Che storia, quest’Italia che mostra i muscoli per salvare i suoi soldati… A sproposito, mi viene da dire. Perché questo fatto del firmare accordi e sottoscrivere impegni per poi farne strame non mi piace per niente — anche se si tratta di un costume antico e non soltanto di derivazione savoiarda. Pacta servanda sunt, mi hanno insegnato: i patti devono essere rispettati; e se non vogliamo volare alto con l’etica, limitiamoci pure al pragmatico “non fare promesse che non sai di poter mantenere”. Non è mica difficile.
Tanto più che se il governo italiano avesse alzato la voce a tutela dei suoi cittadini anche nei casi, chessò, di Silvia Baraldini, Enzo Baldoni, Nicola Calipari o i medici di Emergency, adesso magari mi sentirei anche di approvare la cosa (erano casi un po’ più scomodi, ne convengo). Ma siccome il governo italiano, da quando ho memoria, è uno zelota del doppiopesismo, ecco che allora questo sfoggio di sovranità d’accatto da parte di uno Stato che ospita sul suo territorio — senza batter ciglio — qualcosa come 115 basi militari di una potenza straniera mi puzza alquanto. E m’induce a concludere che in fondo, se una nazione accetta di veder violata la propria integrità territoriale, a maggior ragione accetterà di poter violare le intese internazionali senza porsi soverchi problemi.
Così, ecco perché l’Italia — l’Italia di oggi, quest’Italia amata e sofferta e pianta e maledetta e radicata — per me è un Paese e non uno Stato. Un Paese che mi fa male, e che si fa male da solo.