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Da quando l'Isis ha fatto sapere al mondo l'entità delle sue sostanze – le conquiste della scorsa estate, il Califfato, il totalitarismo – affilati storici e opinionisti hanno iniziato a paragonarlo al nazismo. Qui in Italia, che su certe cose arriviamo sempre un po' dopo, qualcuno ha cominciato a rifletterci dopo le prime parole pubbliche del nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella alle Fosse Ardeatine (e lo si è fatto stancamente, non si trattava mica dello spoiler di “Masterchef”!). Eppure il nostro capo di Stato davanti al monumento simbolo della tragedia nazista ha fatto un potentissimo paragone riferendosi al terrorismo islamico di Baghdadi &Co: «L’alleanza tra nazioni e popolo seppe battere l’odio nazista, razzista, antisemita e totalitario di cui questo luogo è simbolo doloroso. La stessa unità in Europa e nel mondo saprà battere chi vuole trascinarci in una nuova stagione di terrore».
È vero, c'è un distacco storico-temporale e culturale molto profondo tra i due fenomeni, come faceva notare Michele Serra su Repubblica, ma è pure vero che un certo tipo di Islam è stato, altrettanto storicamente, legato al nazismo. Christian Rocca, direttore di IL del Sole 24 Ore, segnalava per esempio il saggio uscito pochi mesi fa (non in Italia) a firma di uno storico dell'Università di Cambridge, David Motadel, che ha riempito con clamore le pagine culturali di tutti i più grandi quotidiani internazionali (ignorato in Italia) ─ per dirne una, il New York Times ha titolato la recensione «Gli antenati dell'Isis», richiamo forte quanto chiaro.
I nazisti, racconta il libro di Motadel (“Islam and Nazi Germany's War” è il titolo), “progettarono con metodo e rigore una strategia ideologica, propagandistica e militare per sfruttare, sul fronte meridionale e nei Balcani, l’unità politica e religiosa del mondo islamico”. Circostanze note. Si ricorderà, per esempio, del Gran Muftì di Gerusalemme che era protetto a Berlino dal Führer o dei reggimenti islamici tra le SS. Si legge nel libro, che ci fu pure un tentativo di Himmler di mobilitare chierici musulmani per far circolare l'idea che interpretando alcune sura del Corano, si poteva individuare Hitler come il nuovo Profeta. E sembrerebbe che ad Albert Speer, Hitler spiegò che se nel 732, a Poitiers, Carlo Martello non avesse sconfitto i musulmani, l'Islam avrebbe dominato il mondo, con beneficio della Germania, che avrebbe avuto una religione perfetta per lo spirito e la tempra tedesca – la teoria è più ampia (come se non bastasse già la follia generale), e dice pure che alla fine alla guida di quell'Impero islamico ci sarebbero stati i tedeschi islamizzati, perché gli altri, i conquistatori arabi, erano una razza inferiore. L'accomunamento della visione antidemocratica nazista e di quella di un certo genere di Islam, è ripresa anche in un altro saggio della Yale University Press, “Nazis, Islamists and the Making of the Modern Middle East”, scritto da Barry Rubin e Wolfgang Schwanitz, che spiega che il peso di quel genere di passato può essere alla base di certe interpretazioni moderne.
Pure il Duce Benito Mussolini ci finì, ovviamente, in mezzo: si ricorderà, ancora, che si fece onorare col titolo di “protettore dell'Islam”, dopo che gli fu consegnata la Spada dell'Islam. La cerimonia avvenne nel 1937 nell'oasi di Burgara, vicino Tripoli, in Libia.
Già, la Libia. Perché se è vero che Baghdadi non è l'Islam, e dunque l'Islam non è il nazismo, il folle pensiero di dominazione pseudo-nazista del Califfo è invece ben rappresentato dalle vicende libiche. Differentemente da diverse altre situazioni in cui in giro per il mondo si è visto utilizzare il brand del Califfato, perché sventolare quella bandiera nera incute timore, in Libia c'è una strategia pianificata a livello centrale da a tempo. I trecento uomini dell'IS che si trovano a Sirte (e gli altri di Derna) non sono affiliazione di preesistenti gruppi locali, ma sono stati inviati direttamente dal Califfo. Il corpaccione è rappresentato dalla katiba Battar , brigata di veterani libici della guerra in Siria, che adesso stanno spendendo le esperienze acquisite sul campo in suolo natio. Guida il piano Abu Nabil al Anbari, un iracheno (come tutti i capi più importanti dell'IS) che ha accesso diretto al Califfo. Il suo nome compare in diversi file che i curdi trovarono nel portatile di Abu Abdurahman al Bilawi, che era il capo del comando militare generale dello Stato islamico, ucciso a giugno 2014. Al Bilawi, oltre ad essere il braccio armato del Califfo, era pure molto intimo del padre ideologico dell'IS, il giordano Abu Mussab al Zarqawi. Il legame Zarqawi, (Baghdadi), Bilawi, Abu Nabil, ricostruisce una chiara linea di collegamento che parte dall'Iraq e arriva direttamente in Libia.
Un territorio lontano 1600 km dalla colonna vertebrale siro-irachena dello Stato islamico, su cui il Califfo sta mettendo radici – approfittando del vuoto di potere offerto dalla guerra civile. La prospettiva millenaristica (vi ricorda qualcosa del nazismo?) del Califfo, il totalitarismo fondamentalista e uno pseudo-imperialismo jihadista.
Il Califfo ha “globalizzato” l'invasione libica (anche se ancora siamo all'inizio, e la presenza dell'IS è contingentata). Basta guardare i kunya (i nom de guerre) dei combattenti che sono protagonisti delle cronache dalla Libia, come faceva notare Daniele Raineri sul Foglio. “Al Masri” l'egiziano, “al Jazrawi”, il saudita, “al Tunisi” e “al Sudani”, il tunisino e il sudanese che hanno attaccato l'hotel Corinthia di Tripoli. Il capo dell'IS a Derna, la città in cui per prima il gruppo di Baghdadi si è insinuato un anno fa, è uno yemenita; il capo del progetto di conquista è un iracheno. Il Califfo sta mandando combattenti da tutto il suo universo a sostenere l'operazione in Libia. Contemporaneamente sta provocando la Comunità internazionale mettendo sull'obiettivo i pozzi petroliferi: una settimana fa, soldati del Califfato hanno attaccato il campo petrolifero di al Ghani, rapendo nove lavoratori stranieri (tra cui austriaci e cechi), che hanno dovuto assistere alle decapitazioni delle guardie del complesso.
Baghdadi provoca, consolida impunito il proprio controllo di territorio mentre Tripoli e Tobruk continuano a litigare, e intanto non aspetta altro che un intervento di terra di qualche esercito interessato (Egitto? Italia? Francia? Onu?), per costruire nella propaganda attorno all'azione in Libia, una sorta di “guerra mondiale contro l'Islam”. (E sembra, con le dovute proporzioni e differenze, l'Operazione Weserübung / oppure, i “Nazisti dell'Illinois”).
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