Ma la vita, come una fitta ghirlanda di gioie in fiore, era cominciata per loro il giorno in cui si erano comperati una capanna d’argilla mezzo diroccata, ma con l’orto, l’ultimo rifugio per la loro vita, così l’intendevano, l’ultimo tetto sotto il quale vivere e morire (avevano deciso così, di morire insieme: uno sarebbe morto, l’altro l’avrebbe accompagnato: a che scopo, e per chi restare in vita?). Non avevano mobili, e allora avevano chiesto al vecchio Chomratòvič, anche lui confinato, di costruire in un angolo un parallelepipedo di mattoni. Così era stato fatto il letto matrimoniale: e com’era grande! com’era comodo! Era davvero una gioia! A mo’ di materasso fu cucito un ampio sacco, poi riempito di paglia. La seconda ordinazione a Chomratòvič fu il tavolo: e tondo, per giunta. Chomratòvič non ci capiva nulla: aveva più di sessant’anni e non aveva mai visto un tavolo rotondo. Perché rotondo? « No, per cortesia», Nikolàj Ivànovič disegnava con le sua bianche, agili mani da ginecologo «rotondo e basta!». Dopodiché c’era stato il problema di trovare una lampada a petrolio che non fosse di latta, ma di vetro, con una base alta, un lucignolo a dieci e non sette fili e anche la campana di vetro. A Uš-Terék non ce n’erano così, l’avrebbero portata da lontano, un po’ per volta, delle brave persone: ma ecco che, se si metteva sul tavolo tondo una lampada così, con un paralume fatto in casa per giunta, a Uš-Terék, nel millenovecentocinquantaquattro, mentre nelle grandi città si dava la caccia ai lumi di salotto ed era già stata inventata la bomba all’idrogeno, quella lampada sul tavolo tondo fatto a mano trasformava la capanna d’argilla in un sontuoso salone di due secoli prima. Che meraviglia! Erano seduti lì in tre, e Elèna Aleksàndrovna diceva con sentimento:
«Ah, Olèg, come stiamo bene qui adesso! Se non contiamo l’infanzia, questo è il periodo più felice della mia vita!».
E aveva ragione! Infatti, non è il benessere che fa la felicità degli uomini, ma un rapporto d’affetto e il nostro modo di prendere la vita. Sia questo che quello dipendono da noi e perciò l’uomo è sempre felice, se vuole, e nessuno può impedirglielo.
Padiglione cancro di A.I. Solženicyn
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