Magazine Scienze
LA TRAGICA MORTE DI IPPOLITO NIEVO
Il naufragio doloso del piroscafo Ercole
di Cesaremaria Glori
Presentazione di Vito Caporaso
Ippolito Nievo, l’autore de Le confessioni, uno dei più bei romanzi italiani dell’Ottocento, partecipò alla Spedizione di Garibaldi del 1859. Nel corso della navigazione verso le coste siciliane gli fu affidato l’incarico di Vice Intendente, il che comportava la responsabilità dell’amministrazione del corpo di spedizione e, in seguito, dell’Esercito Meridionale. Un incarico pieno di responsabilità questo, suscettibile di critiche che divennero malevole e spesso calunniose nella lotta fra le fazioni che vedevano contrapporsi Cavour e Garibaldi.
Fu proprio per difendersi da queste calunnie, che avevano trovato nella stampa dell’epoca una tribuna ascoltata e temuta, che Nievo fu costretto a redigere un Rendiconto nel quale dimostrava, con meticolosa precisione, l’operato suo e di tutta l’Intendenza.
Fare ricorso a quella stesura fu una mossa corretta, tuttavia nel fascicolo erano contenute notizie riservate, della specie che non sarebbe stato opportuno rivelare.
Nievo partì da Palermo con il vapore Ercole la sera del 4 marzo 1861: a bordo c’erano ottanta persone tra equipaggio e passeggeri e, custodito in una voluminosa cassa, il Rendiconto con tutti i documenti giustificativi che lui aveva predisposto.
Il console amburghese Hennequin, che a Palermo curava gli interessi del Governo di Londra, aveva cercato di dissuaderlo dall’imbarcarsi su quella nave, ma il Vice Intendente non era uomo dall’abbandonare né il suo equipaggio né il prezioso carico, e non comprese il criptico messaggio del’annunciato disastro.
Non sapeva che quel rendiconto non doveva vedere la luce, perché avrebbe rivelato l’ingerenza pesante del Governo di Londra nella caduta del Regno delle Due Sicilie. L’Intendenza aveva dovuto gestire un ingente finanziamento in piastre d’oro turche, che aveva favorito l’arrendevolezza di gran parte degli ufficiali e delle alte cariche civili borboniche: un’ immobilità che aveva paralizzato l’Esercito e soprattutto la Marina borbonica.
La reazione fu tardiva, lacunosa e minata dalla sfiducia aggravata dal tradimento di molti, senza il quale il più grande e agguerrito Stato della penisola italiana, con la terza flotta europea di quel tempo, sarebbe difficilmente caduto.
La mattina successiva la nave si inabissò, quand’era già prossima al golfo di Napoli.
Segnalato da: L'economista mascherato
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COMMENTI (1)
Inviato il 02 aprile a 11:47
Il console commericale amburghese a Palermo era stato nominato grazie a un concordato sottoscritto anni prima tra il Regno delle Due Sicilie e le libere città anseatiche di Amburgo e di Brema, per lo scambio di consoli commerciali che dovevano curare esclusivamente conpravendita di merci. Essi potevano possedere immobili, navi, magazzini sul territorio dove era istituito il consolato. Hennequin non è mai stato agente di Londra, ma rappresentava a Palermo gli interessi commerciali di Amburgo, dove spediva vino e zolfo. Il finanziamento a Garibaldi in piastre d'oro turche è una favola, messa in giro nel 1988, favola perché non è mai stata presentata documentazione dell'epoca, né in originale, né in fotocopia, né in trascrizione. Qualcuno oggi in Inghilterra la sta cercando... aspettiamo. Per me fa un buco nell'acqua. Le monete d'oro non avevano corso legale nel Regno borbonico e non potevano quindi essere cambiate in banca, ma solo privatamente da cambiavalute e da orafi. L'importo corrispondeva a 3 milioni di lire piemontesi dell'epoca. Nessuno poteva avere tanti denari in casa, visto che gli sportelli aperti al pubblico del Banco a Palermo restarono chiusi dal 26 maggio al 25 giugno 1860. Lanza lasciò Palermo il 12 giugno, prima della riapertura al pubblico del Banco. Fu pagato? Penso di sì, ma i denari non passarono attraverso le mani di Nievo, né venivano da oro dato dagli Inglesi. Il 31 maggio Crispi, come rappresentante di Garibaldi e il generale Lanza, alter ego del Re di Napoli in Sicilia, con compiti militari e civili, sottoscrissero un armistizio regolare. Al punto 2° era prevista la consegna a Garibaldi di tutto il Palazzo delle Finanze, dove era il Banco aperto al pubblico, la Tesorereria, la Cassa di Sconto, la Borsa Valori, il magazzino delle carte bollate e dei valori pignorati: insomma tutto quanto occorreva per "fare moneta". E' dalle casse palermitane che furono estratti i ducati d'argento dati a Lanza e agli altri generali borbonici, perché abbandonassero Palermo senza più combattere e liberassero gli ostaggi che essi avevano sequestrato: nove ostaggi scelti tra i rampolli di famiglie nobili palermitane. L'oro inglese è una invenzione. Nessun documento, ufficiale o privato dell'epoca ne parla, a quanto se ne sa oggi con certezza. Nievo scrisse che aveva dormito sopra "cinquecento piastre" è vero, ma la parola "piastre" ricorre altre volte nel suo epistolario ed ha significato generico di "monete". Scrisse di essere "Tesoriere della Sicilia", ma in realtà il decreto di nomina a Tesoriere della Siclilia, carica esistente dal 28 maggio al 10 giugno 1860, riguardava esclusivamente Giovanni Acerbi. Il Tesoriere di Sicilia era incaricato di ricevere i denari provenienti dalla tasse di tutta la Sicilia e di tenere la rispettiva contabilità in un "conto a parte", estraneo quindi alla contabilità della Intendenza, di cui lo stesso Giovanni Acerbi era responsabile, come Intendente Generale. Nievo divenne vice Intendente a fine giugno, quanto Lanza aveva da giorni lasciato Palermo. I denari dati a Lanza non passarono dalle mani di Nievo, allora semplice funzionario della Intendenza, bensì dalle mani di Acerbi, ma che era una "testa di legno". Chi ha gestito tutto sono stati Crispi e Peranni, ultimo Tesoriere del Banco di nomina borbonica, divenuto poi, il 7 giugno 1860, ministro delle Finanze di Garibaldi. I denari a Lanza furono "presi in perstito" dai conti dei privati cittadini siciliani. Si creò un buco, che l'introito delle tasse non riuscì a colamre. Si andò avanti per anni col debito, con le finanze siciliane allo sbaraglio, finché per Legge dello Stato Unitario fu ripianato il debito contratto dai siciliani per la loro liberazione. E gli Inglesi stavano a guradare... Se avessero dato veramente quei denari a Garibaldi, le finanze delle Sicilia sarebbero state floride, perchè prima dell'ingresso di Garibaldi a Palermo la Tesoreria siciliana era in attivo. Le carte della "contabilità a parte", tenuta da Giovanni Acerbi, dove sono oggi? Non si sa. E se fossero state, ad arte, mandate in fondo al mare? Quindi non ladri garibaldini, dovete cercare, ma corruttori a nome dei garibaldini. Cavour stava a Torino e di quello che accadeva in Sicilia non ne sapeva proprio nulla.