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They are Golden: i Warriors sono i meritatissimi campioni NBA!

Creato il 19 giugno 2015 da Basketcaffe @basketcaffe
Warriors campioni NBA 2015 - © 2015 twitter.com/nbatv

Warriors campioni NBA 2015 – © 2015 twitter.com/nbatv

Quando si chiude una stagione da 83 vittorie, in questo seconda soltanto alla squadra di un certo Michael Jordan, quando si batte il più forte giocatore del pianeta nel massimo della sua onnipotenza sportiva, quando si vince un titolo NBA che mancava da 40 anni e lo si riporta in bacheca, non resta che inchinarsi ed applaudire. I Warriors sono campioni, in tutti i sensi che questa parola può contenere.

After winning five NBA Championships as a player, Steve Kerr earns his sixth ring as the first rookie head coach to win an NBA title since Pat Riley in 1982.

Posted by Golden State Warriors on Giovedì 18 giugno 2015

C’è un minimo comune denominatore per i due team citati in apertura, i Bulls del 1995/96 e della successiva stagione e questi Warriors, e proprio da qui deve partire l’analisi della stagione dei californiani: Steve Kerr, giocatore nella Città del Vento, rookie head coach, come mai nessuno prima di lui, ad Oakland.
It’s ironic, but the unexpected thing was that everything went exactly as we hoped. It never happens“.
Eppure è successo e Kerr, arrivato a sorpresa per sostituire un Mark Jackson incapace di spremere dalla squadra tutto il talento di cui era dotata, dopo aver vinto il maggior numero di partite per un allenatore al primo anno in regular season (67), collezionando altri primati minori nel corso dell’annata, ed essere arrivato secondo nel premio di Coach of the Year, alle spalle soltanto del miracoloso (in stagione regolare) Mike Budenholzer, ha compiuto l’impresa di conquistare il titolo NBA al suo primo anno, come non accadeva dal 1982, ad un certo Pat Riley. In tutto fanno sei anelli per lui e la certezza di aver iniziato la propria carriera in panchina da predestinato. Anche se, si sa, confermarsi è sempre più difficile che vincere per la prima volta. Sarà questa la prossima sfida della sua straordinaria vita sportiva.

Chi ha permesso ai Warriors di chiudere una regular season da record e non ha fatto che confermare la sua definitiva esplosione nei playoff è stato l’MVP della stessa stagione regolare e, senza dubbio, il miglior giocatore di questa vittoriosa annata. Steph Curry ha guidato i suoi al primato di franchigia di 67 successi, con un incredibile record casalingo (39-2), poi confermatosi anche in post-season (9-2), grazie a dei numeri straordinari: 23.8 punti, con il 49% dal campo ed il 44% da oltre l’arco, da cui ha messo a segno un numero record di canestri (286), riscrivendo il suo stesso primato, ed ha aggiunto alla causa anche 4.3 rimbalzi, 7.7 assist e 2 rubate a partita. Se sarà difficilissimo per chiunque in futuro provare a battere il primato di triple messe a segno in stagione regolare, sarà praticamente impossibile superare il record fatto segnare da Curry in post-season, con 98 canestri segnati da oltre l’arco su 232 tentativi (42%). Il precedente primato, scritto da Reggie Miller, fermava il conteggio a quota 58. Unico, piccolo rammarico è stato il mancato sorpasso a Danny Green per triple nelle Finals (25 contro 27), ma ci saranno, molto probabilmente, altre occasioni per batterlo. Curry, inoltre, è diventato il sesto giocatore nella storia NBA a vincere il suo primo titolo di MVP e successivamente il suo primo titolo NBA nella stessa stagione, dopo Bob Cousy, Willis Reed, Kareem Abdul-Jabbar, Hakeem Olajuwon e Shaquille O’Neal. Per finire, ciliegina su una torta quanto mai gustosa, il nativo di Akron è diventato il primo giocatore di sempre a sconfiggere tutti gli altri quattro del quintetto All-NBA First Team nella medesima post-season, per poi conquistare l’anello.

.@StephenCurry30 battled through all 4 other members of the ALL-NBA First Team en route to an #NBA Championship. pic.twitter.com/QoWeYyx2de

— NBA History (@NBAHistory) 17 Giugno 2015

Non soltanto Curry, però. La vera forza dei Warriors è stata una squadra quanto mai completa, competitiva, variegata e di qualità. Klay Thompson è stato fantastico in una regular season da 21.7 punti a partita, con prestazioni al limite del paranormale, quali i 37 punti in un solo quarto, record NBA, contro i Kings nel giorno del suo career-high da 52 punti, e nella prima parte della post-season, mettendo insieme, tra le altre, 25 punti di media nella serie contro i Pelicans. Le sue prestazioni sono andate calando, soprattutto a seguito della concussion subita nella decisiva Gara 5 della serie contro i Rockets e, nonostante una Gara 2 da 34 punti nelle Finals contro i Cavaliers, non è stato protagonista come si aspettava nella serie per il titolo. Chi non ha mai smesso di stupire quest’anno è stato, invece, Draymond Green. Arrivato secondo sia nel titolo di Most Improved Player of the Year sia in quello di Defensive Player of the Year, a seguito di una meravigliosa regular season sui due lati del campo (11.7 punti, 8.3 rimbalzi, 3.7 assist, 1.6 steals and 1.3 stoppate), ha conquistato, però, il titolo più importante, chiudendo la sua annata con una tripla-doppia da 16 punti, 11 rimbalzi e 10 assist contro Cleveland in Gara 6. Tutto perfetto ed ora, in off-season, lo attende un oneroso contratto, per convincerlo a restare a Golden State.

Full Finals MVP ballot/voters (via NBA PR) pic.twitter.com/SjCMmiVoFY

— Erik Malinowski (@erikmal) 17 Giugno 2015

L’uomo che non ti aspetti è, invece, l’MVP delle Finals, in grado di superare, per 7 voti a 4, un LeBron James capace di spingersi dove nessuno era mai arrivato, ovvero nel guidare entrambe le squadre per punti (35.8), rimbalzi (13.3) ed assist (8.8), ma incapace, da essere umano quale ogni tanto non sembra nemmeno essere, di guidare al titolo una squadra obiettivamente impresentabile qual’era Cleveland dopo gli infortuni a Kevin Love e Kyrie Irving. Ed Iguodala è stato il solo a riuscire a contenere, per quanto possibile, la furia del Prescelto, limitandolo ad un onesto 38% dal campo con 26 punti per 36 minuti e 2.9 palle perse, che salgono a 35 quando non è stato l’ex Sixers a difenderlo. Dopo Kawhi Leonard, anch’egli primo difensore delle scorribande di James nelle scorse Finals, ecco Iguodala, che ha comunque dato un apporto decisivo anche offensivamente, segnando 16.3 punti di media, con il 40% da oltre l’arco e con 9/14 da tre punti nei quarti periodi, e mettendo insieme le sue due migliori prestazioni stagionali proprio nelle Finals (22 punti in Gara 4, 25 in Gara 6). A ciò ha aggiunto 5.8 rimbalzi e 4 assist di media nella serie, oltre ad un eloquente +62 di plus/minus, il migliore delle Finals, che diventa -19 quando l’MVP è stato seduto in panchina. Iguoadala è, infine, il primo giocatore della storia NBA a vincere questo premio senza essere mai sceso sul parquet in quintetto durante la regular season.

#DubNation Forward @Andre earns 2015 #NBAFinals MVP! https://t.co/0EZ7ifhm4y pic.twitter.com/KHW8iGFI7n

— NBA (@NBA) 17 Giugno 2015

La vittoria dei Warriors passa anche dalla rinascita di Harrison Barnes, capace di tornare un fattore ed un concentrato di esplosività dopo l’anonima stagione scorsa, e dall’esperienza di Leandro Barbosa, capace di far svoltare una Gara 5 di complessa lettura con 13 punti in 17 minuti, togliendola dai binari dei Cavs per indirizzarla su quelli dei padroni di casa. Senza dimenticare, poi, l’ampia rotazione di lunghi, a partire da Andrew Bogut, protagonista di un’ottima regular season e persosi poi con l’andare dei playoff, passando per Marreese Speights, fermato in post-season da un infortunio che ne ha compromesso le prestazioni, David Lee, almeno parzialmente in grado di ripagare l’altissimo sforzo economico da 15 milioni di dollari con un paio di partite di sostanza nelle Finals e Festus Ezeli, che si è sempre fatto trovare pronto quanto è stato chiamato in causa, anche soltanto per pochi minuti.

In the end, @Warriors proved they were the NBA's best (via @AschNBA): http://t.co/wVMiLcPCFM pic.twitter.com/pMJ7MTKSX6

— NBA (@NBA) 17 Giugno 2015

Basta questa foto di squadra (e che squadra!) per capire quanto ci sia di straordinario in questo successo dei Warriors. Che, dopo la vittoria degli Spurs dell’anno passato, hanno confermato ancora una volta quanto il collettivo sia fondamentale e, sempre e comunque, migliore del singolo giocatore, per quanto forte possa essere. L’estate in California sarà quanto mai assolata e felice, sotto il sole di Oakland.

 

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