Ben presto, i soldi da dare alla donna si rivelano un problema e così Nestore, per far quadrare il bilancio, è costretto a fare le alzatacce per andare a movimentare le merci ai Mercati generali. Naturalmente, lo fa di nascosto, sgattaiolando dalla finestra, dopo aver fatto ubriacare il barboncino di Irma per impedire che si metta ad abbaiare. Ma la ragazza inizia a sospettare, pensando naturalmente al tradimento, fino a quando non scopre Nestore che rientra dalla finestra. Offesa, Irma si affida a Lord X e, dopo averlo psicanalizzato, riesce a coinvolgerlo sessualmente e gli propone di andare a vivere insieme nel suo castello in Inghilterra. Ormai in preda allo sdoppiamento, Nestore diviene geloso di Lord X e decide di farlo morire annegato nella Senna. Ma Ippolito, il protettore rivale, assiste alla scena e lo denuncia alla polizia. Il giovane viene arrestato e processato per l’omicidio della sua maschera e la difesa di Moustache non gli impedisce di essere condannato. Saputo che Irma è in attesa di un bambino, Nestore, grazie all’aiuto di Moustache, evade dal carcere e scampa a una perquisizone della polizia, grazie alla sua vecchia divisa conservata nell’appartamento di Irma. Per dimostrare di non aver ucciso Lord X, lo fa riemergere dalla Senna, davanti agli occhi esterrefatti di Ippolito e dei poliziotti. L’happy end è consequenziale: matrimonio, nascita del bimbo (che Irma crede conseguenza dell’unico amplesso con Lord X) e riassunzione nella polizia.
Considerata a torto non all’altezza dei capolavori di Billy Wilder, Irma la dolce (1963) è una commedia talmente canonica nel suo sviluppo (l’equivoco, il doppio) da divenire assolutamente atipica e sperimentale nel panorama wilderiano. Pur avendo come sfondo un mondo di illegalità e di degrado, non ha il forte retrogusto amaro tipico della commedia di Wilder, in quanto risolve in farsa ogni possibile elemento drammatico (le scene dell’evasione e della perquisizione, omaggi commossi a Chaplin e alla comica muta; il falso omicidio, con riemersione del presunto cadavere con tanto di pesce in bocca), così come gli evidenti rimandi alla critica sociale. Wilder non teme di sporcarsi le mani con cliché e stereotipi abusati, ma si diverte a farli roteare in aria come un giocoliere con i suoi birilli, annullandone in questo modo la banale convenzionalità. Il colore, già utilizzato da Wilder in precedenza (Il walzer dell’imperatore, 1948; Quando la moglie è in vacanza, 1955; L’aquila solitaria, 1957), in Irma la dolce va ben oltre il semplice complemento visivo, volgendosi in senso espressionistico verso la Forma-colore, con un esito di straniamento amplificato dal contrasto con la meticolosa ricostruzione scenografica di Alexandre Trauner. Detto della colonna sonora di Andrè Previn, Premio Oscar di categoria nel 1964, aggiungo che se il film ha un difetto è nella sovrabbondanza di qualità, di gusto, di creatività, nel contenere troppo, anche se questo troppo ha pur sempre l’inconfondibile marchio di fabbrica di Billy Wilder e dei suoi ottimi collaboratori.