Alla fine si è appreso che gran parte delle statue assire distrutte dall’ISIS a Mossul erano in realtà erano riproduzioni in gesso di pezzi originali spostati a Baghdad dopo la guerra del 2003. Ma il video di propaganda pubblicato dai miliziani aveva già raggiunto il suo scopo, colpendo direttamente le coscienze di noi occidentali con la brutalità delle proprie azioni.
Dopo le persone, i miliziani se la prendono con le vestigia del passato, in una campagna che ha già visto i jihadisti far saltare in aria luoghi di culto, dare alle fiamme libri sottratti dalle biblioteche e distruggere una parte della cinta muraria di Ninive, l’antica capitale assira alla periferia dell’odierna Mossul.
Accanto a cristiani ed altre minoranze, una delle principali vittime dello Stato Islamico è proprio il patrimonio artistico. Nel video i jihadisti spiegano:
«Queste rovine dietro di me, sono quelle di idoli e statue che le popolazioni del passato usavano per un culto diverso da Allah. Il Profeta Maometto ha tirato giù con le sue mani gli idoli quando è andato alla Mecca. Il nostro Profeta ci ha ordinato di distruggere gli idoli e i compagni del Profeta lo hanno fatto quando hanno conquistato dei Paesi. Quando Dio ci ordina di rimuoverli e distruggerli, per noi diventa semplice e non ci interessa che il loro valore sia di milioni di dollari».
Quest’ultimo punto è interessante, oltre che falso. Perché non tutte le opere subiscono la sorte delle (finte) statue di Mossul: le più pregiate e le più piccole vengono contrabbandate per provvedere al finanziamento del gruppo. Una pratica denunciata dal National Geographic già nel giugno 2014.
Nell’estate scorsa, alcuni ufficiali dell’inteligence irachena, penetrati nell’abitazione di un comandante dell’ISIS deceduto, hanno sequestrato 160 fra computer e memorie esterne contenenti dettagliati report finanziari dei terroristi e delle loro fonti di denaro. All’interno della lista delle più importanti transazioni del gruppo è stato evidenziato il contrabbando di oggetti antichi. In una sola regione della Siria, il resoconto riportava un guadagno di 36 milioni di dollari da attività come furto e contrabbando di oggetti d’antiquariato.
Tra le fonti di finanziamento dell’ISIS, ricostruite da un’inchiesta del Guardian. il contrabbando d’oggetti d’arte ha un posto d’onore. Oggi gran parte del denaro per i miliziani proviene non più dalle donazioni – che pure non si sono mai interrotte -, ma dalle tasse e dai furti avvenuti nei territori conquistati in Siria e nel nord dell’Iraq. E col prezzo del petrolio in calo, il contrabbando sta acquistando sempre più importanza.
Ma dove vanno a finire i pezzi pregiati venduti sul mercato nero? Un giornalista della Bbc, Simon Cox, ha trasmesso un’inchiesta sul contrabbando d’arte da parte di Isis. Si è fatto passare per un collezionista e ha scoperto la catena di contatti e passaggi di questo di commercio illegale che dalla Siria al Libano, fino alla Turchia, ha come tappa finale proprio il nostro paese, l’Europa.
Si tratta dell’ennesimo colpo ad un patrimonio artistico, quello di Iraq e Siria, peraltro già compromesso da anni di guerra ed stilità. Secondo un rapporto Unitar (Istituto delle Nazioni Unite per la formazione e la ricerca), dal 2011 nella sola Siria ben 24 siti archeologi sono stati distrutti, 104 hanno subito danni importanti, 84 sono stati parzialmente danneggiati e 77 lo sono probabilmente. Tra questi ci sono le aree di Aleppo e Damasco, dove gli insediamenti umani risalgono a 7.000 anni fa.
Per rimediare a questo sfacelo, nel settembre scorso un gruppo di archeologi ha scritto una lettera-appello al Consiglio di Sicurezza <perché approvi una risoluzione che fermi i saccheggi e il contrabbando di una “eredità culturale condivisa”. Nel frattempo, il mercato illegale continua e noi europei non ne siamo estranei.