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Ipocondria da web, i sintomi virtuali dei nuovi malati immaginari

Da Renzo Zambello

Uno studio britannico rileva che sei adulti su dieci si rivolgono al web anziché al proprio dottore quando avvertono un qualsiasi disturbo. Oltre 16 milioni di italiani cercano informazioni sanitarie su Internet, ma una percentuale sempre più alta lo fa in modo compulsivo e si convince di avere qualche patologia: un’emicrania si trasforma in un tumore, il male al braccio in un infarto

di: ANNA RITA CILLIS

Ipocondria da web, i sintomi virtuali dei nuovi malati immaginariDottor Internet riceve sempre. Ogni volta che si desidera lui è lì pronto a fornire risposte. Su qualsiasi argomento di tipo medico: dai tumori agli attacchi di panico alle diete per contrastare il colesterolo sino alle malattie più rare. Siti, chat, forum, blog, in un moltiplicarsi di informazioni senza confini su patologie le più disparate. L’eden per gli ipocondriaci.

Anzi per i cybercondriaci come sono stati ribattezzati i navigatori compulsivi in cerca di notizie e rassicurazioni su malesseri e relativi sintomi. In Italia il popolo dei cacciatori di informazioni sanitarie conta in tutto 16,6 milioni di persone. A metterlo in evidenza è il Censis che rivela anche: il 34% di chi si connette in rete, su 23 milioni di utenti, lo fa per trovare dati di tipo medico. Non solo: per il 18% degli italiani il web rappresenta la prima fonte in questo campo.

 Ma per Claudio Cricelli, presidente della Simg, la Società italiana di medicina generale “un conto è chi cerca notizie su una malattia di cui soffre lui o un familiare, un altro è chi si connette perché ogni sintomo anche il più piccolo, genera ansia. Questi ultimi sono una minoranza, e non si tratta di ipocondriaci ma di persone affette da un disturbo maniacale che va oltre il mezzo attraverso il quale si manifesta”. Per il presidente della Simg una minoranza che non raggiunge l’uno per cento dei navigatori.

E a dar ragione a Cricelli ci sarebbe anche Google Statistiche e ricerca, il nuovo strumento che offre un’ampia panoramica di cosa cliccano gli italiani. Un barometro dal quale si scopre che nell’ultimo mese, per esempio, tra le parole più cercate sono state il tumore in generale, quello al seno e al colon. Alessio Cimmino dell’ufficio comunicazione di Google Italia racconta che “i risultati mostrano una chiara correlazione tra web e la vita di tutti i giorni. Con oltre un miliardo di ricerche sul nostro motore in tutto il mondo abbiamo riscontrato come alcune tipologie di ricerche – dice – tendono a ripetersi in determinati periodi dell’anno nel campo della salute, ad esempio nei periodi di diffusione dell’influenza”.

Uno spunto dal quale è nato un “flu trends” un neonato strumento Google “per ora disponibile solo all’estero”, aggiunge Cimmino, “in grado di offrire informazioni in tempo reale sulla diffusione di influenze e pandemie. Flu trends analizza i dati delle ricerche su Google per termini legati a influenze e malattie e li confronta con quelli forniti dagli enti pubblici che partecipano al progetto”.

Ma il popolo degli ipocondriaci.net sta prendendo sempre più piede: in Gran Bretagna, ad esempio, un recentissimo studio della società Engage Mutual mette in luce che sei adulti su dieci si rivolgono al web anziché al proprio medico quando avvertono un disturbo. E la metà si convince di essere gravemente ammalata.

Secondo Giuseppe Lavenia, docente di psicologia dinamica dell’università di Urbino, esperto in dipendenze, “l’attenzione maniacale al benessere del corpo e l’avvento di Internet non ha fatto altro che predisporre all’ipocondria di massa. Centinaia e centinaia di informazioni reperibili nei siti che non rassicurano il web-ipocondriaco ma lo portano a ricercare in maniera compulsiva nuove informazioni. Siamo alle prese con un disturbo vecchio – dice lo psicoterapeuta – ma che in Internet aveva già un antenato, l’information overloading, ovvero il sovraccarico-cognitivo, un fenomeno che si verifica quando si ricevono troppe informazioni per riuscire a prendere una decisione o sceglierne una sulla quale focalizzare l’attenzione. Quella sul web – rimarca – non si può definire ipocondria classica: siamo di fronte a una nuova forma. Internet può essere l’amplificatore di un disturbo pregresso e in alcuni casi può generare una forma psicopatologica con tratti ossessivo- compulsivi”.

Insomma, va bene la ricerca ma senza esagerare: a sottolinearlo anche Microsoft, che ha condotto uno studio delle ansie prodotte dalle ricerche web in tema di salute. La sintesi dell’analisi? Spesso gli utenti si fermano alle prime pagine trovate, e dopo aver letto il materiale enfatizzano il malessere: un’emicrania si trasforma in un tumore, il male al braccio in un infarto e così via. Non sottovalutare i sintomi va bene: ma il medico resta l’unico in grado di fare diagnosi.

da: http://www.repubblica.it  

Commento del Dott. Zambello

Diversi colleghi, medici di base, da anni hanno cambiato l’orario di ambulatorio del lunedì perché devono tener conto che arriverà  l’esercito di “Elisir”,  trasmissione della domenica sera  del bravissimo Michele Mirabella. Statistiche attendibili,  dicono che oltre il 70% delle persone che fruiscono dei servizi medici, visite, esami clinici, pronto soccorso,  hanno motivazioni ipocondriache. Dallo studio che riporto da Repubblica.it ,   ci si accorge che c’é un popolo di ammalati immaginari che tutti i giorni cerca di sedare le proprie angosce cercando in internet l’eziologia  di “un loro male”.  Perché, che sta succedendo? Credo che andrebbero studiati seriamente alcuni dati che si evidenziano da queste osservazioni. Ad esempio, la perdita  di credibilità del medico che si esprime,  non solo nel tentativo di soppiantarlo con internet ma anche,  nella obbiettiva  incapacità di questo di arginare l’ansia ipocondriaca. Sia ben chiaro,   questi meccanismi vanno ben oltre all’oggettiva capacità clinica del sanitario ma,  sono espressioni di un disagio profondo che non riesce ad essere contenuto. Per quel poco che io ho capito, questo disagio si chiama: depressione. So bene che con questa definizione non ho chiarito né le dinamiche soggettive né tanto meno quelle sociologiche ma, non sarebbe utile che cominciassimo a prendere almeno consapevolezza del sintomo?


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