“Qui non ci sono spettatori. Nessuno, oltre ad Elettra, assisterà mai al dramma di Elettra.” Marguerite Yourcenar da “Elettra o la caduta delle maschere”
“Essere Elettra” è una rilettura della tragedia sofoclea, un percorso avviato da due anni nell’ambito di un workshop sul coro tragico con il sostegno della Fondazione Piccolomini per l’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica Silvio D’Amico.
La tragedia è stata replicata presso licei e istituti superiori, dove, contestualmente alla messa in scena, sono stati realizzati degli interventi didattici. L’attività di studio e ricerca ha fatto emergere aspetti che sono divenuti poi fondamentali per la costruzione del progetto definitivo.
La regia è di Giulia Randazzo che ha saputo dare ai giovani attori del cast la possibilità di incontrarsi superando i confini regionali. Lo spettacolo ha ricevuto lo scorso agosto alcuni riconoscimenti al “Premio Parados” nell’ambito del “Tindari Festival 2014″, quali la menzione speciale per le “Migliori musiche originali” composte da Gabriele Giambertone e per la “Migliore Scenografia” di Mattia Federici.
Per l’intensità dell’interpretazione dell’udinese Antonietta Bello ha ricevuto la menzione speciale come “migliore attrice protagonista”; e la stessa è stata molto gentile nel rispondere ad alcune nostre domande. Buona lettura!
I.G.: Partendo dal workshop sul coro greco “Essere Elettra: dal mito al dramma” nasce la messinscena di una riscrittura della tragedia sofoclea che ti vede protagonista. Puoi introdurci al progetto?
Antonietta Bello: Il progetto in effetti ha preso il via molto prima che io arrivassi, Giulia Randazzo (la regista) ha cominciato proprio dal coro. Il perché di questa scelta è presto detto: il coro è forse l’elemento piu complesso e misterioso delle tragedie. Spesso viene relegato a fondale vivente, ma in realtà può e deve essere anche altro.
I.G.: Puoi soffermarti sugli elementi che caratterizzano questa scelta?
Antonietta Bello: Nella riscrittura ciò che in Sofocle erano lunghi monologhi alternati fra Elettra e Coro, qui diventano dei veri e propri dialoghi molto più snelli e diretti, oserei dire crudi.
I.G.: Ci racconti il tuo primo approccio con il personaggio di Elettra?
Antonietta Bello: Quando il progetto ha preso il via è diventato uno spettacolo, ma già da febbraio c’era un problema. Giulia Randazzo non trovava Elettra, o meglio, una ragazza giovane d’età e “abbastanza attrice” (come diceva lei), capace di sostenere questo ruolo così complesso, difficile e faticoso. Per intenderci: a due giorni dal debutto, così, per tranquillizzarmi, mi dice: “In Italia il ruolo di Elettra viene per tradizione affidato a un’artista quarantenne, benché da copione Elettra abbia circa 30 anni. Il ruolo è stato ricoperto in passato da mostri sacri del Teatro italiano, tra cui Lina Sastri (Elettra di Euripide); Micaela Esdra (Elettra di Euripide); Elisabetta Pozzi (Euripide e Hoffmannsthal); Benedetta Buccellato (la più giovane a 35 anni in “Elettra o la caduta delle maschere” della Yourcenar); Manuela Mandracchia (Elettra di Euripide). L’ultima interpretazione di Elettra è quella di Francesca Ciocchetti (Coefore, Siracusa, 2014).” Ecco… che avrei dovuto dire?! E a luglio, quasi per caso, mi fissano un provino proprio con Giulia Randazzo. Ebbene: lavoriamo tre ore consecutive senza neanche accorgercene e dal giorno successivo abbiamo cominciato le prove dello spettacolo. Da subito mi sono resa conto, ed ho poi verificato, che l’operazione non prevedeva il racconto di una semplice storia, ma era come se l’opera sofoclea fosse una sorta di “soggettiva” sulla vita di Elettra: in questo spettacolo il mito classico viene re-imbastito con altri testi, alcune scene omesse o spostate o aggiunte per raccontare il dramma esistenziale di Elettra stessa.
I.G.:”Essere Elettra”: da donna, prima ancora che da attrice: come hai affrontato un ruolo così impegnativo sul piano emotivo oltre che professionale?
Antonietta Bello: Veramente da donna, soprattutto all’inizio, ho cercato di non dare giudizi di alcun genere e siccome facevo fatica, ogni giorno prima di iniziare mi dicevo che stavo recitando Momo. E davvero, dentro di me, ogni volta che nominavo Elettra pensavo a Momo! Da attrice sono molto metodica, precisa, puntigliosa e attenta, per cui non avevo tempo per farmene prima un giudizio complessivo, c’era troppo da fare! Così con Giulia sono partita da uno dei monologhi da cui anche lei ha tratto ispirazione, (mi riferisco a quello tratto dalla riscrittura della tragedia di Marguerite Yourcenar) e lì ho scoperto che la mia Elettra sarebbe stata diversa: ho scoperto una Elettra “fiore”: bella anche se non sa di esserlo, fiera e forte anche se abbattuta e consumata dalla sua necessità di resistere, una Elettra con un desiderio che la trascina e la fa perdere anche se rimane sempre profondamente incastrata nei labirinti della sua mente.
I.G.: Marguerite Yourcenar propone la figura di una figlia ossessionata dall’assassinio del padre Agamennone: in che direzione hai lavorato per rendere fisicamente una psicosi così complessa?
Antonietta Bello: Più che ossessionata dall’omicidio del padre è ossessionata dalla madre. Il problema non è tanto l’omocidio (nella nostra lettura si intende!), quanto che la madre l’abbia costretta ad ascoltare. L’ha resa complice, suo malgrado. Non ha avuto pietà per Elettra e non ha avuto i riguardi che una madre dovrebbe avere con il proprio figlio. Tante sono le ferite che si accumulano: quelle psicologiche, causate dal trauma e quelle pedagogiche causate dall’assenza di amore. Diciamo che subito dopo aver scovato questa mia “Elettra fiore” ho cominciato a lavorare fisicamente, lasciandomi suggestionare dai rapporti che avevo in scena: il rapporto con Agamennone, con i desideri, con il coro, con l’urna, con Oreste. Ne è nato un corpo molto ferino, a tratti innervato e scattante. E, paradossalmente, questa aggressività, questo abbruttimento risultano il modo che la giovane impiega per proteggersi dalla madre. E poi da lì ho continuato fino a completare ogni tassello: è stata lunga. Ho riempito un quaderno intero di suggestioni e pensieri.
I.G.: Dimenticare: tutti chiedono a Elettra di farlo, ma la risposta della principessa è decisa, non ammette repliche “Dimenticare? Che cosa? Sono bestia forse? La bestia dimentica ciò che le uscì dal ventre, e sulla propria creatura placa la fame! Non sono bestia, io. Io non so dimenticare.” In queste parole c’è il rifiuto del comportamento di un’altra figura femminile molto complessa del Teatro greco, Medea che sacrifica i figli per vendicare Giasone. È importante per tutti, in particolare per le donne – spesso vittime troppo rassegnate o poco considerate della violenza ed anzi talvolta violente e feroci anche contro se stesse – imparare a non dimenticare e a riflettere anche nel Teatro come nella vita, sulla violenza?
Antonietta Bello: Ovviamente sì. Non si deve dimenticare, ma non si può nemmeno vivere nel passato. È importante il tema della memoria. Ed è importante sia in una visione mitica – ovvero bestialità contro umanità – sia in una visione politica, sociale - il rivoluzionario contro il reazionario -.
I.G.: Le ragioni del ghénos e quelle della pòlis?
Antonietta Bello: Esattamente. Elettra non è solo quel personaggio mitico che resiste alla brutalità bestiale di Clitemnestra per introdurre alla presenza di Oreste – l’uomo dotato di azione e umanità – ma è anche quel tassello politico necessario perché il nuovo mondo rappresentato proprio da Oreste – che non a caso poi nelle Coefore fonda Atene, il cui principio di giustizia è affidato alla filosofia – riesca a superare, con l’atto violento dell’uccisione, il proprio passato (rappresentato da Clitemnestra) per fondare appunto un nuovo mondo, fondare nuove tradizioni. Ecco Elettra in tutto questo dove sta? Non esiste una Orestea – neanche nelle riscritture – che tratti la storia di Oreste senza Elettra. In effetti è fondamentale questo suo ruolo: quello di fare da cesura con il vecchio mondo (Clitemnestra) perchè il nuovo mondo (Oreste) possa nascere.
I.G.: Elettra è donna del passato, allora, che induce a riflettere sul futuro?
Antonietta Bello: È quasi ossimorico, ma è così: lei è una donna rivoluzionaria legata al passato. Fonda l’idea di futuro sul passato e sulle tradizioni che devono essere superate, da questo punto di vista è giusto non dimenticare; ma non riesce a storicizzare, a creare passato, e quindi a permettersi di dimenticare per fondare veramente un futuro, ecco perché prima dicevo che resta incastrata nella sua mente, nella sua razionalità, nel suo passato al quale non sa smettere di pensare. Ecco che allora questo davvero complesso e articolato personaggio ci regala molti spunti di riflessione, più che risposte e soluzioni.
Written by Irene Gianeselli