La crescita del PIL trimestrale allo 0,3% ha riacceso le speranze di uscita dal tunnel crisi, ma letto su base annua il medesimo risultato segna ancora una variazione del PIL pari a zero, se poi si conta che questa crescita decimale è avvenuta in condizioni di contorno ottimali che già stanno vacillando (basso prezzo del petrolio, euro debole contro dollaro e il Quantative Easing della BCE) si comprende come questo modesto germoglio risulti ancora troppo fragile.
In piena forza invece il debito pubblico, che ha segnato nuovi record a 2.185 miliardi e presto potrebbe superare i 2.200 miliardi. Nell’articolo vengono presentati alcuni dati del XVIII Osservatorio sull’economia italiana della Mazziero Research.
Una rondine non fa primavera, si usa dire, e un +0,3% di PIL dopo trimestri di recessione non equivale a un ritorno alla crescita; anche perché se si allarga l’osservazione dagli ultimi tre mesi alla variazione annua ci si accorge che siamo ancora allo zero per cento.
Ma non basta, rispetto ai livelli del I trimestre del 2008 il nostro Paese si trova ben nove punti e mezzo al di sotto. Detto in altri termini, gli ultimi sette anni hanno presentato una distruzione di capitale di quasi il 10 per cento che ha portato famiglie e imprese a diminuire in modo consistente la capacità di spesa e la capacità di investimento; questa, tuttavia, sarebbe ancora una visione parziale, in quanto lo Stato da parte sua ha innalzato la pressione fiscale sottraendo enormi risorse e regalando incognite sul futuro.
Questo è quanto è successo, ma si dirà che occorre ora guardare con occhi più fiduciosi e incoraggiare questi primi germogli di risveglio.
Certo, vero… se non fosse che questi dati incoraggianti giungono grazie al pieno dispiegamento della cosiddetta “congiunzione astrale”:
- Bassi prezzi del petrolio
- Euro debole contro dollaro
- Quantitative easing della BCE.
Ad oggi già due elementi della terna iniziano a vacillare: il petrolio è aumentato del 45% da metà marzo e l’euro ha già messo a punto un buon recupero rispetto al dollaro. Come se non bastasse anche i rendimenti dei titoli di Stato sono tornati a salire.
I nostri lettori ricorderanno che nell’articolo “DEF: i numeri raccontano una realtà diversa” avevamo mostrato la tabella dello scenario base del Documento di Economia e Finanza (DEF) in cui il Governo contemplava condizioni di cambio stabile a 1,068 dollari per euro e un petrolio Brent a 57,4 dollari per barile sino al 2019. A metà maggio 2015, il cambio euro contro dollaro ha superato 1,14 e il petrolio Brent è vicino a 67 dollari il barile, ben 10 dollari in più dello scenario tracciato dal DEF; una situazione che avevamo ben previsto nell’articolo e che avrebbe reso le previsioni del Governo ben presto superate.
È evidente quindi che il malato Italia non è guarito, ma è solo momentaneamente sfebbrato. Se però ci voltiamo a considerare il debito pubblico, la febbre ritorna ed è un febbrone da cavallo!!!
Dopo aver chiuso il 2014 a 2.135 miliardi di debito, in soli tre mesi (l’ultima rilevazione si riferisce al mese di marzo) siamo arrivati a 2.185, con un balzo di 50 miliardi; ma le stime Mazziero Research indicano che continuerà a salire: il mese prossimo a 2.194 miliardi, per poi superare i 2.200 miliardi e terminare l’anno tra 2.170 e 2.185 miliardi, grazie al consueto maquillage dei conti di fine anno.
L’Osservatorio Mazziero Research sull’economia italiana al primo trimestre 2015 pone in grande risalto tutti questi temi, con approfondimenti, studi e statistiche condotti applicando un metodo di ricerca sviluppato in proprio nel corso di questi cinque anni di pubblicazione.