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ISAF: la missione (in)compiuta e l’inarrestabile riconquista dei taliban (CeMiSS 10/2014)
Creato il 18 gennaio 2015 da AsaI taliban alla riconquista dell’Afghanistan?
All’alba del 17 novembre oltre 400 taliban hanno preso parte all’azione offensiva condotta nel distretto di Bala Baluk, provincia di Farah, area di responsabilità italiana. Fonti ufficiali confermano l’uccisione di un poliziotto afghano e di otto taliban, molti di più i feriti da entrambe le parti.
Sebbene non vi sia una dichiarazione formale da parte dell’Emirato islamico del mullah Omar attraverso il sito web “The Voice of Jihad” – organo ufficiale di stampa del movimento taliban – l’account Twitter @sabiq_jihadmal, sedicente militante, ha annunciato l’uccisione di tredici poliziotti, il ferimento di dieci e la cattura di altri diciannove agenti da parte dei mujaheddin.
Un’offensiva che, a guardare i risultati sul campo e l’efficacia della propaganda mediatica, si presenta come inarrestabile.
Già nel mese di giugno i taliban sono stati in grado di condurre un’azione di massa portando 800-1000 mujaheddin all’assalto di obiettivi governativi nel distretto di Sangin, provincia di Helmand, imponendo alle autorità governative un tentativo di dialogo politico a livello locale; con ciò evidenziando la sostanziale impotenza dello stato afghano in quell’area.
Il successivo mese di luglio, circa 300 taliban hanno portato a compimento un’ulteriore offensiva nel distretto di Char Sada, provincia di Ghor.
E ancora, ad agosto, 700 mujaheddin hanno colpito in maniera energica il distretto di Charkh, nella provincia orientale di Logar. Taliban o altri gruppi? La situazione nel distretto non è completamente chiara, ma ciò che è interessante evidenziare è che ad ottobre Junood al Fida, gruppo jihadista baluchi fedele ai taliban e ad al-Qa’ida, ha annunciato (via Twitter, account @3131jund) di aver posto sotto il proprio controllo il distretto di Registan, provincia di Kandahar, inviando via web una serie di fotografie di un avamposto militare appena conquistato. Successivamente anche i taliban hanno dichiarato di aver preso il controllo dell’area, diffondendo online alcuni video di combattimenti nell’area di Kandahar; dichiarazione a cui è seguita la smentita ufficiale del governo afghano.
Inoltre, più recentemente, sempre i taliban hanno rivendicato la conquista di tre ulteriori distretti: Sayyidabad nella provincia di Wardak e Chahar Darah e Dasht-i-Archi nella provincia di Kunduz.
Nel complesso, al di là della retorica e della narrativa ufficiale, la situazione è in fase di progressivo peggioramento, e senza soluzione di continuità
La fine di novembre è stata segnata da episodi preoccupanti per la tenuta egli assetti istituzionali a causa dell’audacia delle azioni dei taliban; una situazione che, sul piano internazionale, si impone in maniera imbarazzante, tanto per il governo afghano quanto per la Coalizione che sta completando il passaggio di responsabilità.
Nel distretto di Sangin, dodici taliban e cinque soldati afghani sono morti durante un attacco contro una base militare; altri quattro poliziotti afghani sono stati uccisi in un attacco suicida nell’area di Anzur Shali, provincia di Helmand.
Infine – ma limitatamente al periodo preso in esame – il 27 novembre hanno avuto inizio gli intensi combattimenti tra le ANSF e i taliban all’interno di “Camp Bastion” (Helmand), il complesso militare lasciato all’esercito afghano dai contingenti statunitense e britannico, unitamente a “Camp Leatherneck”, il 26 ottobre scorso; combattimenti durati oltre tre giorni e condotti attraverso la tecnica dell’attacco complesso – commando suicidi a supporto di unità di assalto pesantemente armate – (ufficialmente cinque morti tra le ANSF e 27 tra le fila dei taliban); significativi i danni provocati all’infrastruttura e agli equipaggiamenti militari. “Camp Bastion” e “Camp Leatherneck” sono stati i principali complessi militari durante l’offensiva contro-insurrezionale nelle province di Helmand, Nimroz, e Farah, e per questo oggetto di precedenti attacchi (l’ultimo, il 14 settembre scorso, ha provocato la distruzione di sei velivoli statunitensi Harrier, il danneggiamento di altri due e l’uccisione di un comandante di squadrone e di un sottufficiale statunitensi). Nel frattempo, nella capitale Kabul i taliban hanno fatto irruzione all’interno di un’infrastruttura alberghiera, in prossimità del Parlamento afghano, e occupata da operatori civili stranieri poi trattenuti come ostaggi, mentre una serie di attacchi suicidi ha provocato numerosi morti: quattro gli attacchi nella capitale registrati l’ultima settimana di novembre.
In particolare, tale offensiva sarebbe riconducibile all’aumentata pressione esercitata dalla cosiddetta “Kabul Attack Network” (KAN) operativa nella capitale afghana, basata sulla collaborazione di taliban, Haqqani Network, e Hezb-i-Islami Gulbuddin Hekmatyar, e in probabile cooperazione con il pachistano Lashkar-e-Taiba (impegnato in azioni contro obiettivi indiani anche su territorio afghano) e al-Qa’ida. L’area di operazioni della KAN si estenderebbe da Kabul alle province di Logar, Wardak, Nangarhar, Kapisa, Kunar, Ghazni e Zabul.
Da impegno “full-combat” a “diversamente-combat”
A fronte di tale dinamica involuzione e al fine di prevenire il collasso istantaneo dello stato afghano, mentre la Nato avvierà la missione Resolute Support finalizzata ad attività di tipo train, assist, e advise, gli Stati Uniti hanno confermato l’intenzione di proseguire con le operazioni di combattimento, a supporto delle forze di sicurezza afghane e contro al-Qa’ida e gruppi affiliati; cosa per altro già prevista dall’accordo sulla sicurezza siglato a fine settembre dal neo-eletto presidente Ghani e approvato dal parlamento afghano (Bilateral Security Agreement – o, più correttamente, Security and Defense Cooperation Agreement – rispettivamente il 30 settembre e il 27 novembre 2014); stupisce in tal senso la sorpresa da parte dei media statunitensi (“New York Times”) che hanno enfaticamente pubblicato la notizia come “piano segreto di Obama”; tutto può essere, fuorché segreto poiché previsto dagli accordi bilaterali resi pubblici a settembre.
Dunque, come da programma, le forze statunitensi proseguiranno le operazioni di combattimento in Afghanistan anche dopo il 31 dicembre 2014. Una prosecuzione del ruolo di combattimento che prevede, sebbene in misura ridimensionata rispetto al precedente impegno, l’utilizzo dell’aviazione, bombardieri e droni a supporto delle forze afghane impiegate in missioni di combattimento; così come lo schieramento di forze terrestri statunitensi in caso di azioni offensive ai danni dell’esercito afghano, o di quello degli Stati Uniti, in particolare azioni offensive nei confronti di qualunque minaccia opportunamente definita come riconducibile ad al-Qa’ida o altri gruppi affiliati o similari. Quest’ultima frase lascia aperte le porte a un eventuale impiego nei confronti di qualunque forma di opposizione violenta, con implicito riferimento al jihadismo radicale che si sta imponendo nelle dinamiche conflittuali dell’Asia meridionale (e dunque l’ISIS/Stato islamico).
Formalmente, dunque, termina la missione di combattimento ma prosegue l’impiego combat sul campo di battaglia, in circostanze limitate, con finalità preventiva nei confronti di potenziali effetti negativi sul piano strategico, a danno delle forze afghane e di quelle statunitensi e in operazioni di “anti-terrorismo”.
Inoltre, a conferma della crescente instabilità e dell’aumentato timore – e con dubbi di opportunità da più parte sollevati – il presidente Ghani ha autorizzato la ripresa dei cosiddetti “nighttime raids”, azioni condotte dalle forze speciali afghane affiancate da consiglieri statunitensi all’interno delle abitazioni civili durante le ore notturne; una questione che il precedente presidente, Hamid Karzai, aveva negato nel 2013.
Analisi, valutazioni, previsioni
L’espansione offensiva e la maggiore efficacia delle azioni insurrezionali è il risultato, certamente parziale, ottenuto dai gruppi di opposizione armata in conseguenza del ritiro dei contingenti della missione Isaf a guida Nato e delle truppe dell’operazione Enduring Freedom. E quanto più le truppe straniere ridurranno la loro presenza sul terreno e il loro supporto alle forze di sicurezza afghane, tanto più altri distretti cadranno sotto l’influenza, prima, e il controllo, poi, dei taliban e dei loro alleati: dalla periferia al centro.
La riduzione degli assetti statunitensi, in particolare, garantirà ai taliban una sempre maggiore capacità di concentrare unità e condurre azioni di massa, in particolare nei distretti più periferici.
Nel complesso il governo afghano e gli Stati Uniti – affiancati dagli alleati della Nato – perdono terreno, a vantaggio dei gruppi di opposizione armata. Se, come pianificato, le truppe della Nato lasceranno progressivamente i comandi regionali per concentrarsi nell’area della capitale è prevedibile che i vuoti lasciati dai contingenti stranieri verranno in breve colmati dai taliban e dai loro alleati; la prosecuzione delle azioni di combattimento si presenta dunque come una scelta strategica dagli effetti a breve termine.
scarica la pubblicazione completa Osservatorio Strategico 10/2014, CeMiSS (pp. 73-75)
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