Di Gabriella Maddaloni. I terroristi dello Stato Islamico continuano a innalzare le loro bandiere nere sugli edifici e le colline di Kobane, città siriana ai confini con la Turchia, da settimane sotto il mirino dei jihadisti.
Lungo la frontiere turco-siriana continua a infuriare la battaglia tra milizie curde ed estremisti islamici, con carri armati e vari mezzi di artiglieria pesante. L’Ondus informa che lunedì ben 3 attentati hanno colpito le milizie curde siriane, e 2 di essi – in realtà un doppio attentato kamikaze con bomba – ha prodotto 30 morti tra miliziani dell’autodifesa (Ypg) e poliziotti. L’attentato è avvenuto nel nord all’entrata di Al Hassaka, città 220 km a est di Kobane. Un terzo attacco ha avuto luogo all’interno della città, e il numero delle vittime ancora non si conosce.
Intanto, il quotidiano Times riporta uno scambio di prigionieri tra Turchia e Isis: oltre 180 terroristi, tra cui 2 britannici, sono stati rilasciati in cambio di 46 ambasciatori di Ankara e 3 iracheni, rapiti mesi fa dall’Isis. E il Primo Ministro turco Ahmet Davutoglu, citato dai media arabi, fa sapere che “la Turchia invierà i propri militari sul terreno in Siria solo se la strategia Usa includerà anche la destituzione di Assad. Per quanto riguarda Kobane, Ankara ha la priorità al momento di salvare la vita alle decine di migliaia di persone fuggite dalla città”. Il primo Ministro ha quindi escluso, per ora, un impegno militare turco nella città siriana.
I genitori di Peter Kassig, l’americano attualmente in mano all’Isis e minacciato di morte, hanno pubblicato su twitter i passaggi di una lettera del figlio destinata a loro e datata 2 giugno: “Ho paura di morire, ma la cosa più difficile è non sapere, immaginare, sperare se posso addirittura sperare ancora. Sono molto triste per ciò che è successo e per quello che voi a casa state passando. Se dovessi morire, immagino che almeno voi e io possiamo trovare rifugio e conforto nel sapere che sono partito nel tentativo di alleviare la sofferenza e aiutare i bisognosi. In termini di fede, prego ogni giorno e non sono arrabbiato per la mia condizione. Sono in una complicata situazione dogmatica qui, ma sono in pace con il mio credo”. I genitori del ragazzo, rapito dall’Isis un anno fa e convertitosi all’Islam durante la prigionia, spiegano di aver voluto rendere pubbliche le parole del figlio “perché il mondo capisca perché noi e tante altre persone lo amiamo e ammiriamo. […] Continuiamo la pressione sul governo affinché fermi le sue azioni e continui a parlare con i suoi sequestratori perché abbiano pietà e lo rilascino”.
Il ragazzo, sequestrato in Siria a Deir Ezzor, si trovava lì per ragioni umanitarie: aveva fondato laggiù una ong, la Special Emergency Response and Assistance.