La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per l’irruzione alla scuola Diaz di Genova il 21 luglio 2001. Quanto compiuto dalle forze dell’ ordine italiane alla Diaz “deve essere qualificato come tortura” ed evidenzia nella condanna anche il fatto che l’Italia in tutti questi anni non ha mai legiferato per inserire il reato di tortura nel codice penale.
La notte del 21 luglio 2001, al termine del G8 di Genova, centinaia di agenti della Polizia fecero irruzione nella scuola, dove dormivano i manifestanti . A seguito della “macellaria messicana” furono arrestate 93 persone, con l’accusa di appartenere al “black bloc”, oltre 60 rimasero gravemente ferite a seguito del pestaggio. La posizione dei 93 fu poi archiviata dalla Procura di Genova qualche anno più tardi, mentre il processo contro dirigenti e agenti protagonisti dei pestaggi si è concluso nel 2012 con 25 condanne. Il processo ha inoltre accertato che la polizia creò prove false per incastrare i manifestanti, a cominciare da due bottiglie molotov portate nella scuola dagli stessi poliziotti e poi esibite alla stampa tra gli oggetti sequestrati.
Il provvedimento Corte europea dei diritti umani nasce da un ricorso presentato da Arnaldo Cestaro, manifestante veneto che all’epoca aveva 61 anni e che rimase vittima del violento pestaggio da parte della polizia durante l’irruzione nella sede del Genova Social Forum. Nel ricorso, l’uomo, afferma che quella notte fu brutalmente picchiato dalle forze dell’ordine tanto da dover essere operato, e da subire ancora oggi ripercussioni per alcune delle percosse subite. Cestaro sostiene che le persone colpevoli di quanto ha subito sarebbero dovute essere punite adeguatamente ma che questo non è mai accaduto perché le leggi italiane non prevedono il reato di tortura o reati altrettanto gravi.I giudici hanno deciso all’unanimità che lo stato italiano ha violato l’articolo 3 della convenzione sui diritti dell’uomo, che recita: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. La Corte di Strasburgo ha stabilito che il trattamento che gli è stato inflitto deve essere considerato come “tortura”, ma nella sentenza i giudici sono andati oltre, sostenendo che se i responsabili non sono mai stati puniti, è soprattutto a causa dell’inadeguatezza delle leggi italiane, che quindi devono essere cambiate. Inoltre la Corte ritiene che la mancanza di determinati reati non permette allo Stato di prevenire efficacemente il ripetersi di possibili violenze da parte delle forze dell’ordine.
«Meno male che almeno su questo la Corte Europea non ha fatto altro che riconoscere la sentenza della Cassazione. Posso solo esprimere un giudizio di soddisfazione per il fatto che la Corte abbia riconosciuto che l’Italia aveva toccato il fondo» il primo commento di Giuliano Giuliani, padre di Carlo, il ragazzo ucciso durante gli scontri di piazza tra manifestanti e forze dell’ordine nell’ambito del G8.
Per Enrica Bartesaghi, presidente del Comitato “Verità e Giustizia per Genova”, l’associazione che riunisce i familiari delle vittime dei pestaggi durante il G8 si tratta di «un precedente che ci dà una risarcimento morale per le torture avvenute».
“Torture alla Diaz. C’è una giustizia in Europa. Non in Italia“. a dichiararlo è Patrizio Gonnella presidente di Antigone che sottolinea che: ” C’è una giustizia in Europa. Non in Italia. A quattordici anni dalle brutalità della Diaz è arrivata la sentenza di condanna da parte della Corte europea dei diritti umani. Come già aveva scritto nero su bianco la Corte di Cassazione in Italia non si può punire per tortura in quanto manca il crimine. Così i giudici di Strasburgo ci hanno condannato per violazione dell’articolo 3 che proibisce la tortura e ogni forma di trattamento inumano o degradante ma anche perché a causa dell’assenza del delitto nel nostro codice in Italia vi è l’impunità per torturatori. Nei prossimi giorni la Camera discuterà la proposta di legge approvata oramai molti mesi fa al Senato. Non è il migliore dei testi. E’ incoerente rispetto al dettato Onu, eppure bastava tradurre dieci righe dall’inglese in italiano. Alla scuola Diaz e al carcere illegale di Bolzaneto si è ritenuto che si potesse instaurare uno stato di eccezione. Il film Diaz di Daniele Vicari ha il merito di avere fatto conoscere a molti giovani di oggi, che nel 2001 erano poco più che bambini, cosa accadde a Genova in quei giorni. Una vergogna nazionale. Uno Stato che non si è costituito parte civile nei procedimenti penali a Genova nei casi Diaz e Bolzaneto, ad Asti per le violenze in carcere, a Roma nel caso della morte di Stefano Cucchi, a Ferrara nel caso Aldrovandi, a Lecce nel caso Saturno etc. etc.. Non solo. Gli imputati in questi procedimenti penali hanno spesso fatto passi in avanti nella carriera nel corso del processo, o quanto meno non hanno subito alcuna sanzione disciplinare. Il messaggio è in questi casi devastante. E’ un messaggio inequivocabile di legittimazione e incentivazione alla perpetrazione di pratiche illegali di tortura. Un messaggio che serve a segnare la forza del potere punitivo incontenibile rispetto a ogni anelito illusorio e ingenuo di legalità democratica. Se queste sono le reazioni dei vertici istituzionali – solidarietà pubblica oppure impunità per i torturatori – di conseguenza non si può ragionevolmente e correttamente sostenere che la tortura sia una questione di mele marce. La tortura non è mai una questione di mele marce salvo non venga incrinato quello spirito di corpo che dal basso arriva sino all’alto e che si propaga dal singolo poliziotto sino alle più alte cariche istituzionali. La tortura e i torturatori si insinuano là dove trovano spazio e terreno fertile, là dove il sistema consenta che alberghi. La tortura è possibile se non trova resistenze istituzionali, contrasto, sanzioni, giudizio pubblico. La lotta alla tortura richiede, oltre alla previsione di un reato imprescrittibile che la punisca, anche una amministrazione dello Stato disposta a sanzionare in tutte le sedi i presunti torturatori. Richiede anche forze di polizia il cui lavoro non sia ispirato al machismo ma alla prevenzione sociale. Richiede infine la rinuncia allo spirito di corpo e la dismissione di squadre e corpi speciali. Il crimine, anche quello più spietato, lo si deve sconfiggere nella legalità e con gli strumenti ordinari del diritto.”
La sentenza integrale
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2001 diaz g8 genova repressione tortura 2015-04-07