Anche se mi considerano un fesso
di Andrea Signori
Fioccano programmi televisivi sulle ultime vicende pseudo politiche. L’opinione pubblica è scossa (forse). Durante una trasmissione mi ha colpito molto una frase. Il corrispondente straniero di una testata giornalistica afferma: “Fuori dall’Italia colpisce non tanto il relativo squallore della vicenda, ma il silenzio della nazione. Qui ci si chiede dove siano gli italiani ‘dissidenti’. Nauseati? Esausti? Rassegnati? Tanto stanchi da non voler nemmeno commentare? Sappiatelo: chi non alza la voce, chi non si fa sentire, chi non dissente è implicitamente connivente”.
E allora no. Io alzo la voce. Perché non ci sto. Ma la predica è l’ultima cosa da fare. Lascio il moralismo a chi vuole accaparrarsi voti. Anche perché, di solito, è un’arma a doppio taglio. Non credo che il mondo si aspetti soltanto una bella filippica sulla moralità della faccenda. Piuttosto dobbiamo far capire quale sia il vero Italian Style.
Ascolto i telegiornali e cerco di scrollarmi di dosso la sensazione dominante: “Ah, sempre le solite storie…”. Sì, sempre le solite. Ma è possibile? Cerco di capire qual è il problema. Che cosa mi disturba davvero di tutto questo? Posso escludere subito il ritornello classico del Fedele Difensore: “Tromboni di sinistra, siete solo invidiosi!” No. Non lo sono proprio. Neanche per idea!
La prostituzione come strumento di scalata al potere? Sì, certamente. E’ da persone misere cercare di far carriera con il sesso. Un Paese dovrebbe disporre di una classe dirigente selezionata per merito, competenza, ambizione. Il cui biglietto da visita siano il carisma e l’onestà. Non le prestazioni sessuali. Non credo che i costumi sessuali rendano una persona migliore di un’altra. Ma le signorine di cui tanto si parla si prostituiscono con uno scopo ben preciso. Non come Bocca di Rosa, per passione. Questa è la vera eversione in atto oggi in Italia: sovvertire le capacità e i valori di base del “politico minimo”. E’ un meccanismo quotidianamente all’opera. Ci viene iniettato per strada, urlato in televisione, servito sui giornali. Il messaggio è semplice: l’onore è un prezzo accettabile (addirittura basso) da pagare in cambio di ricchezza e notorietà.
Ripeto: non voglio fare il moralista. Non si tratta di dire: “Tutto questo è sbagliato”. Oppure: “Forse dovremmo essere più sobri, meno scollati, meno espliciti”. Non sono d’accordo. Si può vivere nella società dell’immagine mantenendo una dignità. E il disincanto.
Inoltre mi irrita moltissimo la grande presa di queste vicende sull’opinione pubblica. Enorme, se paragonata alla leggerezza, alla svogliatezza e alla noia attorno agli scandali legati alla giustizia, alla costante volontà di fare scempio delle istituzioni, alle ipotesi di collusione con le stragi di mafia. Davvero ci interessa più Lele Mora delle stragi dalle cui ceneri è nata la Seconda Repubblica? Sì? Allora siamo proprio stupidi e ottusi.
Ma, più di ogni altra cosa, mi rivolta sentire le persone al potere (che dovrebbero essere di esempio per noi giovani) sussurrare subdole: “Ragazzi… ma per che cosa vi affannate? Non l’avete ancora capito? Nella vita contano i soldi, le conoscenze e una buona taglia di reggiseno. Se siete disponibili a vendervi è ancora meglio. Studio e impegno: cazzate. Guardate noi: siamo ai piani alti non certo per la qualità della nostra vita e del nostro lavoro”.
Delusione. Profonda. Totale. Perché io credo nello studio, nel lavoro onesto, nell’impegno quotidiano. Con tutto me stesso. E non sono disposto a vendere onore e dignità per ottenere un posto migliore. Ho 23 anni, sono laureato in fisica e mi sbatto per ottenere la laurea magistrale. Scrivo per passione. Cerco di guadagnare qualcosa per aiutare i miei genitori. Mi mantengono, e già lo sappiamo: se volessi imbarcarmi nell’avventura della ricerca scientifica in questo Paese, probabilmente dovrebbero aiutarmi anche in futuro. Mi impegno per avere relazioni personali di qualità. E ancora una volta non mi rassegno davanti a un mondo per il quale sono solo un fesso.