Il New York Times non è la Padania. I suoi lettori sono abituati da anni a ricevere quotidianamente lezioni di giornalismo imperniato sui fatti, perché se qualcuno prova a basarlo sulle bufale o, peggio, sulle notizie costruite ad arte viene licenziato in tronco. Anche il quotidiano più importante del mondo annovera fra gli aficionados casalinghe e alcolizzati, ma sono persone che pur nella sindrome del forno pulito e della “bionda” da tracannare a litri mantengono, come direbbero loro stessi, un invidiabile self-control. Per cui se leggono nelle pagine dei commenti che il presidente del consiglio italiano è “persona dedita ai baccanali”, non si sognerebbero mai di dare dei “comunisti” ai giornalisti del NYT. Poi gli americani, popolo pruriginoso come nessuno ma profondamente quacquero dentro, continuano a leggere e si rendono conto che la situazione italiana è più seria di una risata, e che il “petit guignol” allestito da Silvio Berlusconi rischia di mettere a dura prova l’intera economia del Vecchio Continente. Così Frank Bruni, ex corrispondente del NYT da Roma, dopo un’analisi spietata dell’interregno berlusconiano, termina il suo articolo scrivendo: “Il cammino dell'Italia dalla gloria al ridicolo, spianato dalle distrazioni legali e carnali del premier, non dà benefici a nessuno. L'Italia ha una storia che dovrebbe rappresentare un monito per molte democrazie occidentali che si sono fatte cullare dal comfort nella compiacenza di sé. Aver tollerato tante buffonerie ha provocato troppi danni”. Siccome non ci risulta che Frank Bruni sia un iscritto al Pd, all’Idv o al circolo anarchico di Livorno, dobbiamo ritenerlo sufficientemente attendibile quando compie un’analisi che si limita a considerare i fatti non offrendo il fianco alla pochezza delle insinuazioni. Ma che ci volete fare, il giornalismo americano è fatto così! E tanto per dimostrare anche agli italiani che il buon Bruni non ha preso una bufala, basta vedere cosa sta accadendo in queste ore di fuga del premier dai giudici di Napoli. Ripercorriamo un attimo la storia. Valter Lavitola e Gianpi Tarantini hanno l’abitudine di sentirsi al telefono. Siccome non sono degli stinchi di santo, i cellulari sono stati messi sotto controllo. Le cose che si dicono, e i fatti che si raccontano, attirano l’attenzione dei giudici e una frase, soprattutto, li incuriosisce, quella in cui Tarantini dice a Lavitola: “Bisogna tenerlo per le palle”. Il soggetto, difficile da tenere attraverso attributi in continuo movimento, è il presidente del Consiglio al quale il “pappa Gianpi” procura carne fresca proveniente dal Tavoliere ogni notte. I giudici indagano e scoprono che sul conto corrente di Tarantini sono stati versati da Valter Lavitola la bellezza di 850mila euro provenienti a loro volta dai conti di Berlusconi. “Perché Silvio versa soldi a Tarantini – si chiedono gli investigatori – vuoi vedere che sotto c’è un bel ricatto?”. Gianpi finisce in galera, Lavitola è un esule craxiano a Panama e Berlusconi, parte lesa, è chiamato a testimoniare sul perché quel fiume di denaro sia finito nelle tasche di Tarantini e signora. Ma Silvio la prende male. Sbruffone com’è non accetta di essere “solo” parte lesa. Lui o è un imputato con i riflettori puntati addosso, e una schiera di legali pronto a difenderlo, o a fare la parte del comprimario non ci sta proprio. Nonostante tutto, vista l’insistenza dei magistrati, Silvio fissa loro un appuntamento a Palazzo Chigi. Ieri, martedì 13 settembre, dovrebbe essere il gran giorno, ma nel frattempo accade qualcosa. Niccolò Ghedini, che ormai lo conosce come le sue tasche, gli consiglia di non parlare, di non testimoniare, di non dire nulla. Sa, l’avvocato del premier che, lasciato solo, Berlusconi è una mina vacante innescata e che un leggero movimento di sopracciglia da parte di Woodcock, potrebbe causargli una crisi isterica dalle conseguenze facilmente prevedibili: arresto immediato e trasferimento a Poggioreale. Gli consiglia allora di andare a prendersi un decaffeinato a Strasburgo, ché tanto se non se lo fila nessuno non è un gran danno, e l’appuntamento salta. Con una flemma molto apparente, Giovandomenico Lepore, procuratore capo di Napoli, gli augura buon viaggio mentre con i suoi pm predispone gli atti per un aut aut al premier. Gli offrono quattro giorni, dal 15 al 18 settembre, per liberarsi di tutti gli impegni istituzionali (nonostante il legittimo impedimento non riguardi i testimoni ma solo gli indagati) e fare quindi quella chiacchierata amichevole con loro. Ma, fatta la proposta, si rendono immediatamente conto che Silvio sta già pensando di turlupinarli ancora una volta ricorrendo al suo amico Vlady Putin, disposto a ospitarlo per il fine settimana. Sentitisi presi per il culo, i magistrati napoletani lo minacciano di accompagnamento coatto, che significa farlo mandare a prendere dai carabinieri, e glielo notificano per mezzo di una pattuglia della Digos. Pur sapendo che l’accompagnamento coatto nei confronti di un parlamentare può essere eseguito solo previo consenso della Camera di appartenenza, i giudici gli mandano a dire chiaro e tondo che in caso di rifiuto porranno in essere tutti gli atti previsti dalla Costituzione in questi casi: insomma, non si fermeranno. Evidentemente non fidandosi più della sua maggioranza, Silvio accetta di incontrare i giudici nelle prossime ore. Vedremo. Nel frattempo, pur di sfuggire all’interrogatorio, c’è da dire che Silvio aveva predisposto e consegnato ai pm partenopei una memoria nella quale raccontava come secondo lui si erano svolti i fatti. Una volta letta la memoria, i pm l’avevano giudicata “non sufficiente”, da qui la decisione di ascoltare di persona il testimone. La memoria, che aveva per titolo “Perché non ho alcuna intenzione di giacere nel letto di Bismarck con Angela Merkel”, riportava tutte le avances della Cancelliera tedesca delle quali, dice lui, è stato vittima. Addentrandosi nella descrizione della lingerie di Angelina, Silvio aveva dato anche le misure del didietro della Cancelliera addivenendo alla conclusione che trattasi di “culona inchiavabile”. E poi uno dice che i giudici sono comunisti.
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Io coatto, tu coatti...Nella “memoria” di Silvio ai pm la vera storia delle avances di Angela Merkel nei suoi confronti
Creato il 14 settembre 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Il New York Times non è la Padania. I suoi lettori sono abituati da anni a ricevere quotidianamente lezioni di giornalismo imperniato sui fatti, perché se qualcuno prova a basarlo sulle bufale o, peggio, sulle notizie costruite ad arte viene licenziato in tronco. Anche il quotidiano più importante del mondo annovera fra gli aficionados casalinghe e alcolizzati, ma sono persone che pur nella sindrome del forno pulito e della “bionda” da tracannare a litri mantengono, come direbbero loro stessi, un invidiabile self-control. Per cui se leggono nelle pagine dei commenti che il presidente del consiglio italiano è “persona dedita ai baccanali”, non si sognerebbero mai di dare dei “comunisti” ai giornalisti del NYT. Poi gli americani, popolo pruriginoso come nessuno ma profondamente quacquero dentro, continuano a leggere e si rendono conto che la situazione italiana è più seria di una risata, e che il “petit guignol” allestito da Silvio Berlusconi rischia di mettere a dura prova l’intera economia del Vecchio Continente. Così Frank Bruni, ex corrispondente del NYT da Roma, dopo un’analisi spietata dell’interregno berlusconiano, termina il suo articolo scrivendo: “Il cammino dell'Italia dalla gloria al ridicolo, spianato dalle distrazioni legali e carnali del premier, non dà benefici a nessuno. L'Italia ha una storia che dovrebbe rappresentare un monito per molte democrazie occidentali che si sono fatte cullare dal comfort nella compiacenza di sé. Aver tollerato tante buffonerie ha provocato troppi danni”. Siccome non ci risulta che Frank Bruni sia un iscritto al Pd, all’Idv o al circolo anarchico di Livorno, dobbiamo ritenerlo sufficientemente attendibile quando compie un’analisi che si limita a considerare i fatti non offrendo il fianco alla pochezza delle insinuazioni. Ma che ci volete fare, il giornalismo americano è fatto così! E tanto per dimostrare anche agli italiani che il buon Bruni non ha preso una bufala, basta vedere cosa sta accadendo in queste ore di fuga del premier dai giudici di Napoli. Ripercorriamo un attimo la storia. Valter Lavitola e Gianpi Tarantini hanno l’abitudine di sentirsi al telefono. Siccome non sono degli stinchi di santo, i cellulari sono stati messi sotto controllo. Le cose che si dicono, e i fatti che si raccontano, attirano l’attenzione dei giudici e una frase, soprattutto, li incuriosisce, quella in cui Tarantini dice a Lavitola: “Bisogna tenerlo per le palle”. Il soggetto, difficile da tenere attraverso attributi in continuo movimento, è il presidente del Consiglio al quale il “pappa Gianpi” procura carne fresca proveniente dal Tavoliere ogni notte. I giudici indagano e scoprono che sul conto corrente di Tarantini sono stati versati da Valter Lavitola la bellezza di 850mila euro provenienti a loro volta dai conti di Berlusconi. “Perché Silvio versa soldi a Tarantini – si chiedono gli investigatori – vuoi vedere che sotto c’è un bel ricatto?”. Gianpi finisce in galera, Lavitola è un esule craxiano a Panama e Berlusconi, parte lesa, è chiamato a testimoniare sul perché quel fiume di denaro sia finito nelle tasche di Tarantini e signora. Ma Silvio la prende male. Sbruffone com’è non accetta di essere “solo” parte lesa. Lui o è un imputato con i riflettori puntati addosso, e una schiera di legali pronto a difenderlo, o a fare la parte del comprimario non ci sta proprio. Nonostante tutto, vista l’insistenza dei magistrati, Silvio fissa loro un appuntamento a Palazzo Chigi. Ieri, martedì 13 settembre, dovrebbe essere il gran giorno, ma nel frattempo accade qualcosa. Niccolò Ghedini, che ormai lo conosce come le sue tasche, gli consiglia di non parlare, di non testimoniare, di non dire nulla. Sa, l’avvocato del premier che, lasciato solo, Berlusconi è una mina vacante innescata e che un leggero movimento di sopracciglia da parte di Woodcock, potrebbe causargli una crisi isterica dalle conseguenze facilmente prevedibili: arresto immediato e trasferimento a Poggioreale. Gli consiglia allora di andare a prendersi un decaffeinato a Strasburgo, ché tanto se non se lo fila nessuno non è un gran danno, e l’appuntamento salta. Con una flemma molto apparente, Giovandomenico Lepore, procuratore capo di Napoli, gli augura buon viaggio mentre con i suoi pm predispone gli atti per un aut aut al premier. Gli offrono quattro giorni, dal 15 al 18 settembre, per liberarsi di tutti gli impegni istituzionali (nonostante il legittimo impedimento non riguardi i testimoni ma solo gli indagati) e fare quindi quella chiacchierata amichevole con loro. Ma, fatta la proposta, si rendono immediatamente conto che Silvio sta già pensando di turlupinarli ancora una volta ricorrendo al suo amico Vlady Putin, disposto a ospitarlo per il fine settimana. Sentitisi presi per il culo, i magistrati napoletani lo minacciano di accompagnamento coatto, che significa farlo mandare a prendere dai carabinieri, e glielo notificano per mezzo di una pattuglia della Digos. Pur sapendo che l’accompagnamento coatto nei confronti di un parlamentare può essere eseguito solo previo consenso della Camera di appartenenza, i giudici gli mandano a dire chiaro e tondo che in caso di rifiuto porranno in essere tutti gli atti previsti dalla Costituzione in questi casi: insomma, non si fermeranno. Evidentemente non fidandosi più della sua maggioranza, Silvio accetta di incontrare i giudici nelle prossime ore. Vedremo. Nel frattempo, pur di sfuggire all’interrogatorio, c’è da dire che Silvio aveva predisposto e consegnato ai pm partenopei una memoria nella quale raccontava come secondo lui si erano svolti i fatti. Una volta letta la memoria, i pm l’avevano giudicata “non sufficiente”, da qui la decisione di ascoltare di persona il testimone. La memoria, che aveva per titolo “Perché non ho alcuna intenzione di giacere nel letto di Bismarck con Angela Merkel”, riportava tutte le avances della Cancelliera tedesca delle quali, dice lui, è stato vittima. Addentrandosi nella descrizione della lingerie di Angelina, Silvio aveva dato anche le misure del didietro della Cancelliera addivenendo alla conclusione che trattasi di “culona inchiavabile”. E poi uno dice che i giudici sono comunisti.
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