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Molti file sono aperti in Siria, nonostante la rappresentazione semplificata dei fatti per farli rientrare nello schema della “primavera araba”: rivolta di popolo e repressione, eccidi sui due fronti e soluzione finale, quella fin dall’inizio auspicata da USA e GB .
L’attentato che il 18 luglio a Damasco ha ucciso il ministro della Difesa Dawoud Rajha, il predecessore Hassan Turkmani, il generale Assef Shawkat, ex capo dell’intelligence militare, il generale Hisham Ikhtyar, Capo del Consiglio Nazionale per la sicurezza, è stato rivendicato sia da un gruppo combattente islamista, sia dal FSA, sigla dell’esercito siriano libero. Quest’ultimo ha modificato la versione della prima ora di un attacco suicida dichiarando l’uso di un ordigno comandato a distanza. Nessuno ha finora ipotizzato l’uso di un drone, probabilmente per non confermare l’ assistenza concreta da parte americana all’opposizione.
L’operazione Vulcano per la liberazione di Damasco, come il FSA l’ha proposta ai media, suggerisce l’idea di un imprevisto atto di forza del fronte ribelle, capace di sferrare l’ultimo colpo al cuore del regime; la memoria registrata nel web disegna invece una sequenza di annunci prematuri e di tentativi falliti.
Assef Shawkat
Il 20 maggio un servizio video di Al-Jazeera mostra un ribelle che rivendica di aver ucciso un gruppo di dirigenti del regime, dando risalto alla morte di Assef Shawkat. Poiché nei giorni successivi il personaggio non fa comparse pubbliche nascono varie speculazioni, che l’attentato sia stato condotto utilizzando il veleno e che Shawkat sia già stato inumato.
Sarà l’intelligence israeliana ad avvalorare indirettamente le affermazioni dell’opposizione :“Un assassinio di questa portata in futuro potrebbe accelerare il collasso del regime. L’opposizione ha i mezzi per raggiungere i leader e questo caso lo conferma”.
Israele sposa, dunque, la prospettiva di una fine provocata dall’interno per il regime Assad, con il quale era in atto dal 1967, Guerra dei sei giorni, uno status quo dell’occupazione delle siriane alture del Golan. Uno stallo non più conveniente dal 2010, anno in cui Assad inizia a stringere più stretti legami con gli USA, che non coinvolgono Tel Aviv, pur continuando l’alleanza strategica con l’Iran. Con questo nuovo scenario, i colloqui di pace per definire la questione del Golan avrebbe trovato Israele meno favorita che in precedenza.
L’implosione del regime di Assad consentirebbe il colpo di grazia a quelli che Israele considera i più antichi e irriducibili nemici: gli Hezbollah libanesi. L’organizzazione è la prosecuzione dell’ala combattente di Amal, il movimento fondato in Libano dall’Imam iraniano Moussa Sadr. Nel 1978 , Sadr parte dal Libano diretto in Libia, in seguito non vi sarà certezza sulla sua sorte, tranne vaghe tracce di un arrivo in Italia. Da allora, Iran e Libano accusarono Gheddafi di averlo ucciso o imprigionato, ciò stranamente poiché tutta l’opera (unificare il fronte del mondo arabo) e le minacce di Sadr avevano come obiettivo lo stato di Israele e il suo carisma, non ancora spento nonostante il passare del tempo, ne rendeva l’ attivismo concretamente pericoloso. [vd. Post Il caso Moussa Sadr e le inesistenti certezze ]
Assef Shawkat, l’uomo che l’esercito siriano affermava vanamente di aver già ucciso in maggio, era uno di quei personaggi dalle molte ombre che abbondano in tutti i regimi. E non solo nei regimi.
Dopo l’ 11 settembre veniva considerato un referente delle intelligence di Stati Uniti ed Europa, coinvolto nella creazione di un braccio della CIA in Siria per combattere il terrorismo.
Tutto cambiò dal 2005 con l’assassinio del primo ministro libanese Rafik al-Hariri: Washington considerò Shawkat regista dell’attentato, architetto dell’annosa dominazione della Siria sul Libano nonché fomentatore del terrorismo contro Israele e nel 2006 gli USA decretarono contro di lui delle sanzioni.
I contorni del personaggio diventano completamente confusi con il 2008. Nel febbraio, a Damasco una bomba uccide Imad Mughniyeh, esponente di spicco di Hezbollah, che immediatamente accusa Israele. Nel mese di giugno Shawkat viene posto agli arresti dopo aver dichiarato in una intervista che la bomba usata per l’attentato era sistemata all’interno dell’auto, poichè ciò venne equiparato all’ammissione che gli autori erano siriani. Rimosso da capo della sicurezza interna, non venne estromesso dal gruppo dirigente, del resto sono recentemente emerse nuove rivelazioni che chiamano in causa Israele. Una giovane palestinese avrebbe offerto al Mossad informazioni per identificare e localizzare Mughniyeh, fino ad allora definito “uomo senza volto”
Mentre a Damasco il 18 luglio l’attentato uccide Shawkat, e un pezzo del vertice del sistema, anche Israele viene colpito.
Una bomba esplode su un autobus di turisti israeliani a Burgas, in Bulgaria, uccidendo sette persone e ferendone più di venti. A rendere ancora più straziante la tragedia è la ricorrenza: il 18 luglio del 1994 in un quartiere di Buenos Aires, dove era la sede di un centro ebraico, una bomba provocò una strage. Furono 85 i morti e centinaia i feriti. La rivendicazione arrivò da un gruppo islamista, ma il governo israeliano accusò Hezbollah come esecutore e l’Iran come mandante.
Per Burgas si parla fin dal primo momento di attacco suicida e nuovamente Israele accusa l’Iran.
Spunta in Facebook la foto di un ex detenuto di Guantanamo – somigliante al giovane ripreso dalle telecamere di sorveglianza dell’aeroporto- uno svedese di origine algerine di nome Mehdi Ghezali. La Svezia, che nel 2004 chiese la sua liberazione, ne smentisce il coinvolgimento, similmente fanno i servizi segreti bulgari.
Le voci si rincorrono e spesso appaiono fandonie. Fra i deceduti vi sarebbe un agente esterno dello Shin Bet, il Servizio Segreto interno di Israele. Un bulgaro sostiene di aver rifiutato al sospettato il noleggio di un auto, ma lo descrive con i capelli corti mentre il video mostra un lungo chiomato; qui torna alla mente l’identificazione fasulla di Al Megrahi a Malta che servì a incastrarlo per l’attentato Lockerbie, impedendo indagini in altre direzioni. Si spera che l’esame del DNA dia un’identità sicura all’attentatore, ma stupisce che la sola ipotesi di cui si parla sia un singolo, il kamikaze, anziché vagliare anche l’ipotesi di un commando. Al momento non esistono rivendicazioni.
La DebkaFile, sito vicino all’intelligence israeliana, ribadisce la colpevolezza di Hezbollah e dell’Iran. Alla radio israeliana Ehud Barak ha dichiarato che il paese “farà di tutto per trovare responsabili diretti e mandanti, e li punirà.” Un linguaggio che sembra alludere alla ripresa degli assassini mirati contro individui e fa tornare in mente i misteriosi omicidi degli scienziati nucleari iraniani.
L’Iran da parte sua ha vigorosamente smentito il coinvolgimento.
Puntando il dito contro Hezbollah , Israele indica quella che in Libano è sia un’organizzazione politica sia una milizia armata. Come tale Hezbollah è sia nel Parlamento unicamerale, con 12 seggi su 128, sia oggetto di sanzioni americane che impongono il suo disarmo.
Poiché a fine giugno il fronte ribelle della Siria ha accusato Hezbollah di combattere per Assad , a Talkalakh e a Homs, il quadro completo della comunicazione nelle ultime settimane ha costruito sia un’aspettativa sulla morte di Shawkat, sia un’attesa di azioni terroristiche di Hezbollah, entrambe culminate negli eventi del 18 luglio.
Una costruzione di ipotesi che minaccia la fragile stabilità del Libano già scossa fin dall’inizio della rivolta siriana, con bande di autentici terroristi che dominano nel corridoio per il rifornimento delle armi a nord del paese[ved. Post di febbraio: Il confine Siria-Libano e la stoltezza Occidentale] e un fiume incessante di profughi che lasciano le zone di combattimento siriane per accamparsi in Libano- Per vivere in condizioni che è facile immaginare e che una destabilizzazione completa della regione renderebbe irrimediabili.
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Le battaglie in Consiglio di Sicurezza Onu, che in questi giorni hanno tenuto con il fiato sospeso, potrebbero essere più apparenti che reali. E’ possibile che non vi sia al momento la volontà di un intervento Nato in Siria perché, diversamente dalle intenzioni sulla Libia, l’interesse strategico non è sul singolo paese ma sull’intera area.
Più che una guerra convenzionale, nei prossimi mesi persisterà la guerra dell’informazione. La manipolazione dei fatti e del loro significato attraverso i media, l’induzione dell’opinione pubblica a schierarsi pro o contro, e a sua volta accrescere la disinformazione, avranno un ruolo centrale, insieme all’uso del terrorismo manovrato.
A differenza dell’irriducibile complottismo che assume certa l’esistenza di un piano prefissato, intravedo un work in progress: tentativi riusciti, fallimenti, continui adattamenti e nasce il sospetto che i centri del potere vero, i burattinai delle figure a noi note, siano essi stessi coinvolti in una lotta senza quartiere .
Questo disegna per noi un futuro diversamente ma gravemente incerto quanto quello di coloro che oggi vediamo soffrire sul terreno dove infuria lo scontro armato.