L’amore per sua natura è un sentimento unico ed universale.
A Venezia, fino al 15 aprile presso la Fondazione Bevilacqua La Masa, la mostra Io, tu, lei e lui.
Curata da Francesco Ragazzi e Francesco Urbani la mostra sviluppa il tema dell’amore queer, partendo da una serie di scatti fotografici realizzati in laguna negli anni ‘30 e ‘40 del Novecento. Ai giovani artisti selezionati, Antonio Bigini e Rachele Maistrello, Tomaso De Luca, Sabina Grasso, Andrea Romano e Annatina Caprez il compito di raccontare quest’amore riattualizzando la narrazione alla contemporaneità.
All’interno dei sommovimenti lagunari che nell’ultimo anno hanno sviluppato un laboratorio artistico sulla cultura queer, questa crea uno storyboard sulla memoria del movimento LGBT senza l’ipocrisia di non dover parlare di certe cose, di certe minoranze, di certi contenuti considerati, ancora nel 2012, un tabù.
Venezia in questo senso, così come società avanzate e progressiste come Los Angeles ma anche New York, Londra, e tante altre, celebra una mostra giovane, di una realtà fatta di delicati pensieri e di confronti che chiedono di essere visti, dando dignità a un sentimento per sua natura universale.
Workshop, seminari e proiezioni completano il percorso espositivo: tra tutti la pellicola Je, tu, il, elle, lungometraggio di Chantal Akerman, manifesto del cinema sperimentale e della ricerca sull’identità, che dà il titolo alla mostra, e ancora Jean Vigo, e Luchino Visconti, Tsai Ming Liang e una videoinstallazione di Arin Rungjang.
Spesso per paura, chiusi in circuiti riservati, decidono di mettersi in straight line con un principio di umanità raffinato, dove la compartecipazione, a prescindere dall’orientamento sessuale, vira sull’arte, spazio neutrale in cui il gusto privato non ha ancora intaccato il saper fare arte in pubblico. Io, tu, lei, lui è in questo senso una mostra aperta, una mostra che crede che per non aver paura del diverso, bisogna conoscerlo. Tutti siamo delle minoranze, chi ha i capelli rossi, chi ha le lentiggini, chi dorme solo a pancia in giù, ognuno è unico e speciale e tutti dovrebbero avere la possibilità di “essere”.