In Italia si mangia meno bene di quanto non si creda. La classifica comprende 125 paesi considerando un’alimentazione sana, nutriente ed accessibile.
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A insidiare il mito del cibo made in Italy è l’ultimo rapporto dell’Oxfam che ha lanciato oggi il Good Enough to Eat Index, un indice globale sull’alimentazione che confronta i dati di 125 paesi e analizza come affrontano la sfida di garantire una alimentazione ricca, nutriente, sana e accessibile a tutti i propri abitanti. Sulla base dei dati diffusi da Oxfam, l’Olanda è al 1° posto della classifica, subito davanti a Francia e Svizzera, mentre l’Italia è inaspettatamente all’8°. Il Ciad chiude la classifica, appena sotto Etiopia e Angola. L’indice evidenzia come la fame e la scarsa qualità del cibo siano estremamente diffuse in un mondo nel quale, anche nei paesi più sviluppati come l’Italia, è sempre più difficile assicurare equamente l’accesso a cibo sano e nutriente.
La classifica prende in considerazione la qualità degli alimenti, l’accessibilità, la presenza di una dieta salutare e si domanda quanti abbiano a disposizione una quantità di cibo sufficiente. ”Oxfam ha elaborato questo indice per evidenziare i problemi che si affrontano per nutrirsi in modo sano e adeguato nelle più diverse parti del mondo. Il Good Enough to Eat Index dimostra che, a livello globale, nonostante ci sia cibo a sufficienza per tutti, la possibilità di avere cibo salutare a sufficienza e a prezzi abbordabili non è così diffusa nel mondo. C’è ancora molto da fare per garantire che tutti siano in grado di mangiare in modo sano”, afferma Winnie Byanyima, Direttrice di Oxfam International. “Sono povertà e ineguaglianza a nutrire la fame. L’indice dimostra che si soffre la fame dove i governi non sono in grado di attuare politiche efficaci per ridistribuire le risorse, dove il mercato fallisce e le persone non hanno il denaro e le risorse necessarie per acquistare tutti i beni e servizi di cui hanno bisogno”, conclude Byanima.
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Il Good Enough to Eat Index vede l’Italia all’8° posto, a pari merito con Irlanda, Portogallo e altri paesi e subito dietro ad Austria, Danimarca, Svezia e Belgio. “Un piazzamento deludente per un paese che fa del mangiar bene un tratto forte e distintivo dell’identità nazionale e che ospiterà l’Esposizione Universale di Milano proprio sui temi della sicurezza alimentare”, afferma Elisa Bacciotti, Direttrice Campagne di Oxfam Italia. “L’Italia potrebbe essere al primo posto, ma nel nostro paese sempre più persone fanno fatica a mangiar sano e far quadrare il bilancio: il costo della vita in generale è alto rispetto al reddito medio degli italiani, che in proporzione spendono di più rispetto ad altri paesi e hanno meno possibilità di acquistare cibo buono a buon mercato”.
Un tema, quello dell’accessibilità del cibo, calcolato sulla base del Domestic Food Price Level Index elaborato da FAO e Banca Mondiale e che vede il Regno Unito registrare la performance peggiore tra le nazioni dell’Europa occidentale: l’Inghilterra è infatti all’ultimo posto, insieme a Cipro, tra i paesi europei. Stati Uniti, Giappone, Nuova Zelanda, Brasile e Canada sono fuori dalla top 20.
Tutte le nazioni africane, tranne 4, occupano le ultime 30 posizioni a cui si aggiungono Laos, Bangladesh, Pakistan e India. In Guinea, Gambia, Ciad il cibo costa due volte e mezzo in più degli altri beni di consumo, facendo di questi i paesi più cari dove acquistare prodotti alimentari. In Angola e Zimbabwe si registra la più alta volatilità dei prezzi. I paesi in cui la popolazione affronta le maggiori difficoltà per accedere a una quantità di cibo sufficiente – con i peggiori indici di malnutrizione e di sottopeso infantile – sono Burundi, Yemen, Madagascar e India. Al contrario gli Stati Uniti, il Messico, le isole Fiji, il Kuwait e l’Arabia Saudita ottengono punteggi più bassi a causa dell’alto numero di individui con diabete o affetti da obesità.
Il Good Enough to Eat Index è stato elaborato da Oxfam nel quadro della campagna globale Coltiva – il Cibo, la Vita il Pianeta, che ha l’obiettivo di informare i cittadini e sensibilizzare imprese e istituzioni sulle azioni necessarie per riformare un sistema mondiale di produzione e distribuzione alimentare iniquo che ancora oggi produce più di 800 milioni di affamati. “Crediamo che la fame non sia un fenomeno inevitabile e per questo lavoriamo in tutto il mondo con progetti di sostegno al reddito dei piccoli agricoltori, e soprattutto delle donne, con campagne mirate a cambiare le politiche di governi e imprese per produrre e consumare cibo in modo più equo e sostenibile, e interveniamo nelle emergenze cercando di assistere le persone colpite da siccità, carestie, conflitti e, allo stesso tempo, di risolvere le cause che hanno creato le emergenze”, conclude Bacciotti.