delle storie del passato e, soprattutto, delle persone che l’autrice non si limita a tratteggiare: Nicole nutre una vera passione per la ricerca dei dettagli e trapela tutta dal suo raccontare come vivono i personaggi, si manifesta attraverso i loro pensieri, i sentimenti che provano di volta in volta e, in definitiva, dalla loro personale visione del mondo. La luna color zafferano mostra un quadro variopinto e sfaccettato del sud dell’Arabia, ma è anche la storia di una donna  audace, coraggiosa e, alla fine della storia, una donna finalmente libera dalle convenzioni imposte dell’epoca, nell’Inghilterra di fine Ottocento. E’ la luna che Maya e Rasahad guardano incantati, seduti vicini su un mantello nel deserto, mentre imparano a conoscersi, dialogando e raccontandosi l’un l’altro come non hanno mai fatto con nessun altro.
Le stelle sembrano a portata di mano, come se cielo e terra si toccassero. Miriadi di schegge di cristallo scintillanti, in uno sfarzo e in uno splendore
che non ha più niente di terreno, ma sembra di origine divina.
Nicole C. Vosseler è un’autrice ma, soprattutto, è una persona molto disponibile: leggete con attenzione l’intervista che segue perché, a mio avviso, ha regalato a tutti noi che amiamo e seguiamo Diario qualcosa di davvero speciale, raccontandosi con semplicità e generosità.
Enjoy!   

INTERVISTA Cara Nicole, grazie per avere accettato di rispondere alle mie domande: é davvero un piacere presentarti ai lettori del nostro blog Diario di Pensieri Persi! Se sei d’accordo,  inizierei chiedendoti di raccontare qualcosa di te: chi è Nicole C. Vosseler?
R. Sono nata e cresciuta in una cittadina ai margini della Foresta Nera, nel Sud della Germania, ho studiato Letteratura e Psicologia (e fatto vari lavoretti per pagarmi gli studi), e, da alcuni anni, scrivere è la mia occupazione principale. Al momento vivo a Costanza, sul lago Boden, in un quartiere che si chiama “Paradies” e lo è di nome e di fatto, fra il Reno e il confine con la Svizzera. Mi piace lavorare alla sera tardi o di notte, così mentre siedo alla scrivania sento i richiami degli uccelli acquatici sul fiume, i guaiti delle volpi dai campi, e, ora, di maggio, persino il canto dell’usignolo. 
Mi piace viaggiare, mi piacciono i film e l’arte, gli elefanti e le farfalle, la cioccolata e le stelle cadenti e i libri, naturalmente. E il fatto che le mie storie, nate nella minuscola  stanzetta dove scrivo, poi vadano a finire nelle librerie, addirittura tradotte in altre lingue, mi lascia sempre piacevolmente sorpresa.
Intervista alla scrittrice tedesca Nicole C. Vosseler D. Come hai iniziato a scrivere e quali sensazioni ti trasmette la scrittura ? R. Fin da bambina ho sempre trovato affascinante, che ci fossero persone le quali scrivevano tutte quelle storie meravigliose che stavano in mezzo fra una copertina e l’altra dei libri e, ripensandoci, credo di aver desiderato fin da allora di raccontarne a mia volta. I miei primi esperimenti di scrittura erano poesie o racconti brevi, perché all’inizio questo tipo di testi mi veniva più facile che non cimentarmi subito con un intero romanzo. Avevo circa ventitré anni quando cominciai a scrivere l’abbozzo di quello che, di lì a qualche anno, sarebbe diventato la mia prima opera pubblicata, SüdwindeAccanto alle sensazioni dei singoli personaggi nelle varie scene, la principale è la fascinazione che viene dalla storia stessa, una specie di vortice, da cui mi lascio risucchiare fin troppo volentieri. In effetti, ogni giorno, non vedo l’ora di visitare il mondo della storia che sto scrivendo e di trascorrere del tempo coi personaggi. Eppure, a volte ho anche un po’ paura, paura di sbagliare, di avere una bella idea e non riuscire a renderla abbastanza bene, paura anche delle emozioni forti che, prima o poi, in un romanzo vengono fuori. D. Parliamo del tuo romanzo, “La luna color zafferano”: com’è nata l’idea di scrivere questa storia?
R. Maya e Rashad erano con me da tempo, ma è stato solo quando mi sono immaginata Ralph che ho cominciato a cercare un luogo preciso, nel vasto mondo arabo, in cui poter ambientare la loro storia. Un giorno incappai in Aden e nell’epoca dell’occupazione inglese: dà lì, ai Sultanati nell’entroterra la strada è breve, e poi la storia si è sviluppata pezzo dopo pezzo nel corso delle ricerche. Da tempo volevo scrivere di Richard Francis Burton ed è sembrato quasi un destino che la sua storia si incastrasse perfettamente con quella di Maya, Ralph e Rashad – e con quest’ultimo tassello, il romanzo era completo.
D. “La luna color zafferano” è un’appassionante storia d’amore, ma è anche la storia di una donna, Maya, che ha realizzato il sogno che aveva sin da bambina: diventare una donna audace, coraggiosa e libera. Libera di viaggiare nel lontano Oriente ma, soprattutto, dalle convenzioni imposte dall’epoca.  Maya è per molti versi un personaggio attuale: decidere di dare una svolta alla propria vita, rompendo gli schemi imposti dalla società, è possibile? A quale prezzo? R. Maya vive in un’epoca in cui le donne non potevano andare a lavorare per mantenersi, qualcuna poteva fare la cameriera o la governante, ma la maggioranza non lavorava. Le donne, poi, dovevano per forza sposarsi: se non si trovavano un uomo – in certi casi anche solo perché, come nel caso di Maya, una non sembrava abbastanza docile per diventare una brava moglie – continuavano per tutta la vita a dipendere dai genitori o da qualche altro parente. Mi interessava molto rappresentare, grazie a Maya e a sua sorella Angelina, due personaggi e due percorsi di vita differenti. Angelina è il ritratto del suo tempo e non ha nulla in contrario a imboccare la strada che le è destinata, anzi. Non è così per Maya che, incoraggiata dal padre e poi influenzata da Richard, ha una concezione della vita completamente diversa da quella condotta dalla sorella e da quella che la madre si augura per lei. Dal nostro punto di vista moderno, una benedizione, ma, al tempo, piuttosto una maledizione –l’ho pensato spesso durante la stesura del romanzo. Perché in effetti all’epoca era impossibile che Maya potesse condurre la vita che sognava. Nonostante le sue caratteristiche moderne, volevo che Maya restasse comunque una figlia del suo tempo. Perché leggendo attentamente le fonti dell’epoca, ci si imbatte spesso in figure di donne  che hanno, in un modo o nell’altro, rotto con le convenzioni del XIX secolo per condurre una vita autodeterminata, secondo la visione che ne avevano. Certo, erano la minoranza, ma c’erano. Il prezzo da pagare era sempre e comunque una reazione negativa da parte del mondo circostante e questo, in un’epoca in cui i rapporti sociali erano ancor più strettamente intrecciati di oggi, significava essere per forza di cose un’emarginata, se non un’esclusa, e l’impossibilità di rientrare, in seguito, in seno alla società. E come dimostra chiaramente l’esempio di Richard Fracis Burton, questo valeva non solo per le donne, ma anche per gli uomini. Su questo sfondo ho cercato un modo per poter far condurre a Maya la vita che le era più congeniale, in una nicchia che fosse, certo non comunissima, ma possibile. Ed è stato dunque ancora più stimolante dare alla sua storia una forma tale che, alla fine, lei potesse fare la vita che sperava: attraverso la fuga con Ralph, le avventure in Arabia, la vedovanza e, infine, col nuovo inizio in un altro Paese. In tutto questo è decisivo lì’influsso della zia Elizabeth, un modello alternativo rispetto alla madre Martha e alle sue idee conservatrici. Una personalità forte va spesso di pari passo con la solitudine, ci vogliono dunque coraggio e una grande forza interiore per andare per la propria strada, contro tutti gli ostacoli esterni e talvolta anche interni che si pongono davanti. E a volte credo che non sia semplicissimo nemmeno oggi, seppure, ovviamente, le cose siano migliorate rispetto al passato.
D. In generale, oggi, abbiamo tutti una gran paura di esprimere e realizzare i nostri  sogni. Quanto è importante credere in se stessi per riuscirci? Tutto dipende da noi, o é il destino a mescolare le carte?
R. Credo in qualcosa di simile al destino (in ogni caso, in una forza superiore, che la si voglia chiamare il destino, Dio o semplicemente la vita), che vuole il nostro meglio e che ci dà quello di cui abbiamo bisogno per diventare le persone che dobbiamo essere. E credo che tutto quello che  ci succede abbia un senso. Il che però, per me, non significa che dobbiamo rimanere passivi o addirittura che non dobbiamo assumerci la responsabilità delle nostre azioni. Dobbiamo trovare un equilibrio fra ciò che possiamo fare, fra dove dobbiamo tenacemente rimanere, anche contro tutti gli ostacoli, e quello che dobbiamo lasciare che accada. Quello per imparare a distinguere, è un processo che dura tutta la vita, io stessa ci lavoro sempre. Alcune cose, semplicemente, non possono accadere, anche se facciamo di tutto per ottenerle, ma bisogna comunque tentare, quantomeno, anche a costo di fallire.
E i sogni, poi, sono importantissimi – che sarebbe la vita senza sogni?
D. La storia parte da Oxford nel 1853 e nel tuo romanzo avvenimenti e fantasia sono strettamente intrecciati: incontriamo personaggi inventati e persone realmente esistite, le cui gesta hanno un fondamento storico, e troviamo diverse descrizioni di luoghi che mettono in luce un accurato lavoro di ricerca. Ti affascinano le storie del passato?
R. Molto! Trovo il passato affascinantissimo: come le persone all’epoca vivessero, cosa pensassero, cosa provassero, cosa facessero, come si muovessero. 
Ma mi affascina anche il presente perché è proprio il rapporto fra Ieri e Oggi, secondo me, ad attribuire significato allo studio del passato. D. Leggere la “La luna color zafferano” è stato un viaggio emozionante: ho desiderato visitare le terre d’Arabia, di alcune delle quali si conosce ancora poco, soprattutto nell’entroterra della zona meridionale. Dalla vecchia Inghilterra ai deserti più caldi nel cuore dell’Arabia: cosa ti ha spinta a scegliere quest’ambientazione? Cosa ti affascina di più dell’Oriente? R. Non credo ci sia una spiegazione razionale per queste scelte, ci sono invece paesaggi e culture che mi affascinano particolarmente e altre che non mi stimolano. Sono sempre stata molto anglofila: l’inglese è, dopo la mia lingua madre, il tedesco, quella che sento più vicina. L’ambiente culturale inglese mi è sempre andato molto a genio e l’ho sempre apprezzato. Lo stesso vale per l’Oriente e in particolare per la cultura araba. Sebbene la mia conoscenza dell’arabo non vada oltre frasi tipo “il tavolo è grande”, mi piace molto come lingua e mi affascinano i paesaggi e la cultura. La storia antica che, anche guardata con occhio scientifico, ha sempre qualcosa di fiabesco; lo stile di vita, così sensuale e passionale, e il loro senso della bellezza e della poesia. Credo nelle mentalità e quella araba è una in cui mi ritrovo e con cui sento istintivamente di avere un legame.
D. “La luna color zafferano” è la luna che Maya e Rasahad guardano incantati, seduti vicini su un mantello nel deserto, mentre imparano a conoscersi, dialogando e raccontandosi l’un l’altro come non hanno mai fatto con nessuno. Il loro è un sentimento travolgente che nulla, nemmeno anni di separazione forzata, potranno scalfire. Storie d’amore come questa fanno sognare ma oggi accade sempre più spesso di vivere relazioni difficili: cosa ne pensi?
 R. L’idea, oggi così normale, di sposarsi per amore è, da un punto di vista culturale, storico e sociale, ancora relativamente giovane e ha iniziato a diffondersi come ideale comune nel corso del XIX secolo. Sebbene il grande amore sia stato ampiamente giurato e descritto in ogni tempo, prima ci si rassegnava di più alle circostanze e si imparava ad amare il partner che andava bene secondo le norme sociali: tuttavia ci sono sempre state persone che rompevano questo schema e seguivano la voce del cuore ad ogni costo. Viviamo in un’epoca immensamente più libera: rispetto al passato, veniamo in contatto con un numero maggiore di persone, tutti noi siamo più liberi e indipendenti, sia per quanto riguarda la nostra vita, sia perché è più facile costruire e rompere i rapporti. Questa libertà ci dà un’immensa possibilità di scelta del partner, ma fa anche sì che ci rimanga sempre il dubbio che sia quello giusto o se, con un altro, il rapporto non sarebbe stato più bello, emozionante, sicuro, duraturo etc. Certo è difficile conciliare l’ideale del Grande Amore con il tran tran quotidiano – un quotidiano che gli eroi dei romanzi non hanno e di cui comunque non vorremmo leggere. Perché l’ideale può trasformarsi in una trappola quando, dopo un po’ di tempo, fra piatti da lavare e documenti per le tasse, del grande amore travolgente sembra non rimanere nulla. Eppure sono convinta che, nonostante tutto, quella che viviamo sia un’epoca piena di romanticismo. Se ci guardiamo intorno, film, serie TV, libri e riviste, tutti parlano d’amore: come trovarlo, come tenerselo, come mantenerlo vivo. Il che crea forse nuovi problemi, portandoci a paragonarsi di continuo con quei modelli, più o meno coscientemente, e a chiederci se il nostro rapporto sia ancora abbastanza bello, eccitante e fantastico. Insomma oggi l’amore è una tematica fondamentale. Quando ci si trova a parlare in confidenza con qualcuno, indipendentemente dall’età, il discorso va prima o poi, inesorabile, a cadere sull’amore e spesso sulla speranza di trovare il Grande Amore. E quelli che l’hanno trovato raccontano sovente bellissime storie su come si sono conosciuti, sulle pazzie che hanno fatto per trovarsi e stare insieme. Oggi è del tutto normale che uno dei due cambi città o perfino nazione per raggiungere l’altro e anche i rapporti fra persone di culture ed età diverse son più frequenti rispetto a qualche secolo fa. Forse è questa la difficoltà del nostro tempo: che il romanticismo è diventato qualcosa di quotidiano. E bisogna dunque stare attenti o si rischia di non riconoscerlo più.  
D. Quali ricerche hai fatto per scrivere “La luna color zafferano”, e quali letture ti hanno ispirata?
R. Già molto prima di scrivere questo romanzo mi ero documentata approfonditamente sulla persona di Richard Francis Burtons, la sua vita, le opere, i viaggi. Poi ho fatto molte ricerche sulla città e l’università di Oxford a metà del XIX secolo, su Aden quando batteva bandiera britannica e sulla cultura e lo stile di vita delle tribù beduine in Arabia: in tal senso mi sono state utilissimi vecchi e nuovi racconti di viaggio, così come cartine, fotografie e disegni antichi. Al di là delle letture fatte per documentarmi, fra tutti i libri consultati prima e durante la stesura del romanzo,uno soprattutto mai ha influenzata molto:  Il paziente inglese  di Michael Ondaatje. Sebbene per lo più si svolga in tutt’altro luogo e in un’altra epoca e racconti anche una storia completamente diversa, è lì che ho trovato lo stato d’animo di cui avevo bisogno per scrivere La luna color zafferano.

D. In Italia sono stati pubblicati fin’ora solo due tuoi romanzi: quello di cui parliamo oggi e Il cielo sopra Darjeeling, ma hai pubblicato in patria già diversi romanzi. C’è la speranza di leggere presto nuove storie qui da noi?
R. Lo spero anch’io con tutto il cuore! Già mi auguro che entrambi i romanzi che pubblicherò quest’estate in Germania trovino presto la strada per l’Italia!
D. La traduzione dall’ordiginale tedesco della “La luna color zafferano” é stata curata da Alessandra Petrelli che ha, a mio avviso, fatto un ottimo lavoro: quanto è importante una buona traduzione secondo te?
R. La qualità della traduzione è, naturalmente, essenziale! Da un lato deve lasciare intatto lo stile tipico dell’autore, la “voce” del romanzo, dall’altro rispettare le particolarità della lingua d’arrivo. Non parlo italiano ma riesco a leggerlo e a capirlo bene e sono molto soddisfatta del lavoro della signora Petrelli. A mio parere il testo italiano si legge benissimo eppure l’atmosfera e il suono sono esattamente quelli del libro che ho scritto.


D. Cosa ne pensi dei social media? Pensi che possano essere in qualche modo utili a uno scrittore?
R. Se i social media abbiano ora un valore economico, in termini di pubblicità per aumentare le vendite... in effetti non ci ho mai riflettuto, anche è innegabile che abbiano questo effetto.
Fin da quando pubblicai il secondo romanzo in Germania, seguo regolarmente i gruppi di lettura di diversi forum letterari. Mi emoziona tantissimo scoprire ciò che i lettori pensano dei miei romanzi, su cosa riflettono, cosa sentono, quali domande si pongono e mi piace anche molto parlare un po’ del mio lavoro e magari contribuire dando informazioni aggiuntive sul background delle storie. Tutto questo rende il lavoro dello scrittore più vivo, altrimenti ci limiteremmo a mandare un libro nel mondo, che, a parte qualche recensione qua e là, non ci restituisce niente. È invece molto più bello avere uno scambio diretto coi lettori e spero che anche per loro sia un’esperienza gradevole. Credo addirittura di approfittarne per il mio lavoro, perché così raccolgo informazioni sul modo in cui ciò che scrivo viene poi recepito dai lettori e questo mi aiuta molto quando lavoro a un nuovo libro. Facebook è, per me, da un lato, un metodo aggiuntivo al mio sito internet per informare i lettori delle novità, dall’altro, anche un’altra possibilità di espressione artistica, attraverso citazioni, foto, video... e mi diverte, ecco tutto. La cosa migliore in assoluto dei social network, secondo me, è il contatto coi lettori, in Germania e non solo. Sono curiosa di sapere chi mi legge, come si trovano coi miei libri e mi piace, viceversa, che i miei lettori imparino a conoscermi un po’ e vedano come vivo e lavoro e cosa mi interessa. In questo senso i social media sono di certo favolosi! 

D. Leggi gli ebook? Nella diatriba vince l’elettronicosopravvive la carta, da che parte stai?
R. Non credo che si tratti di un aut aut, e che si debba scegliere per forza una parte. così come non credo che i libri cartacei scompariranno perché sono convinta che per molte persone la lettura di un libro sia anche un’esperienza sensoriale. Che poi è il motivo per cui io non mi sono ancora comprata un lettore e-book (nonostante sia una fan delle nuove tecnologie!): devo toccarli, i libri, e odorarli (c’è forse un profumo più buono di quello di un libro fresco di stampa?) e dopo averli letti mi piace riporli sullo scaffale e godermi le copertine. Quindi io personalmente sono una nostalgica irrecuperabile, tuttavia ben comprendo chi compra e utilizza i lettori e-book.
D. A proposito del tuo lavoro: come e dove scrivi? Segui una routine, o aspetti la famosa ispirazione?

R. La storia che scrivo al momento e le idee per i libri a venire le prendo, a livello concettuale, un po’ ovunque e poi continuo a rimuginarci, a volte prendo persino qualche appunto in un blocco che mi porto sempre dietro, ma alla stesura vera e propria del manoscritto lavoro solo e unicamente alla mia scrivania. Mentre scrivo un romanzo mi attengo per lo più a degli orari ben precisi, con tempi diversi e definiti per la ricerca e la scrittura, e anche per i fine settimana e il tempo libero, per gli appuntamenti e il lavoro d’ufficio. Nella mia esperienza, infatti, l’ispirazione viene più rapidamente se siamo già pronti e concentrati per accoglierla.


D. Come inizi una storia: con una frase, un personaggio, un dialogo?
R. La storia vera e propria inizia sempre da uno o più personaggi e dalla loro storia, che di solito sviluppo quasi completamente nella mia testa prima di cominciare a buttarla giù. Posso iniziare a scrivere solo dopo aver pensato e ripensato all’intero romanzo, anche se poi, mentre scrivo, ovviamente, si aggiungono ulteriori dettagli o addirittura qualcosa prende una strada diversa da quella prevista. E poi aspetto la prima frase e a volte ci vuole un bel po’ prima che arrivi...
D. Quando ti accorgi che sei alla fine?
 R. Il finale, secondo me, ha, da un lato, un aspetto razionale e analitico: l’arco della storia iniziato con la prima pagina è chiuso?  I conflitti principali si sono risolti? Le domande fondamentali che sono sorte nel corso della storia hanno avuto risposta? 
E poi c’è l’aspetto emotivo: la certezza “di pancia” che è lì, proprio in quel punto che voglio lasciar andare i personaggi. E non solo io, ma anche, spero, il lettore e possibilmente facendo in modo che quando, dopo l’ultima pagina, chiude il libro, gli rimanga una bella sensazione e magari indugi un attimo pensando ai personaggi e al loro futuro.  

D.  E’ possibile affezionarsi troppo a un personaggio?
 R. Affezionarsi ai personaggi è, a mio parere, una delle condizioni necessarie alla scrittura. Non sempre sono d’accordo con quello che i fanno o dicono nel romanzo, a volte sono delle persone totalmente diverse rispetto a me, ma li accetto così come sono. A un certo livello devo sempre amare i miei personaggi, per poter scrivere di loro.
D. Ti pesa più il lavoro preparatorio a un romanzo o la scrittura?
 R. Entrambe le fasi presentano delle difficoltà. Il lavoro preparatorio è, specie all’inizio, piuttosto arido e prosaico, trattandosi di meri fatti. Quando poi la storia si sviluppa e si intreccia coi fatti, la cosa diventa più leggera e i fatti stessi diventano vivi e vicini. Anche lo scrivere è all’inizio travagliato, finché non mi calo bene nei personaggi e nel mondo del romanzo, finché tutte le trame non son emerse, poi, anche in questo caso, il lavoro diventa più leggero. Paragono spesso la stesura di un romanzo alla scalata di una montagna: per la maggior parte del tempo la salita è faticosa e la vetta sembra non avvicinarsi mai, ma quando poi la raggiungi la vista da lassù è indescrivibile e hai quella magnifica sensazione di avercela fatta.

D. Qual è l’aspetto migliore dell’essere una scrittrice di successo e quale il peggiore?R. L’aspetto migliore è che ora posso veramente vivere la scrittura, ogni singolo giorno. Meno bello è che sei in tutto e per tutto un lavoratore autonomo e quindi ti devi occupare di un sacco di scartoffie, menartela con le tasse, tenere la contabilità e simili, perché anche questo, purtroppo, fa parte del gioco. Ma ci sono anche dei momenti in cui mi fa piacere pensare che sono io stessa il mio piccolo one-woman-business. 
D. Le critiche negative ti colpiscono personalmente, o riesci a gestire l’emotività in questi casi?
 R. Ci sono sempre critiche che vanno sul personale. In questi casi mi dico: sì è una critica personale ma la persona che te l’ha rivolta non ti conosce davvero, crede solo di sapere chi è
Nicole C. Vosseler. Per il resto, riesco per lo più a separare la scrittrice dalla donna. Certo, le critiche a volte fanno male, perché in ogni libro metto tutta me stessa e tanto lavoro.
Poi dipende anche dal genere di critica. Si tratta di qualcosa di puramente soggettivo per cui a qualcuno un personaggio proprio non sta simpatico? In questo caso è come nella vita, credo: non tutti piacciono a tutti. Se si tratta di critiche fattuali cerco di tenerle presenti. Il libro già scritto, va da sé, non può essere modificato, tuttavia cerco di prestare più attenzione in quelli successivi, a rendere le cose più plausibili e le descrizioni più comprensibili per il lettore.
D. Puoi anticiparci di cosa parlerà il tuo prossimo romanzo?
 R. La mia ultima creatura va in stampa in questi giorni: è la storia di due giovani donne che cercano fortuna a Giava, durante la dominazione olandese. È diventato un romanzo molto appassionato e drammatico, dove non si esplorano solo il paradisiaco mondo dell’isola e l’animo umano, ma si parla anche dell’eruzione del vulcano Krakatoa del 1883. 
Inoltre, sono appena approdata su una nuova sponda e ho iniziato un romanzo per ragazzi che si svolge nella San Francisco di oggi e ha elementi storici e paranormali. Sebbene abbia già scritto due romanzi storici per ragazzi, con questo mi muovo in un orizzonte completamente nuovo: una sfida che mi intriga molto.
D. Per terminare, che consiglio puoi dare ai nostri lettori che hanno un romanzo nel cassetto e vorrebbero farlo conoscere?
 R. Se il mercato italiano del libro è simile a quello tedesco per quanto riguarda gli autori, quello che mi sentirei sicuramente di consigliare è di rivolgersi a una buona agenzia. Un buon agente è in grado di valutare se un manoscritto presenta ancora qualche debolezza e abbisogna di una rielaborazione o se, di base, abbia la possibilità di trovare un editore interessato. Inoltre un agente non si occupa solo delle trattative e dei contratti, è, idealmente, anche il faro nella tempesta quando un autore ha dubbi su se stesso e la propria opera.  Accade ogni tanto, ed è stupendo, che un agente possa consigliarti, consolarti, motivarti.
Grazie Nicole, speriamo di leggere presto il tuo prossimo romanzo!
Sono io che ti ringrazio per queste bellissime, avvincenti domande, Simona, mi sono divertita un sacco! In bocca al lupo a te e a Diario di Pensieri Persi.

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