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“Io e lei”: finalmente, la normalità

Creato il 02 ottobre 2015 da Unarosaverde

Ieri sera, nonostante la cronica carenza di sonno, sono stata al cinema, causa curiosità. Era una serata di preludio all’autunno, il cui fresco malinconico era accentuato dal deserto serale del centro di Brescia. E’ sempre stato così, da che mi ricordi, da quando vivevo in una stanzetta di pensionato cattolico a mezzo passo dal Corso, durante i primi anni dell’università, alle incursioni periodiche a cena o per, appunto, un film, nei periodi in cui lavoravo come adesso nella sua periferia. Impossibile bersi un caffè al bar dopo le otto la sera:il centro è vuoto, sbarrato come le persiane di una casa riottosa e, ma questa è una novità, pattugliato dalle forze dell’ordine. I passi rari risuonano tra le vie, amplificati dal vuoto.

Sono uscita dal cinema, dopo aver visto un film piacevole, con una serie di sensazioni contrastanti, che adesso vi elenco in modo ordinato, così condiziono il cervello in attesa di un’altra giornata di numeri da analizzare:

  • è un evento, nel panorama cinematografico italiano, vedere un film che racconta una storia d’amore omosessuale senza tingerla di toni scabrosi, crepuscolari, equivoci, erotici, volgari, ma calandola con tutta semplicità in un interno italiano e seguendo la quotidianità normale di una coppia normale. Normale, appunto, è la parola chiave che alla fine della visione dovrebbe aleggiare nel subcosciente e trovare un posto in cui accomodarsi, perché normale è, come lo siamo tutti, noi che scegliamo di vivere la nostra vita così come ce la sentiamo o come ce la fanno vivere gli altri: è normale decidere o farsi capitare di restare da soli a vita, di cambiare partner con la stessa frequenza di uno spazzolino da denti, di scegliere di diventare suore o preti, di non avere figli, di darne alla luce una decina, di lavorare tutta la vita fino a ottant’anni, di lavorare a spizzichi e bocconi quando capita, di dedicarsi all’accattonaggio, di vestirsi solo di rosa, di andare sempre in giro a gambe nude anche in inverno, di scegliere una professione che faccia del bene a molti, di sceglierne un’altra che faccia del bene solo a se stessi, di essere intransigenti al limite del ridicolo, di lasciarsi scivolare addosso ogni cosa. Quasi ogni nostro comportamento è normale, perchè siamo milioni di esseri, su questo pianeta, e se facciamo una statistica, troveremmo pochi rari casi di unicità e molti sentimenti accomunabili. Ed è normale anche decidere che una cosa ci piace o non ci piace, perchè non andremo mai tutti d’accordo, e come sempre succederà che qualcuno pensa che i gay siano malati, e starà bene con questa convinzione, così ci sarà un altro che non ci farà neppure caso, E pace all’intrinseca incoerenza di chi professa amore e accettazione, ma apre le braccia agli altri solo quando l’altro è come lui, e a chi punisce un assassino macchiandosi dello stesso reato che sta unendo. Noi siamo uomini, più o meno evoluti, e come ci comportavamo duemila anni fa, così ci comportiamo ora: cambiano i mezzi, non scriviamo più i nostri pensieri incidendoli su una roccia, ma ticchettiamo sui tasti di una tastiera per far accendere e spegnere una scia di elettroni. Cosa c’è di strano se siamo uno diverso dall’altro? Adeguarci a comportamenti stereotipati denuncia solo pigrizia intellettuale, non indica la verità assoluta.  In conclusione, era ora che arrivasse un film normale su una coppia normale composta da due persone dello stesso sesso anche in Italia. Spero non resti un caso isolato: mi piacciono le storie d’amore. E anche se, per me, nessuna sarà mai all’altezza della dinamica raccontata da Orgoglio e Pregiudizio o da Molto rumore per nulla, continuerò a leggere romanzetti rosa di infima categoria e a vedermi commediole più o meno divertenti.
  • il lieto fine, atteso, accade con un pizzico di passione che manca, nel resto della storia, quasi come se nel cercare di veicolare il normale di cui sopra la regista si sia imbavagliata, ma la passione mi è suonata poco credibile perchè non supportata da precedenti accenni. Forse si poteva usare di più, proprio per farlo sembrare più normale.
  • Le attrici sono bravissime, ma questo lo si poteva immaginare già prima: si va sul collaudato che permette il gioco di relazione tra due persone di estrazione sociale diversa che si incontrano e si innamorano. Si ride anche, di battute non forzate e ben disposte. Non ci sono accenni però a come sia successo che le protagoniste si siano innamorate. Peccato, avrebbe potuto contribuire con una sfumatura importante al racconto. Eppure non deve essere stato facile per Federica, architetto divorziato e madre, innamorarsi di Marina, che invece si conosce bene e sa cosa vuole. La storia pregressa ci è negata: lo spettatore inizia ad entrare nella casa delle due nel momento in cui la convivenza dura da cinque anni e la solidità della relazione viene messa alla prova dal dubbio e dal ripensamento di Federica.
  • Quanto le incertezze di Federica che portano al tradimento siano colpa del condizionamento culturale e quanto invece derivino dalla fragilità del sentimento, non mi è ben chiaro. Sembra che tutto derivi dalla paura dell’accettare se stessi e dalla mancanza di coraggio nell’affrontare l’opinione e il giudizio altrui, ma le storie di tradimenti dell’amore supposto  vero mi lasciano sempre un po’ di amaro in bocca perchè mi chiedo quanto, con un po’ di onestà intellettuale, avrebbero potuto essere evitate. In questo caso è stato più amaro ancora perchè Federica non dice mai, quando si rende conto di avere sbagliato, che le dispiace di aver fatto soffrire Marina, la persona che ama, ma il suo dolore pare incentrato solo su se stessa e sulla difficoltà a trovare le risposte giuste. Mi è mancato qualcosa.
  • Ho adorato ogni singolo vestito scelto per Federica e gli oggetti di design italiano che puntinavano gli interni. Non so che dirvi: mi è sempre piaciuta, nei film e telefilm italiani, questa autoreferenzialità sulla nostra capacità di creare e scegliere il bello. Non faremo sempre e solo cose sbagliate, no? E, a proposito, niente visioni di lingerie di pizzo e malizia, ma pigiami meravigliosi: sono andata via dal cinema prima di aver letto di che marca fossero.

In conclusione, quando arriverà sui circuiti televisivi, lo riguarderò, probabilmente, perché per quanto non indimenticabile è una storia piacevole e coraggiosa.

In programma, invece, il prossimo film da cinema che vedrò sarà quello su Snoopy, tra un mese, giusto per saltare di palo in frasca, e ho deciso che aspetterò, invece, che qualcuno mi presti Inside Out. Le mie serate nelle prossime settimane saranno sempre di più occupate da corsi di cucina – con un’incursione attesissima nel mondo della panificazione – e da un paio di concerti di musica classica.

Peccato che i miei  giorni si sprechino tra inani fatiche: ho sempre di più la sensazione che dovrei prendere anche io una decisione coraggiosa, un po’ come la Federica del film, e trovarmi un nuovo quanto di energia in cui stare un po’ più comoda.


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