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Piece of Mind rappresenta la quarta uscita ufficiale degli Iron Maiden, originariamente per la EMI e successivamente per la Capitol: si tratta del primo album con il nuovo batterista Nicko McBrain (che prende il posto di Clive Burr), nonchè uno degli album metal forse più noti in assoluto presso il grande pubblico. Un totale di nove brani che suggeriscono ampiamente l’impronta “maideniana” per eccellenza, il che si esprime nettamente attraverso le variegate influenze culturali che accompagnano la musica proposta: l’opener “Where eagles dare“, ad esempio, si ispira al romanzo di Alistair MacLean (di cui esiste anche una versione cinematografica), ma praticamente tutti i brani citano almeno un esponente di spicco della letteratura (Frank Herbert, Clark Ashton Smith, Alfred Tennyson ed altri ancora). Un disco dalla forte valenza simbolica e meta-musicale, probabilmente tra i più graditi tra i fan della vecchia scuola, e che rappresenta indubbiamente uno dei pilastri del genere: è uscito infatti nei primi anni 80, possiede un deciso feeling aggressivo e melodico al tempo stesso (a mio parere tra i più coinvolgenti in assoluto), nonostante contenga almeno tre brani che non convincono del tutto, o che comunque tendono a non rimanere troppo impressi (mi riferisco a Die With Your Boots On, ma soprattutto alle conclusive Quest for Fire, Sun and steel, To Tame a Land). Il resto delle tracce è un autentico tripudio di musica metal coniugata nelle sue forme più classiche: l’epica Revelations, l’indimenticabile “galoppata” The trooper e soprattutto Still life, uno dei brani più sottovalutati in assoluto degli Iron Maiden: capace di coniugare un oscuro romanticismo raccontando una storia struggente ispirata a “Genius loci” dello scrittore americano Clark Ashton Smith. Si tratta, in particolare, di un personaggio che si ritrova ad essere attratto inspiegabilmente dalle profondità di un lago, fino a coinvolgere in un viaggio senza ritorno la propria ragazza: “Now it’s clear and I know what I have to do/I must take you down there to look at them too/Hand in hand then we’ll jump right into the pool/Can’t you see not just me they want you too“. Un disco in definitiva molto importante dal punto di vista storico: rappresenta qualcosa in più di un semplice disco di passaggio tra i capolavori “The number of the beast” e “Powerslave“, segno di un calco nella storia del metal che non sarebbe più tornato completamente in seguito.