Venti anni fa a Roma la firma degli accordi di pace che hanno posto fine alla guerra civile in Mozambico.
Il successo di quella che venne definita una “pace italiana” si basò in buona parte sull’azione congiunta della diplomazia istituzionale, quella del Governo italiano, e quella informale, rappresentata dalla Comunità di Sant’Egidio e dal vasto mondo del volontariato, presente da anni nel paese africano. Questa stessa formula, la sinergia fra istituzioni e società civile, spiega oggi il progredire dei rapporti di amicizia e collaborazione fra l’Italia e il Mozambico.
La guerra scoppiata negli anni ’80 iniziò poco dopo il conseguimento dell’indipendenza del Mozambico dal Portogallo. “Fu una guerra civile dovuta non solo a ragioni ideologiche. All’epoca il vicino Sud Africa era governato dal regime razzista dell’apartheid, e tutta l’Africa australe era influenzata da ciò che avveniva lì, nonché dai riflessi della Guerra fredda. Il Mozambico è stato proprio una delle principali vittime della Guerra fredda, è stato un paese “martire”. La liberazione in Sud Africa di Nelson Mandela e la fine dell’apartheid hanno determinato una svolta anche in Mozambico; nel 1992, infatti, gli accordi fra Frelimo e Renamo hanno finalmente posto fine al conflitto. Alle spalle c’era però tutta una fitta trama di accordi e di mediazioni, di cui Mario Raffaelli è stato uno dei protagonisti, che ha consentito di raggiungere questo importante risultato. All’epoca il Mozambico era anche pieno di cooperanti, i quali trasmisero al Governo italiano e agli altri governi interessati input fondamentali per comprendere la condizione reale del paese e favorire un processo di riconciliazione. Gli accordi siglati a Roma sono oggi forse più noti all’estero che in Italia: sono considerati unanimemente “da manuale”, per le modalità che li hanno caratterizzati e per il risultato duraturo che hanno consentito di raggiungere. Particolarmente importante l’approccio basato sulla negoziazione, il sostegno dato sia alla forza in campo più strutturata, il partito Frelimo, sia a quella più fragile e meno organizzata, la Renamo, affinché entrambe potessero condurre in porto il processo di costruzione e consolidamento della pace.” – ha spiegato Anna Maria Gentili, africanista dell’Università di Bologna e del Centro per la formazione alla solidarietà internazionale di Trento.
Nel Paese africano era forte presenza di cooperanti e missionari, alcuni dei quali pagarono con la vita il loro impegno in favore della pace e dello sviluppo del paese africano. Nella fase della negoziazione l’Italia fu molto presente, ospitando a fasi alterne le delegazioni africane in Italia e offrendosi come terreno di confronto ‘neutro’, coinvolgendo alcuni dei protagonisti di quella storica pace, come Matteo Zuppi e l’arcivescovo di Beira Goncalves.
Ma perché l’Italia ebbe un ruolo così importante? Perché, pur non essendo noi una potenza coloniale nell’area, i rapporti fra il nostro paese e il Mozambico era di lunga data, risalivano già agli anni ’70, quando i leader dei movimenti di liberazione vennero ricevuti addirittura dal Papa, creando un grande choc in Portogallo, paese cattolicissimo. C’era alle spalle anche una lunga storia di cooperazione. L’Italia infine fu il primo paese nel 1975 a riconoscere l’indipendenza del Mozambico, assieme a quella dell’Angola. Si creò dunque una forte sinergia fra istituzioni e società civile, che consentì di giocare un ruolo di primo piano nella fase delle trattative fra Frelimo e Renamo. L’Italia non se ne andò mai, nemmeno quando alcuni cooperanti rimasero vittime del conflitto.
“Per l’Italia essere presenti lì aveva un’importanza politica strategica, anche per la vicinanza del Sud Africa dell’apartheid, che esportava all’esterno dei suoi confini i suoi conflitti interni. Si trovarono importanti motivi di dialogo con il Frelimo, che riuscì a sfuggire alla tenaglia della Guerra Fredda, che all’epoca stritolava i paesi che avevano conseguito l’indipendenza.” – ha ricordato Mario Raffaelli, trentino, all’epoca sottosegretario agli Affari Esteri del Governo italiano e uno degli artefici di quella storica firma – “La mediazione che riuscimmo ad organizzare, che venne definita dal segretario generale dell’Onu ‘formula italiana’, si basò sull’azione congiunta della diplomazia istituzionale, quella del Governo italiano, e quella informale, rappresentata dalla Comunità di Sant’Egidio, nella cui sede romana vennero siglati gli accordi del ’92. Ma un altro dei fattori che spiegano la tenuta di quegli accordi è il fatto che essi sono stati accompagnati da tutta una serie di azioni che hanno consentito di gettare le basi per un percorso duraturo di democratizzazione e di sviluppo, i cui frutti oggi tutti possono vedere. Il Trentino è stato uno degli attori di questo percorso, con i progetti di cooperazione avviati nel corso degli anni. Io credo in definitiva che sia l’Italia a dover ringraziare il Mozambico; vent’anni fa il Mozambico ci ha consentito di dimostrare ciò che eravamo in grado di fare.”
per approfondimenti: Provincia di Trento
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