Mi sono chiesto per molto tempo quali fossero i cliché del genere, non dico gli archetipi inevitabili, ma appunto le situazioni da evitare; e ancora, quali figure poco sfruttate vi fossero nel genere, e come fare per evitare di scrivere un romanzo già sentito. Non sapendo dare risposte a queste domande, ho deciso di chiederne ad alcuni nomi grossi del romanzo criminale italiano.
Ecco le risposte.
LORIANO MACCHIAVELLI
- Secondo lei, quali sono i cliché del genere? O comunque, quali sono gli elementi da evitare?Se ci riferiamo all’intera storia del genere, i cliché sono di una quantità che ci vorrebbero pagine e pagine per ricordarli tutti. Mi occupo dei cliché del giallo (o noir) e comincio dal maggiordomo. Poveretto, non ha fatto male a una mosca ed è diventato, per un certo periodo storico letterario, l’immagine classica del delinquente più incallito. Solamente perché una volta, in un romanzo, si è presentato bene, molti scrittori se ne sono impossessati e lo hanno sfruttato. Per curiosità, si trattava di un romanzo del 1878, Il mistero delle due cugine, di Anna Katarine Gree. In quella storia appariva un personaggio che era destinato a inondare i romanzi gialli del periodo, tanto da diventare un classico: il maggiordomo. Esso maggiordomo, camminava lungo corridoi in penombra con aria furtiva e senza farsi sentire; serviva porto con un inchino sinistro e apriva le porte con inquietante aplomb.
Altro topos: il capo della polizia stupido e presuntuoso che, alla fine, farà la figura del coglione; poi il protagonista e lo sfigato che gli fa da spalla solo perché l’autore possa spiegare al lettore come sono andate le cose; poi la cucina. Quante ricette di cucina sono passate fra le pagine dei romanzi di genere.
Ancora: l’eredità, un parente lontano appare improvvisamente, i meandri della psiche, una lettera misteriosa che spiega tutto, un diario … Insomma, come si diceva una volta, chi più ne ha, più ne metta. E, vi assicuro: ne hanno messo.
Adesso va di moda il poliziotto (o comunque chi indaga) gay.
Chi fra noi scrittori (del passato e del presente) non è caduto nei cliché?
Ma, attenzione: si possono usare tutti i cliché che si vuole. Basta farlo con intelligenza. Cosa piuttosto difficile.
- Lei crede che ci siano figure ancora poco sfruttate nel macro genere “criminale”?
Ce ne sono sì. Il genere vive di nuovi personaggi e nuove situazioni. Si tratta di trovare gli uni e le altre. Non mi chieda quali: quando lo saprò, li userò io.
- Quali sono, a suo parere, le premesse per la scrittura di un romanzo che non risulti “già sentito”?
Potrei rispondere come sopra. se lo sapessi, eccetera. Ma poiché la cosa è piuttosto importante per la sopravvivenza del genere, ci ho riflettuto a lungo e posso riportare quanto credo di aver capito.
La premessa: è difficile che si possa scrivere di cose non ancora scritte. Allora? Allora scriviamo ciò che altri hanno scritto, ma facciamolo con il nostro linguaggio, con la nostra cultura e collochiamo gli avvenimenti nei nostri tempi. Anche se la storia è situata in altri tempi. Il che non significa che dobbiamo riportare tutto a noi. Significa che possiamo scrivere di altri tempi utilizzando le esperienze che ci appartengono, che sono proprie della nostra epoca. La nostra esperienza non sarà mai la stessa di altri scrittori. Approfittiamone per essere unici.
Il difficile è riuscirci.
MASSIMO CARLOTTO
- Secondo lei, quali sono i cliché del genere? O comunque, quali sono gli elementi da evitare?
Non credo vi siano elementi da evitare a priori, perché è il contesto a renderli cliché.
- Lei crede che ci siano figure ancora poco sfruttate nel macrogenere “criminale”?
Non saprei, non vorrei citare una figura a mio parere poco sfruttata e poi ritrovarla in romanzi scritti da altri autori…
- Quali sono, a suo parere, le premesse per la scrittura di un romanzo che non risulti “già sentito”?
Per non scrivere un romanzo già letto, visto e sentito il segreto è immergerlo in una realtà credibile.
MAURIZIO DE GIOVANNI
- Secondo lei, quali sono i cliché del genere? O comunque, quali sono gli elementi da evitare?
Premessa necessaria: io non credo nel genere. Ovviamente un crimine, e le indagini che ne derivano, sono un territorio narrativo particolarissimo, ma l’ambiente, la natura dei personaggi, la struttura del romanzo lasciano una libertà così ampia da proporre una diversità assoluta. Credo che l’unica cosa da evitare, nel romanzo nero come nella narrativa in genere, sia un atteggiamento manicheo. Il buono non è mai completamente buono, il cattivo assoluto non esiste.
- Lei crede che ci siano figure ancora poco sfruttate nel macrogenere “criminale”?
Più che le figure, credo non siano completamente indagati i sentimenti. Quando un narratore fa lo sforzo di “spostarsi” all’interno dei personaggi, anche quelli minori, costruisce storie ampie e ricche, di maggiore spessore. Ritengo sia un esercizio fondamentale, poco percorso soprattutto da una narrativa che ritiene di dover essere violenta e dura per sembrare più realistica. Non credo sia così.
- Quali sono, a suo parere, le premesse per la scrittura di un romanzo che non risulti “già sentito”?
Una vera, profonda passione per l’indagine psicologica. Il lettore riconosce se stesso e le persone che lo circondano nei personaggi di un romanzo solo se chi scrive ha una vera attenzione alla diversità delle anime.
GRAZIA VERASANI
- Secondo lei, quali sono i cliché del genere? O comunque, quali sono gli elementi da evitare?
Be’, non basta fare il contrario di ciò che i classici di genere ci hanno “insegnato”. Faccio un esempio. Philip Marlowe è un detective inquieto, lacerato, che beve, guarda gli altri attraverso uno schermo di diffidenza, di romanticismo rinunciatario, è la sua umanità, sono le sue difficoltà emotive ad affascinarci. Scegliere come detective un uomo (o una donna) completamente diverso non è per forza di cose sinonimo di originalità.
Insomma, il rischio del cliché, esiste in entrambi i casi. Trovo fastidioso il detective che coltiva vizi con un atteggiamento imitativo e di superficie, senza che la sua “parte oscura” ci convinca, ma trovo altrettanto irritante il detective “normale” che va fiero della propria normalità solo per essere in controtendenza e risultando invece piatto e noioso. Poi non sopporto l’umorismo retorico, la battuta da caserma, l’abuso di ruoli femminili relegati allo standard della dark lady, la descrizione prolissa e iper dettagliata degli elementi tecnici (autopsie, condizione del cadavere, burocrazie d’indagine), l’assenza di uno sfondo-mondo, di una realtà testimoniata, osservata, e anche l’assenza del profilo psicologico dei personaggi a favore della trama poliziesca.
- Lei crede che ci siano figure ancora poco sfruttate nel macrogenere “criminale”?
Credo che l’umanità sia varia e vari i modi di descriverla. Ci troviamo però ad affrontare una nuova dimensione, che non è più quella di una separazione netta tra bene e male, ma la sua inevitabile e ambigua commistione.
- Quali sono, a suo parere, le premesse per la scrittura di un romanzo che non risulti “già sentito”?
Le premesse sono scegliere questo genere perché ci piace, perché abbiamo voglia di indagare la realtà, di essere scrittori dentro il mondo e non solo dentro di noi, perché abbiamo storie e personaggi che crediamo meritino un ascolto e c’è una visione delle cose che vogliamo comunicare. La prima cosa è sapere scrivere bene, avere una voce propria, una personalità distinguibile, e la seconda è avere qualcosa da dire che possa interessare non solo noi stessi. Ogni scrittore può dire cose che sono già state dette, ma lo fa a modo proprio, e quindi può aggiungere elementi nuovi, altri punti di vista, spunti e chiavi di lettura. Possiamo scrivere mille romanzi d’amore differenti. Il “già sentito” avviene quando ripetiamo quello che ha già detto qualcun altro nello stesso modo. Insomma, secondo me, è la personalità dell’autore a fare il romanzo.
BRUNO MORCHIO
- Secondo lei, quali sono i cliché del genere? O comunque, quali sono gli elementi da evitare?
Attardarsi sul meccanismo enigmistico e offrire una soluzione tranquillizzante e consolatoria; evitare i serial killer come la peste.
- Lei crede che ci siano figure ancora poco sfruttate nel macrogenere “criminale”?
Figure non saprei, credo che un serio lavoro sui personaggi, l’attenzione alla ricostruzione della vita di vittime e assassini sia un punto qualificante di un buon giallo.
- Quali sono, a suo parere, le premesse per la scrittura di un romanzo che non risulti “già sentito”?
Rendere le atmosfere, gli odori, le tensioni di ambienti reali, spaccati di società, offre la possibilità di scrivere opere sempre nuove, non banali né scontate. In due parole: per scrivere un buon giallo bisogna saper fare della buona letteratura.
MARGHERITA OGGERO
- Secondo lei, quali sono i cliché del genere? O comunque, quali sono gli elementi da evitare?
Se per cliché si intendono gli elementi imprescindibili in una crime-story direi che sono questi: un delitto (meglio se di sangue), la ricerca di chi l’ha commesso, l’individuazione del medesimo. Le caratteristiche psicologiche del criminale e di chi indaga nonché le motivazioni del crimine sono elementi quasi sempre presenti, ma hanno un rilievo più o meno notevole e possono essere anche solo accennati.
Cliché negativi, cioè gli elementi da evitare: il criminale che esce solo alla fine come il coniglio dal cappello del prestigiatore, le descrizioni paesistiche troppo lunghe (a meno che non risultino indispensabili nello sviluppo della storia), la presenza di riflessioni filosofiche/escatologiche (chi siamo, dove andiamo ecc., sempre che non sia implicato un filosofo nel plot), l’inserzione di scene hard come riempitivo o specchietto per i gonzi, i paragoni e le espressioni troppo logore (piangere come una fontana, bionda mozzafiato…).
- Lei crede che ci siano figure ancora poco sfruttate nel macro genere “criminale”?
Nel campo degli investigatori professionali: guardia di finanza, sommozzatori, vigili del fuoco, vigili urbani. Tra gli investigatori dilettanti: infermieri, veterinari, portinai o uscieri, archivisti.
- Quali sono, a suo parere, le premesse per la scrittura di un romanzo che non risulti “già sentito”?
Un intreccio ben congegnato, un crimine con un risvolto sociale, protagonisti credibili, una certa leggerezza di scrittura che eviti lo splatter.
Intervista a cura di Aniello Troiano, con la collaborazione di Omar Gatti.