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[Intervista] Giancarlo Erra – NoSound

Creato il 11 maggio 2013 da Claudiober

Spesso oscurati, almeno in patria, dall’ombra dei loro – in parte – ispiratori, i Porcupine Tree, e soprattutto dai giudizi ‘esterofili’ del pubblico italiano (di cui verrà discusso più avanti), i Nosound di Giancarlo Erra non a caso hanno trovato linfa vitale proprio in Gran Bretagna, dove ha sede la loro attuale etichetta Kscope, il cui roster, piaccia o meno, null’altro è che la definizione del sound del progressive rock moderno. Quanto segue è il risultato di un’intervista via mail realizzata proprio a ridosso della data di pubblicazione del nuovo “Afterthoughts”, in cui Giancarlo, libero dai limiti di tempo solitamente imposti da un incontro face-to-face, ha potuto liberamente dilungarsi sulla natura del progetto Nosound e molto altro.

Giancarlo Erra / Nosound

Dato che è appena stato pubblicato il vostro nuovo album “Afterthoughts”, ti chiedo subito: quali sono i ‘ripensamenti’ a cui fa riferimento il titolo?
Ciao Eugenio, e innanzitutto grazie per questo spazio ed un saluto a tutti i lettori!
Tutti i testi degli album dei Nosound sono sempre direttamente autobiografici, e di solito non amo scendere nei dettagli e personalizzarli. Quando scrivo lo faccio soprattutto per me, un modo per ammettere a me stesso cose magari difficili, o a volte proprio per tirar fuori cose che altrimenti non saprei come o non avrei la forza di affrontare.
Il messaggio generale di questo album è che i ripensamenti non vanno intesi come un vivere nel passato, ma piuttosto quanto un vivere e capire il presente, magari imparando dal passato, o semplicemente accettando come esso abbia cambiato il corso degli eventi, noi stessi… o forse di come, in verità, il tempo cambia ed il mondo anche, ma noi rimaniamo sempre gli stessi. Mi occupo spesso nei miei testi dei rapporti con il passato, in questo album mi sono ritrovato (proprio come fase di vita) a confrontarmi con una maggior maturità, con la consapevolezza del presente e quindi nell’accettare il passato nel mio presente piuttosto che vivere sempre guardando indietro. Può sembrare un disco negativo, mentre leggendo bene si capisce che proprio attraverso questi pensieri è in verità un inno alla vita ed al presente, qualsiasi esso sia.

Nosound Afterthoughts

Afterthoughts (2013)

L’album sviluppa una tematica precisa, oppure ogni singolo brano va preso a sé stante?
Diciamo che non ho mai volutamente scrivere album tematici, ma credo ci sia comunque un legame insito tra i brani di ogni album. Dato che, come già detto, i testi sono sempre autobiografici, io anziché forzare o allenare periodi di scrittura o sessioni in studio, aspetto e lascio fluire l’ispirazione come e quando (e se!) arriva. Tipicamente con me funziona ad ondate, a periodi di alcuni mesi, e ciò che finisce in un album tipicamente è il risultato di uno di questi periodi di scrittura. Il materiale assume quindi quasi ‘naturalmente’ una coerenza sonora, ed allo stesso momento una certa coerenza tematica perché derivante probabilmente da un certo periodo di vita.
Anche se oggi sembra esserci una sorta di gara al voler essere diversi, sempre in corsa, quasi a considerare il cambiamento in sé come qualità o valore, io al contrario, da ascoltatore di musica e quindi da artista, apprezzo e credo abbiano un qualcosa in più quei lavori che rimangono 100% lontani dalla programmazione, da un voler indirizzare, e che quindi mantengono in sé una certa coerenza… cambiare è facile, cambiare nella coerenza è difficile ed è quello che spero di fare con Nosound.

Qual è il significato della copertina del disco? C’è una scelta precisa che ha portato a scegliere proprio quella foto?
Mi occupo in prima persona della fotografia, del design cosi come dei video e di tutta la parte grafica, alla quale tengo molto in quanto parte integrante del prodotto artistico. Credo scattai quella foto alcuni fa in Centro Storico a Roma, in un posto affollato dove per qualche motivo ad un certo punto questa donna era comunque isolata nei suoi pensieri… era un’immagine forte che mi era rimasta in mente. Quando le canzoni dell’album si sono delineate mi è venuta immediatamente in mente quella foto e quindi l’ho usata. Il resto dell’artwork del libretto sono altre mie foto tutte scelte per accompagnare l’ascoltatore, per essere la parte ‘visuale’ della musica.

Vi sono dei brani di “Afterthoughts” a cui sei più legato di altri? Se sì, quali e perché?
Credo di essere legato a tutti i brani per diversi motivi. Il mio preferito, dovessi scegliere, sarebbe “Afterthought”, la traccia di chiusura: uno di quei pezzi diretti, scritti e finiti in un’ora, una via di mezzo tra una consolazione ed una ammissione di sconfitta: al momento forse lo considero uno dei miei pezzi migliori!
C’è poi “Wherever You Are” che contiene forse il testo più positivo mai scritto per Nosound, c’è la storia di “Two Monkeys”, o la parte in italiano di “Paralysed”… insomma, potrei finire elencando un po’ tutti i brani dal disco!

La versione strumentale dell’album era già stata prevista inizialmente, oppure si è trattato del modo migliore per disporre di un’edizione speciale del disco (sappiamo entrambi che la Kscope è maestra in questo, probabilmente non c’è una loro release che non sia stata pubblicata in almeno due versioni diverse)?
In verità l’idea di questa musica come anche strumentale era nata con il precedente disco “A Sense Of Loss”, anche se poi per motivi pratici non è stata realizzata. Per questa release abbiamo pensato invece di aggiungere questo disco extra con i primi preordini, anche per dare un qualcosa di speciale ai fan più fedeli che ci supportano preordinando subito. Credo che in qualche modo, più avanti, le versioni strumentali saranno in vendita, magari in formato digitale (esistono anche in versione Dolby surround, così come il disco vero e proprio).
Sicuramente Kscope è maestra nel valorizzare l’oggetto fisico, e credo che sia il modo giusto di farlo oggi, quando la musica si usufruisce comunque digitalmente e poi viene comprata ‘fisicamente’ dall’appassionato, che quindi merita e vuole un package che sia curato come la musica e non un case di plastica o ancora peggio delle copertine o artwork messi lì senza un legame con il disco.

Inizialmente NoSound rappresentava più una ‘one-man band’ piuttosto che un gruppo vero e proprio. Ad oggi, quanto è stabile la line-up della band, considerato anche che ti sei trasferito a Londra?
Il trasferimento in UK è stato ciò che mi ha consentito di dedicare il mio tempo al progetto Nosound ed alla mia carriera musicale, dunque alla fin fine ha portato molti più vantaggi che svantaggi (la delocalizzazione della band in diversi posti, ad esempio). Sicuramente ad oggi Nosound è un progetto di band, in fondo la musica da sempre è stata scritta per una band, sin dal primo album, per cui credo fosse una evoluzione inevitabile. Durante le registrazioni di “Afterthoughts” ci sono stati un paio di cambi che hanno portato nuovo entusiasmo e linfa vitale, ma devo dire sono stato sempre molto fortunato nel trovare persone, amici e musicisti professionisti allo stesso tempo, con la volontà di voler entrare nel mio mondo musicale senza volerlo distorcere o modificare, ma volendo contribuire ad esso con qualcosa di loro. Soprattutto il nuovo album è frutto dell’entusiasmo e del lavoro del gruppo, in studio ed anche fuori, perché quando si cerca di far arte insieme ancor prima della bravura sugli strumenti ci vuole affiatamento ed entusiasmo condivisi, ed in questo momento credo siamo in un picco di ispirazione ed intesa che mai ho provato prima.
Con Paolo Vigliarolo (chitarre) ed Alessandro Luci (basso) suoniamo nei Nosound da tantissimi anni ormai, e si sono uniti a noi Marco Berni (tastiere) e Giulio Caneponi (batteria), piu’ la nostra Marianne al violoncello con cui lavoriamo dai tempi di Lightdark, e poi ovviamente l’ospite di eccezione alla batteria, Chris Maitland!

Quando e come hai conosciuto Chris Maitland e Tim Bowness? Come sono nate le collaborazioni con loro? Sei stato tu a chiederglielo, oppure loro, conoscendo già la tua musica, si sono proposti per primi?
Li ho conosciuti grazie ai primi dischi Nosound, che hanno ricevuto da subito una grande attenzione e sono quindi arrivati anche a loro. Negli anni con Tim abbiamo collaborato a Nosound nel brano “Someone Starts To Fade Away” e con il brano “Beautiful Songs You Should Know” apparso su “Schoolyard Ghosts” dei No-Man. Dopo circa 4 anni di collaborazione insieme abbiamo anche fondato il progetto Memories Of Machines, con il primo album “Warm Winter” che ha visto collaborazioni importanti quali Robert Fripp, Steven Wilson, Peter Hammill e vari altri.
Chris aveva ricevuto il primo disco “Sol29″ e gli era piaciuto; visto anche il suo lavoro come batterista per un musical è stato in giro per molti anni, ma ci siamo tenuti in contatto, e per il nuovo album gli avevo chiesto se voleva partecipare ad uno o due pezzi. Lui ha accettato, visto che la musica gli era piaciuta; poi per caso poco dopo il nostro vecchio batterista ha deciso di prendere altre strade artistiche, e quindi ho chiesto a Chris di dare una sua impronta più marcata sul nuovo album, e suonare tutti i brani: a lui era piaciuta molto la musica dei demo per cui ha accettato, ci siamo visti un po’ di volte qui ed in Italia, e poi abbiamo registrato a Londra.

A proposito di Londra: uno dei più grossi difetti italiani è la cosiddetta ‘esterofilia’, in quanto si tende ad avere scarso interesse e considerazione verso ciò che viene prodotto in casa. Ritieni che questo abbia influito sul successo della musica dei NoSound? Quanto ha pesato il fatto che in molti vi considerassero dei semplici cloni dei Porcupine Tree?
Onestamente non mi ha mai preoccupato chi ci considerava o ci considera semplici cloni di questa o quella band, vuol dire semplicemente non voler vedere le cose con una prospettiva più approfondita: ad esempio, i primi Porcupine Tree seguivano le stesse ispirazioni che noi seguiamo, per cui il risultato è necessariamente simile, pur se con le dovute differenze. Dopo di che loro hanno costruito il loro sound sul ‘prog-metal’, mentre nei Nosound da sempre c’è un fortissimo elemento post-rock completamente assente nei Porcupine Tree, e credo siano due cose molto diverse. In ogni caso, essendo ovviamente una band di altissimo valore, c’è poco da offendersi o preoccuparsi… mi sarei onestamente offeso di più se mi avessero detto che eravamo una copia dei Negramaro!
Non sono convinto che il vero problema italiano sia l’esterofilia; credo sia più il fatto che chi dovrebbe aiutare, sviluppare, promuovere e diffondere la musica ‘altra’ non ha la cultura o la voglia di farlo, e di conseguenza l’ascolto medio è molto omologato con ciò che passa la radio commerciale, e le nostre radio commerciali sono molto provinciali. Personalmente, dopo le prime esperienze, da gruppo in partenza, con alcune label e realtà italiane, ho deciso di saltare completamente l’Italia sin dal 2005: troppo tempo e risorse sprecate, mentre invece la vera sfida è il mercato internazionale, dove è più difficile ma con il lavoro duro (e se c’è qualità) si va avanti, senza spinte e senza conoscenze. Ed infatti, mentre in Italia mi chiedevano 10 copie in conto vendita, io ne vendevo 10 ogni giorno dal nostro sito via Paypal e spedendole da casa mia, e mi arrivavano ordini da altri distributori/negozi indipendenti in Germania, Olanda, Polonia, Inghilterra, non di 10 ma di 200 o 500 copie, tutte pagate in anticipo ed incluse le spese di spedizione… e questo la dice lunga, noi realtà italiana che come sempre (oggi tema particolarmente caldo) deve andare via per trovare il giusto spazio.
Ovviamente poi il fatto che l’Italia allo stesso tempo fosse il bacino di lancio per tanti gruppi esteri è invece ciò di cui purtroppo parli te, l’esterofilia che non ci permette di guardare ai talenti che abbiamo in casa ed a valorizzarli… noi ora stiamo lentamente suscitando interesse anche in Italia, il che ci onora, ma solo dopo aver costruito in anni un nome ed una carriera all’estero.

E alla luce di questo, quanto è cambiata la situazione dopo la firma del contratto con la Kscope?
In termini di lavoro non molto… al mondo di oggi le band ed i musicisti sono comunque molto manager di sé stessi, bisogna lavorare sodo ed essere con Kscope significa una responsabilità ancor maggiore e quindi ancor più lavoro. In generale ovviamente la situazione è cambiata perché la visibilità è diversa quando c’è un nome cosi importante, ed è molto stimolante poter lavorare con questi artisti, anche se in un certo senso ci lavoravamo anche da prima. Far parte di Kscope è un onore, ma sicuramente richiede un enorme lavoro per arrivarci e quindi uno sforzo ancor più grande poi per continuare ad evolvere la propria carriera.

Avendo vissuto entrambe le realtà, da cosa sei rimasto colpito una volta entrato a far parte della – se così possiamo chiamarla – ‘scena londinese’? Si tratta di una realtà idilliaca e perfetta, come in molti immaginano da fuori, oppure è un ennesimo mito da sfatare?
Non so quanto facciamo realmente parte della scena Londinese (io inoltre ho deciso di vivere non a Londra ma nella campagna inglese, nel Norfolk, dove ho anche il mio studio). Sicuramente non esiste al mondo nessun posto perfetto ed idilliaco, in tal senso possiamo sfatare un mito!
Allo stesso tempo però devo ammettere chiaramente che se non mi fossi trasferito qui cambiando vita non avrei potuto fare tutto ciò. In Italia purtroppo soffriamo di un arretramento sociale e quindi culturale che si fa sempre più preoccupante e che da fuori è ancora più ovvio, mentre qui, con tutti i difetti che ci possono essere, se vali e ti dai da fare (e tocca darsi da fare parecchio e in modo costruttivo e pragmatico) ci sono le possibilità per sviluppare le proprie idee, i propri progetti, la propria persona, e con una qualità di vita quotidiano decisamente maggiore. Malgrado ovviamente manchi il nostro bel clima, il cibo o il modo di rapportarsi con le persone, qui c’è il rispetto delle regole, c’è il concetto di ‘Noi’, di etica ed educazione civica, c’è la prospettiva del futuro, c’è la netta percezione della possibilità di poter fare tutto, e credo sia ovviamente una cosa fondamentale molto più della pasta o del sole tutto l’anno!

Oggi l’attività dal vivo è fondamentale per tenere in vita una band, che a differenza del passato non può contare solo sulla vendita dei dischi per poter sopravvivere e garantirsi un futuro. Purtroppo i NoSound non hanno mai avuto occasione di suonare molto… vi sono delle ‘ragioni italiane’ anche dietro a questo? Quanto è realistica la possibilità che possiate imbarcarvi a breve in un tour europeo? In tal caso, mi auguro di vedervi presto su un palco…
Abbiamo piani per un tour europeo con il nuovo disco e stiamo solo aspettando di poter confermare il tutto! Abbiamo sempre suonato in un modo o nell’altro ed anche se poco sono sempre stati eventi importanti, per cui ora speriamo di poter suonare appunto ‘di più’. Onestamente la situazione per le band Kscope, e per le band come noi, è opposta: le band vivono delle vendite dei dischi, dei formati fisici curati e speciali, ed il suonare dal vivo è una promozione, un qualcosa in più che arriva solo dopo aver raggiunto certi numeri di vendita. Oggi per band non grandissime pensare di promuoversi o sopravvivere suonando come dei matti dal vivo è una cosa che vedo spesso in Italia ma che nessuno consiglierebbe mai qui ed io stesso sconsiglio sempre: ai concerti vanno sempre meno persone, e farli costa parecchio, per cui per garantire il pubblico bisogna vendere. È quasi scomparso il concetto di andare ai concerti per scoprire musica, la si scopre su Youtube, per cui ai concerti vengono i fan, tipicamente chi già conosce la tua musica, e quindi devi prima vendere.
Ovviamente per uno Sting o per gli U2 è il contrario perché loro vendono molto meno di prima (la gente scarica illegalmente) ma ai concerti le persone continuano ad andare e lì devono pagare, quindi per questi grandi nomi è fondamentale recuperare le perdite con i concerti. Ma per tutti gli altri il concetto è opposto. Basta vedere come anche Steven Wilson o i Marillion recentemente hanno pubblicato cose specifiche appunto per finanziare il tour, ammettendolo chiaramente e chiedendo in quel modo supporto ai fan.
Dunque vista l’attenzione che sta suscitando “Afterthoughts” e la campagna di preordini che sta andando molto bene, speriamo di annunciare molto presto anche noi un tour promozionale in Europa.

www.nosound.net
nosoundblogdiary.wordpress.com
www.kscopemusic.com/nosound/afterthoughts


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