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INVIDIA: un’emozione inconfessabile

Da Elisabettaricco

INVIDIA: un’emozione inconfessabileIn psicologia l’invidia nasce da un confronto tra noi e gli altri ed è sgradevole sia per chi la “prova” che per chi la “riceve”.

Nel sociale, il pubblico non la gradisce ed è quasi sempre negata. E’ inconfessabile. E’ ripugnante. E’ vissuta in solitudine. Per questo è così importante avere uno spazio per parlarne e capirla meglio.

L’invidia è un sentimento molto comune e presente a tutte le latitudini. Le neuroscienze provano che è qualcosa di simile ad un dolore fisico.

Per il cattolicesimo è uno dei sette peccati capitali.

Per il buddismo è il fattore mentale che porta all’odio.

Per l’islam appartiene a chi non professa l’islam.

Spesso l’invidia è confusa con la gelosia, l’avidità e il rancore ma è un’emozione ben precisa e va studiata da più punti di vista.

Secondo una possibile interpretazione l’invidia colpisce: “L’inferiore che non vuole stare al suo posto”, il “subalterno” per status o per possibilità che ambisce a migliorare ma incanala questo desiderio nel modo errato.

Sintomi che segnalano l’invidia:

- Si “evita di cooperare” per non portare vantaggi alle persone che ci circondano.

- C’è qualcosa che non ci piace in una persona ma “non si riesce ad individuare cosa” … talora dietro questa vaghezza si cela l’invidia.

- Si diventa improvvisamente “critici” nei confronti degli altri.

- Si comincia ad usare “epiteti poco gentili” nei confronti di qualcuno (collega) che ha fatto carriera o che è riuscita a realizzare con successo un progetto.

- si cercano “giustificazioni ai successi degli altri”, ipotizzando possibili privilegi speciali.

- ci si sente “sfortunati e criticati”, si desidera che le persone vicine la smettano di esprimere pareri sulla nostre scelte.

Dante, nella divina commedia dove mette gli invidiosi? In purgatorio. Non li descrive con quell’aura di irreparabilità dei dannati, crede che forse sanzionandoli si possano salvare ( anche se in pochi!!) Le pene a cui li sottopone sfiorano la crudeltà.

Dante li raffigura mentre:

- si sostengono tra loro,

- sono appoggiati ad un monte,

- indossano abiti ruvidi e pieni di nodi,

- con le palpebre cucite da un filo di ferro.

Il sentimento di Dante è ambivalente: ha compassione per la loro pena ma manifesta una quasi totale estraneità all’invidia. In generale, l’invidia è un’emozione vissuta in solitudine: tutti si difendono dall’idea di provare questo sentimento.

Hidehiko Takahashi neurologo psichiatra dell’istituto di scienze radiologiche di Tokyo ha individuato le aree coinvolte (corteccia cingolata dorsale anteriore) nell’insorgere dell’invidia, scoprendo che sono le stesse che si “accendono” quando si prova un intenso dolore fisico. Hanno sottoposto 19 volontari ad una risonanza magnetica mentre osservano un filmato in cui erano “riprodotti” loro stessi e altri personaggi: quest’ultimi impersonavano ruoli tali da suscitare invidia per abilità, qualità e status sociale. In breve erano belli, ricchi e capaci di godersi la vita.

Una successiva domanda del ricercatore è stata: “Cosa succede nel cervello quando si prova un sentimento opposto all’invidia come il piacere? Quali aree cerebrali si attivano quando proviamo piacere per le disgrazie altrui specie se ricche e famose?”

L’area è quella dello striato ventrale. Quest’area è associata al piacere e all’appagamento ed è la stessa di quando mangiamo cioccolato e facciamo sesso o di quando vediamo scene divertenti. È probabile che vi possa essere in soggetti predisposti, anche la possibilità che si crei dipendenza verso queste forme di “piacere”.

L’Invidia è un freno all’evoluzione?

Secondo Matthew Liebermann – del dip. di psicologia dell’università della California – dato che le aree cerebrali coinvolte nella percezione del dolore e del piacere sono le medesime, si ipotizza che dal punto di vista evoluzionistico abbiano la stessa importanza in termini di sopravvivenza.

- la percezione del dolore fisico, è uno stimolo per la ricerca del superamento di esso.

- la percezione del piacere, è uno stimolo per la ricerca dell’appagamento di esso.

La mancanza di cibo, acqua, il freddo e altre situazioni spiacevoli spingono l’individuo verso una soluzione:

- questo comportamento di sopravvivenza è fondamentale per la selezione della specie

- lo stesso si può dire per la ricerca del piacere

Qual è il nesso tra l’invidia e altri sentimenti sociali con i fattori evoluzionistici?

Nei mammiferi la sopravvivenza dei cuccioli è strettamente dipendente dal rapporto, bonding-aggregazione, con i genitori e gli altri membri del gruppo. (a differenza di altre specie non sono in grado di procurarsi cibo, acqua, calore per molto tempo dopo la nascita) Vi è l’ipotesi che i bisogni sociali o social need, siano più importanti in termini evoluzionistici, dei bisogni fisici o physical need. Per Liebermann le relazioni con gli altri membri del gruppo sono importantissime perché rappresentano fattori di sopravvivenza positivi.

Se le responsabilità di accudimento, protezione sono distribuite all’interno di un gruppo, la possibilità di sopravvivenza del singolo è superiore. Il comportamento cooperativo, empatico è un fattore evoluzionistico essenziale in quanto fa crescere il gruppo. Pertanto, le spinte evoluzionistiche hanno selezionato individui in cui:

- i meccanismi neurali alla base di comportamenti sociali cooperativi ed empatici fossero gli stessi del piacere.

- i comportamenti legati all’invidia fossero gli stessi del dolore.

Lo scopo qual è? Tenere unito il gruppo per garantirne la sopravvivenza.

I volti dell’invidia

a. Emulazione: sentimento basato sulla percezione dell’eccellenza di qualcuno, sull’ammirazione per lo stesso, sul desiderio di somigliare, imitare o addirittura superare quella persona

b. Ferita naricisistica: è la sensazione che manchi qualcosa, si collega a sentimenti di inferiorità o di autostima ferita. Se è lieve viene vissuta come delusione. Se è grave porta a sentimenti di mortificazione e umiliazione

c. Bramosia: desideri di possedere qualcosa che gli altri possiedono

d. Rabbia verso chi possiede:

- quando è lieve si manifesta come infelicità e scontentezza

- in quelle moderate come risentimento rancoroso

- in quelle gravi si estrinseca come dispetto, malignità, malevolenza, desiderio di fare del male, di colpire colui che “possiede la cosa invidiata”

L’invidioso

Persona che desidera possedere ciò che altri hanno e che ritiene per un complesso di fattori, di non poter avere. L’invidia è indirizzata verso persone affini o simili per genere, età, professione. L’invidia si scatena verso persone vicine piuttosto che per personaggi famosi.

Dal latino “invidere” cioè guardare di traverso, in modo maligno. Lo sguardo è la rappresentazione dell’invidia. Gli occhi dell’invidioso sono caratteristici:

- Scrutano

- Spiano

- Osservano

- Fissano

- Ammirano

L’invidia è maschile o femminile?

Le culture e le società scoraggiano nelle donne un’atteggiamento fortemente competitivo (che di fatto è il lato positivo dell’invidia) fomentando questo sentimento che rimosso viene fuori deviato e potente come tutto ciò che non è permesso di esprimere.

Un’altra forma di invidia è quella che si manifesta in modo sfuggente e si nasconde dietro la maschera dell’ammirazione, del complimento, dell’adulazione. Pur nutrendo una profonda invidia si adula molto la persona invidiata. Come se la lusinga, aiutando a partecipare al successo altrui, mitigasse l’invidia.

Perché l’invidia è sgradevole? Perché ci si vergogna ad ammetterla? Perché è socialmente inaccettabile?

Forse perchè chi manifesta invidia riconosce implicitamente la superiorità (o l’idea della superiorità) dell’invidiato: difficile ammettere di non valere molto.

Aristotele sosteneva che “noi invidiamo coloro il cui successo risuona come un rimprovero fatto a noi”. Per alcuni studiosi l’invidia si origina da una “Comparazione di poteri” tra sé e gli altri. Secondo altri studiosi l’invidia nasce invece da un sentimento di profonda frustrazione di chi non è appagato dal proprio status (sociale, economico, psico-fisico, sentimentale ecc.). E invece di migliorare il proprio status si affida al livore verso gli altri, mettendo in atto strategie infide per abbassare la loro reputazione: denigrare, criticare, svalutare,insultare,picchiare, ingiuriare, sporcare, ecc.

Qual è il punto comune di queste possibili interpretazioni? L’invidia è il sentimento più o meno consapevole di sentirsi inferiore, da meno rispetto a qualcuno e il porre sé stessi come termine di paragone, non considerando che c’è chi “sta sotto” nella scala sociale o lavorativa. Generalmente non si considerano le diversità, le diverse competenze, le diverse risorse e le soggettività che nella valutazione e nella lente che usiamo per interpretare il mondo. Nella vita talora si è primi, talora si è secondi o terzi o ultimi.

L’invidia può diventare una patologia ?

Esiste una forma di invidia definita patologica o maligna che comporta la regressione del sentimento al suo stato primordiale cioè uno stato fatto di ostilità, odio intenso, avversione e aggressività molto esplicita. Chi ne soffre considera l’oggetto desiderato/invidiato come qualcosa che gli è stato rubato. È una visione distorta della realtà che conduce a reazioni aggressive non necessariamente sul piano fisico, bensì sul piano psicologico. È patologica quando occupa gran parte dei pensieri. L’autrice dell’articolo, Daniela de Vito, è una psicologa e psicoterapeuta che si occupa anche degli aspetti patologici dell’invidia.

Conclusione

Negli USA è normale identificarsi con il vincitore. D’altra parte, nelle culture latine chi riesce di più fa risuonare l’altrui “insufficienza”. Questa differenza è dovuta anche alle premesse culturali e ideologiche degli anglosassoni: con la riforma protestante luterana, hanno gettato le basi del protocapitalismo trasformando l’invidia in competitività. E proprio la trasformazione dell’invidia in una forma positiva di competitività può forse essere una delle strade per il suo superamento.

Bibliografia: Mente e Cervello – Wikipedia – Seminario dott. Daniela De Vito presso Accademia della Narrazione 2007


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