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L’unica proposta politicamente incisiva è venuta da Giuliano Amato: dare vita a una Organizzazione economica del Mediterraneo, ispirandosi all’esperienza della Ceca/Cee, per cooperare in qualche settore specifico come l’agricoltura, le manifatture, l’energia, le infrastrutture; una cooperazione tra stati e solo “con chi ci sta”, senza necessariamente un coinvolgimento diretto dell’Unione europea: e senza escludere una rivalità tra supply chain mediterranea e tedesca. Per il resto, il forum Itaturk che si è svolto a Roma il 12 e 13 novembre è servito ai rispettivi ministri degli esteri – Guido Terzi e Ahmet Davutoğlu – per riaffermare l’impegno a rendere sempre più solida la partnership bilaterale: anche se al momento più retorica che operativa, limitata alle consultazioni e priva di slanci congiunti (né in Libia, né in Siria, né nei Balcani, né in Palestina, né in Somalia, né a Cipro: solo per ricordare alcune aree di crisi o di influenza per la Turchia, in cui l’Italia stenta a trovare una formula da protagonista).
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La sessione a parte chiuse, con circa 50 partecipanti, non ha prodotto risultati concreti. Molti membri della delegazione turca hanno auspicato che il forum si trasformi in qualcosa di diverso: che venga istituzionalizzato, che lavori durante tutto l’anno alla formulazione di progetti di cooperazione nel mondo accademico, della cultura, dell’informazione (al di là di possibili joint ventures tra imprese, abituate a fare da sole); altri hanno proposto di attivarsi per combattere i pregiudizi turcofobi e islamofobi che ancora prevalgono in Italia: la base di ogni possibile cooperazione è la fiducia, oggi esiste solo ai livelli governativo e imprenditoriale mentre l’opinione pubblica – sondaggi alla mano – è palesemente ostile.
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