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Io, numero 666

Creato il 14 giugno 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

Io, numero 666

Perché non faccio diario?
Perché è noioso nella sostanza che non c’è.

La vita di chiunque è fondamentalmente noiosa: però quando si tratta di raccontarla su carta, agli amici, o di darla in pasto a cani e porci con un mezzo artificioso qual è il blog, allora la vita di tutti diventa straordinaria, al limite dell’impossibile, perfetta e perfettamente tragica. Ogni più piccolo accadimento della nostra banale vita, una volta in Rete, assume le mostruose sembianze di quei protagonisti obesi e incapaci che riempiono le soap-opera dell’America Latina.
Sia come sia…
Stamattina mi sono alzato. Non avevo voglia d’andare al lavoro. In verità non avevo neanche voglia d’alzarmi per andare a pisciare, nonostante la vescica piena che per tenere la pipì dentro ero costretto a stare come un gamberetto arrotolato su sé stesso. Sì, in posizione fetale. Però quando si è nudi, in mutande, con gli occhi cisposi e il desiderio di non muovere paglia non si è innocenti come un feto nel grembo materno, tutt’al più si può assomigliare a dei gamberi finiti nella rete d’un maledetto pescatore d’anime qual è Dio.
Dov’ero rimasto? Ah, sì… di alzarmi nessuna voglia, ma l’ho fatto, mi sono trascinato fino in bagno, ho tirato fuori il mio pipino e ho pisciato a lungo. Finito di pisciare, niente più dolore. Due passi e sono davanti allo specchio: la faccia è la stessa, quella che conosco da quando sono nato, più o meno, solo che non reca più alcuna traccia d’innocenza, nemmeno lo spettro. Lo specchio mi restituisce la mia faccia arruffata: la barba in disordine, la testa uguale a una palla da bowling. Prendo shampoo e balsamo, li mischio insieme, me li passo sul pelo irto e vedo che si può fare per farlo sembrare serico: in pratica mi lavo la faccia. Mi asciugo. Appena in tempo. Mi scappa. Devo cagare. Mi siedo sulla tazza del cesso: i bordi sono sempre belli freddi, stimolano il desiderio d’urinare, e tiro giù una merda monumentale, proprio bella, intatta, un pezzo unico. Non si trattasse d’una volgare merdaccia come tante, meriterebbe una foto ricordo. E invece è solo una cacca marrone, di un giovane maschio, di uno che mangia e mangia bene. Tiro l’acqua. Controllo le mutande: non c’è alcuna striatura di merda, né invadenti presenze di macchie d’urina o di sperma. Potrei fare a meno di cambiarmela. Però mi ricordo l’urlo tuonante di mia madre, che ancora mi fa eco da orecchio a orecchio, e così mi cambio le mutande. Che belle che sono le mutande bianche e fresche! A questo punto, a piedi scalzi, raggiungo la cucina e metto su la moka per un caffè. Nell’intanto che aspetto che venga su, affronto il dentifricio in bocca: in tutti questi anni non sono ancora riuscito a trovarne uno commestibile, ogni volta è un supplizio tutto quel sapone in bocca – che sembra bava d’un cane rabbioso col pisello in tiro. Mi consolo sapendo che di denti io ne ho trentatré e tutti perfetti, non una carie: già, trentatré, uno in più rispetto a tutti gli altri bastardi di questo mondo. Il caffè tracima. Poco me ne importa. Spengo il fornello e butto quel che è rimasto nella caffettiera in una tazzina: quattro cucchiaini di zucchero e ingollo il tutto sin tanto che è ben caldo. Sempre scalzo arrivo fino al computer, lo accendo, controllo velocemente la posta, digito le famose www e controllo un paio di siti, poi apro il lettore multimediale e faccio partire degli mp3 di servizio, solitamente del rock o del soul: o Freddie Mercury o Marvin Gaye, e non poche volte Andrea Bocelli o Placido Domingo. Mi scaldo la voce, più per fare dispetto ai vicini che non per darmi piacere: sono stonato più d’una campana e me ne rendo perfettamente conto, per questo motivo canto. E mentre canto apro le imposte: aria fresca. A questo punto sono definitivamente sveglio. Mi vesto, senza ricercatezza: il mio guardaroba è modesto, annovera perlopiù capi casual, tutti rigorosamente d’un bel blu scuro o d’un bel nero. C’è qualche pantalone d’un verde militare, per il resto ho solo capi o blu o neri.
Mi scappa. Un goccio, una lacrima, niente di più. Però è bello scrollarselo un’altra volta: adesso il pipino è pronto ad affrontare la solita battaglia quotidiana, quella di resistere soffocato dentro alle mutande per quattordici ore come minimo.
Non piove. Odio il sole, così metto su gli occhiali da sole.
Prima d’uscir di casa getto un’occhiata a un paio di pile di libri: ne ho già letti parecchi in vita mia di libri, e ogni volta mi domando perché mi ostino, perché continuo a leggere. E’ un modo stupido di perdere tempo. I contemporanei non mi piacciono granché: solo qualche rarissima volta riesco a trovare un testo che ha meritato il mio prezioso tempo. Più gli anni passano e più mi convinco che il tempo è prezioso, troppo perché lo si possa dilapidare leggendo libri che non valgono un’acca. Però mi ostino, leggo: spero sempre d’incontrare un miracolo. Con una smorfia chiudo la porta di casa e scendo le scale per andare incontro a quel rompicoglioni del portinaio: oramai non ci salutiamo più. Abbiamo litigato. Lui è un padano, cioè uno di quelli che tifa per la Lega Nord, e io un giorno non ho più sopportato più tutte le sue rimasticate farneticazioni ed allora gliel’ho cantate sui pochi denti che ancora si ostinavano a reggersi sulle gengive.
A questo punto dovrei dire della mia giornata lavorativa. Preferisco di no.
Però posso dirvi della pausa caffè.
E’ degna d’un Sofocle.
Tutti i rancori vengono a galla. Ma immagino sia così un po’ dappertutto, quindi perché lagnarsi? In ogni modo, ci si scorna per bene. I caffè si fanno freddi in mano, e i fumatori corrono alla più vicina uscita d’emergenza per rifarsi i polmoni. A graffiare di più, al solito, sono sempre le donne: non risparmiano né le colleghe né i colleghi, e nemmeno il trans. Ce n’è uno in tutto l’ufficio. Nessuno se lo fila, neanche io a dire il vero: è che lui è di Destra, ma proprio convinto, e cattolico per giunta. Insomma per uno come lui non è che abbia scelto una fede proprio tanto libertaria. E però ci crede. Parlare con lui equivale a tagliarsi le vene: meglio affrontare una frotta di testimoni di Geova piuttosto che discutere un solo minuto con lui. A modo nostro ognuno di noi gli vuole bene. Quelli che invece no, dicono che è la mascotte dell’ufficio. Così sia!
Durante la pausa nessuno che abbia degli spiccioli, comunque non a portata di mano. Tutti ad elemosinare, chi per il caffè e chi per il profilattico perché farlo in piedi nei cessi è sì eccitante ma rischioso, e allora meglio mettergli la tutina al pipino prima che si becchi qualcosa di fatale. Già! Durante la pausa i cornuti diventano più cornuti e le puttane più puttane. In effetti non c’è niente di strano: presumo sia così in tutti i luoghi di lavoro. Quando qualcuno passa da me a mano tesa al massimo gli stringo la mano – che è già di per sé un atto non poco temerario. Spiccioli gli dico che non ne tengo, anche se non è vero: se cominci a dare spiccioli in giro, in capo a una settimana prendi il vizio, peggio delle sigarette. Ho smesso di fumare… perché me le scroccavano. Ero stufo di pagare io per il piacere altrui. E anche per la morte altrui. ‘Fanculo.
La pausa caffè è quanto di più efferato possa esistere: vola sterco per tutti, le lite verbali – e non solo verbali – sono all’ordine del giorno. Se uno fosse furbo eviterebbe di raccogliersi insieme alle pecore di fronte alla macchinetta del caffè. Però se non stai in mezzo a loro, intendo con le pecore, non saprai mai se la tua ex se l’è fatta con il tuo capo, ad esempio: è un mondo crudele, felicità a momenti, vita intensa, nostro grande cuore e nostra piccola vita parafrasando una bella quanto amara canzone cantata da Tonino Carotone.
La giornata tras-corre così, più o meno: nell’arco d’una giornata la pausa caffè diventa due e tre e quattro anche; ci sono state giornate tragiche che hanno richiesto uno straordinario d’un’ora o più e allora si è arrivati anche a sei e persino a sette pause.
Il pullman – già! -, per tornare a casa occorre che lo prenda. Al mattino è una tragedia, nel pomeriggio di più. Il pullman arriva che è strapieno di genti di tutti i colori, appena le porte si aprono m’invade una zaffata nauseabonda di sudore rancido che metterebbe kappaò Cassius Marcellus Clay, meglio noto come Muhammad Ali-Haj. Mi faccio coraggio e salgo: neri gialli bianchi, tutti ugualmente sporchi, e poi dicono che l’integrazione sociale è fallita, o anche che è un fallimento su tutta la linea. Non sulla linea che prendo io: l’odore è così spesso che sarebbe più salutare fumare sterco di vacca piuttosto che respirare. Bisogna farsi spazio, perché tutti sono ammassati contro le porte, i posti a sedere occupati e quelli in piedi pure, i più fantasiosi hanno trovato un posto per terra insieme alle borse e quelli di spirito scimmiesco lungo i sostegni. Ci sono quelli che fanno a gara, appesi ai sostegni si esibiscono, mostrano gli addominali, fanno ginnastica, mostrano i bicipiti. Uno potrebbe pensare che si tratti di albanesi o di negri, e invece no, sono napoletani nostri, proprio nostri, perché gli altri non parlano se non con occhiate che ti fulminano lì sul momento. Solo dopo che ti sei abituato al puzzo nauseabondo che t’ha stordito vedi che quelli che avevi scambiato per addominali e bicipiti in realtà sono pance oltremodo pelose e braccia porcine. Gli anziani si segnano, a ogni chiesa che si passa, per la precisione tre nel tratto di percorso che faccio io, e c’è almeno una vedova nera di lunghissima data che si segna e mormora avemaria mostrando una bocca sdentata eccetto per un incisivo superiore che fa da muro al poco fiato che c’ha ancora nei polmoni e che sa di incenso andato a male.
Una volta a casa, una volta che ho eluso la guardia del portiere, una volta che ecc. ecc. ecc., finalmente nel mio appartamento la prima cosa è aprire il frigo e trovare qualche cosa da bere: prediligo i succhi di frutta, possibilmente gusto tropicale. O mela verde. Bevo, circa mezzo litro di buon succo di frutta.

[…]

Che volete? che continui con questa noia?
Volete sapere quante volte sono andato a pisciare e quante seghe mi sono fatto, se ho visto la tivù o sono andato al cine, se ho scopato e in che posizione?
Posso dirvi che ho scritto questa grandissima boiata, perché sì, questa pagina di diario non è altro che inutilità per me che l’ho messa nero su bianco e per voialtri che da perfetti idioti ve la siete scolata manco fosse un buon bicchiere di rosso Barbera.


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