Ad inizio stagione la squadra di Gigante appariva oggettivamente quella più in difficoltà dello sci alpino italiano. Reduce da una passata stagione disastrosa, con protagonisti ormai over30 e con rincalzi giovani che faticavano ad affacciarsi ai massimi livelli, quella attuale doveva essere vissuta come una stagione malinconica e di transizione, rimpiangendo i fasti del passato recente e sperando in un futuro nuovamente luminoso.
Qualche segnale che il vento stesse cambiando si è percepito, però, già nelle prime gare nord-americane, dove Davide Simoncelli, reduce da un'operazione ai legamenti crociati , aveva ritrovato la top10, mentre Massimiliano Blardone, seppure a sprazzi, aveva lasciato intravedere delle sezioni che lasciavano ben sperare. Poi è arrivata l'Alta Badia. La Gran Risa, da decenni, rappresenta un amuleto per lo sci tricolore, dove quasi sempre i problemi e le difficoltà lasciano spazio alla magia. Così è avvenuto anche quest'anno. Blardone, mai tra i primi 15 nei primi tre Giganti stagionali, si è ritrovato come per incanto, tornando a vincere a quasi due anni di distanza dall'ultima volta. Un successo effimero, potrà pensare qualcuno, perché nei grandi eventi (Mondiali ed Olimpiadi) i pendii non sono mai così ripidi e favoriscono atleti dotati di maggiore scorrevolezza e sensibilità. Attenzione, quello che abbiamo ammirato ieri è un Blardone diverso, in via di trasformazione. A 32 anni il nativo di Domodossola ha compreso che, per ritornare competitivo, doveva intraprendere una nuova strada. L'apoteosi sulla Gran Risa, analizzando i dati cronometrici di entrambe le manches, è maturato nel tratto finale, quello dove la pendenza era più lieve, dove solitamente l'azzurro pagava sonoramente dazio dai rivali. Il campione del Bel Paese, inoltre, si è adattato ottimamente anche ad un fondo molle, con una neve da accarezzare più che da aggredire: lo scorso anno, senza ghiaccio, Blardone si sarebbe smarrito. Cambiare dopo la trentina non è affatto facile e denota grande coraggio. Il piemontese ne ha avuto tanto, sospinto da una grande obiettivo: costruirsi ancora un biennio da sciatore di rango mondiale.
Alessandro Pittin è diventato un vincente. Perché, direte voi? In fondo non ha ancora vinto, ma al massimo è arrivato secondo. C'è modo e modo, però, per arrivare secondi.
Venerdì, nella staffetta a coppie con Lukas Runggaldier, la medaglia di bronzo di Vancouver 2010 ha esultato all'arrivo dopo aver agguantato la piazza d'onore, stringendo il pugno ed alzandolo al cielo. Stesso discorso per il terzo posto di sabato nella gundersen individuale. Pittin era contento e soddisfatto di essere salito sul podio, di aver riscritto per l'ennesima volta la storia della combinata nordica italiana. Ieri no. Dopo un vibrante duello con il francese Jason Lamy Chappuis, in cui le ha provate tutte per staccare il fuoriclasse transalpino, l'azzurro si è dovuto accontentare ancora una volta della seconda piazza. Questa volta, però, la gioia era scomparsa, bensì un gesto di stizza sottolineava la rabbia per non aver agguantato il bersaglio grosso. In quell'istante Alessandro Pittin è diventato un vincente. In lui è scattata la scintilla del campione, che lo porterà ad inseguire la vittoria come il leone insegue la preda nella savana. Al momento Lamy Chappuis è più completo rispetto all'azzurro, superiore nel salto e, seppur inferiore nel fondo, dotato di uno spunto veloce eccezionale e, soprattutto, di un senso tattico spiccato. Il francese sta dominando il circuito della combinata nordica da tre stagioni, ma ha già raggiunto il massimo delle proprie potenzialità, mentre l'azzurro, di 4 anni più giovane, possiede ancora enormi margini di miglioramento, dal trampolino come in volata. Le gerarchie, in fondo, sono fatte per essere ribaltate.
Federico Militello
Magazine Sport
Inverno Azzurro: Blardone, la rinascita di un campione; Pittin, è scattata la scintilla
Creato il 19 dicembre 2011 da Olimpiazzurra Federicomilitello @olimpiazzurraPossono interessarti anche questi articoli :
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