Dovevano essere chiusi per ragioni di sicurezza, ma nel 2013 in Italia i punti nascita che effettuano meno di 500 parti l’anno sono ben 133, su un totale di 521 ospedali presi in considerazione. E’ quanto emerge dal Programma nazionale esiti 2014, sviluppato dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas) per conto del ministero della Salute, presentato oggi a Roma.
(nprcomunicazione.it)
Solo 133 strutture, su 521 presidi ospedalieri, effettuano meno di 500 parti all’anno. Un dato che fa riflettere, dal momento che il regolamento del ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell’assistenza ospedaliera parla chiaro, e che rimanda all’accordo Stato Regioni che, già nel 2010, prevedeva la chiusura delle maternità con meno di 500 parti. Le evidenze scientifiche sull’associazione tra volumi di parti ed esiti di salute materno-infantile mostrano infatti un’associazione tra bassi volumi ed esiti negativi.
La divisione, in base regionale, delle strutture con reparti di maternità. In base alla suddivisione, regione per regione, delle 133 strutture che effettuano meno di 500 parti l’anno, in testa ci sono Campania (20); Sicilia (18); Lazio (12). Seguono Sardegna (10); Puglia (9); Veneto (8); Toscana (8); Emilia Romagna (8); Lombardia (8); Piemonte (6); Umbria (6); Bolzano (4); Trento (4); Abruzzo (4); Friuli (3); Basilicata (2); Calabria (1); Marche (1); Molise (1).
Nei dati vi sono le case cure di casa non accreditate. Analizzando nel dettaglio la tabella, balza agli occhi la modesta attività di alcune strutture che effettuano ad esempio 35 parti l’anno, come Villa Regina in provincia di Bologna, oppure 21 parti come l’ospedale Nagar in provincia di Trapani. Ma si tratta di dati da prendere con le molle. Come spiegano gli esperti dell’Agenas, in questa particolare tabella sono infatti incluse anche le case di cura private non accreditate che non sempre si riescono a distinguere solo dalla denominazione: per esempio nel Lazio, delle 12 strutture sotto 500, 6 sono case di cura private non accreditate.
Diminuiscono i parti cesarei. Dai dati emerge inoltre che inizia a diminuire, a piccoli passi, il numero dei parti cesarei . Anche se gli obiettivi fissati sono ancora lontani, specie in alcuni regioni. La proporzione di parti cesarei primari è infatti passata dal 29% del 2008 al 26% del 2013, con grandi differenze tra regioni: in Campania, ad esempio, un parto su 2 è cesareo. L’Organizzazione mondiale della sanità sin dal 1985 afferma che una proporzione di cesarei superiori al 15% non è giustificata. Il parto cesareo rispetto a quello naturale comporta infatti maggiori rischi per la donna e il bambino e dovrebbe essere effettuato solo in presenza di indicazioni specifiche. Il regolamento del ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell’assistenza ospedaliera fissa al 25% la quota massima di cesarei primari per le maternità con più di 1.000 parti e 15% per le maternità con meno di 1.000 parti.
Il grande divario tra regione e regione. Ebbene, analizzando le tabelle dell’Agenas, a fronte di un valore medio nazionale del 26% si osserva una notevole variabilità intra e interregionale con valori per struttura ospedaliera che variano da un minimo del 4% ad un massimo del 93%. Mentre nel 2008 tutte le regioni del Sud avevano valori di media superiori ai valori nazionali, nel 2013 Basilicata, Calabria e Sicilia si avvicinano al valore medio nazionale, seppur con grande eterogeneità interna. Rimangono ancora molto evidenti le differenze tra le regioni del Nord con valori intorno al 20% e le regioni del Sud con valori prossimi al 40% che, nel caso della Campania, arrivano al 50%. La Liguria e la Valle d’Aosta sono le uniche regioni del Nord ad avere invece valori superiori a quelli nazionali. (ADNKRONOS)