Italia e Francia: ma quale vittoria... (di Massimo Riva - l'Espresso)
Ma di quale mai vittoria politica si vorrebbero vantare i governi di Francia e Italia? Sì, d'accordo, le rispettive manovre economiche 2015 - ancorché non ortodosse rispetto ai vincoli europei - hanno superato il primo esame da parte della Commissione di Bruxelles. Esito ottenuto, per altro, dopo aver concesso qualche decimale di punto di soddisfazione ai custodi delle bibbie comunitarie.
E allora? Intanto gli occhiuti esaminatori hanno già messo le mani avanti riservandosi il giudizio definitivo in corso d'opera. Ma soprattutto resta intatto il nodo cruciale di regole del gioco che continuano ad essere quelle di un passato ormai remoto e che oggi, mese dopo mese, si rivelano sempre più imbelli (quando non procicliche) a tirar fuori l'eurozona dalla duplice minaccia di una recessione combinata con la deflazione.
L'Europa sta vivendo una fase storica particolarmente drammatica. Non solo i suoi disoccupati si continuano a calcolare in decine di milioni di persone, ma anche il suo primato mondiale di area più opulenta nei consumi e più avanzata nella protezione sociale appare ormai in serio pericolo. E però, mentre nubi così fosche si annunciano all'orizzonte, la politica economica dell'area euro - il cuore dell'Unione - resta appesa ai dogmi ragionieristici di contabili ottusi, sostenuti da governi nazionali che non sanno o non vogliono guardare al di là dei propri interessi domestici avendo perso per la strada ogni stimolo a perseguire il progetto di una reale integrazione continentale.
Cosicché François Hollande e Matteo Renzi che si pavoneggiano per questo loro precario e comunque occasionale successo ricordano pateticamente l'infausto precedente dei Daladier e dei Chamberlain che rientravano da Monaco nel 1938 compiaciuti di aver salvato la pace in Europa ma avendo di fatto concesso a Hitler l'annessione dei Sudeti ovvero, un decimale di quelle che erano le reali ambizioni espansionistiche del dittatore nazista. Allora come oggi, purtroppo, sembra riproporsi nello scacchiere europeo una trama che si ripete da ben oltre un secolo. Da un lato, c'è una Germania forte e determinata ad allargare il suo "spazio vitale" e la "lex germanica" all'Europa intera. Dall'altro lato, c'è un accrocco di paesi più deboli, fra loro divisi fra quelli che si appagano di reggere la coda al dominatore tedesco e quelli che mal tollerano questa sudditanza, ma non riescono a trovare il coraggio di ribellarsi a una situazione che li danneggia e - peggio ancora - rischia di mandare in rovina l'ideale europeo.
Riflettano meglio i governi di Parigi e di Roma prima di celebrare i loro presunti successi europei. Anche perché questa loro soddisfazione per le concessioni ottenute, in fondo, porta acqua al mulino di chi sta snaturando l'impianto continentale e prefigura uno schema di gioco perverso. Nel quale a ciascun singolo paese sono sì consentite piccole licenze ma a condizione che esse ottengano il benestare da un potere che rifiuta di mettere in discussione i suoi criteri di giudizio, dato che questi restano chiusi nel pugno della potenza dominante. E poiché questa ha scelto l'ideologia del rigore contabile "über alles", gli spazi di manovra sul campo restano preclusi a una visione alternativa che ponga davvero la crescita economica generale in cima all'agenda. Lo conferma spudoratamente anche l'ossimoro politico della nomina di un falco dell'austerità come il finlandese Katainen proprio a commissario per la crescita.
C'ERA UNA VOLTA un grande progetto di Europa federata, ma quelli erano i tempi dei Kohl e dei Mitterrand e a Roma dei Ciampi. Sotto i colpi della crisi quell'ideale si va dissolvendo mentre gli egoismi nazionalistici hanno ripreso il sopravvento e le grandi scelte sono più che mai tornate alla mercé dei non sempre limpidi rapporti intergovernativi, dove la ragione della forza prevale sulla forza della ragione. Invece di far battute sterili sulla burocrazia di Bruxelles, è su queste ben più gravi distorsioni che Matteo Renzi dovrebbe far sentire più alta la sua voce.
Massimo Riva
2010/1200/1100