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Ci sono alcuni fatti che hanno nella loro ciclicità quel peso insopportabile del perseverare diabolicum e costituiscono un tratto ormai indelebile del comportamento degli italiani, da sud a nord, uniti da un valore comune: il razzismo nei confronti dei rom.
Ma in questo basso continuo che accompagna la nostra storia si va sempre a peggiorare e anche chi avrebbe il compito di riportare la verità delle cose, almeno nei fatti di cronaca, inciampa sempre più spesso in questo grande magma emotivo che è la disinformazione italiana.
Una ragazza di 16 anni della periferia di Torino denuncia uno stupro da parte di due rom, i familiari, all'oscuro di come siano andate veramente le cose, organizzano, assieme alla gente del quartiere, un corteo per protestare contro la violenza. Il corteo sfocia poi in un vero e proprio assalto al campo rom con tanto di incendio finale delle baracche.
La realtà è, si viene a scoprire quasi in concomitanza con le violenze dei manifestanti, che non c'è stato alcuno stupro come ammette la stessa ragazza, si tratta di un'invenzione di sana pianta, e sui media monta un mea culpa collettivo, dove il fatto che emerge è la bugia della ragazza, non l'atto di violenza e intolleranza del corteo che brucia le case dei rom.
Tre anni fa successe a Ponticelli, un quartiere di Napoli, una storia simile molto ben raccontata in questo articolo sul Post, dove un'aggressione al campo rom locale fu sostenuta da una falsa accusa di rapimento di un bambino italiano da parte di una donna nomade, con lo stesso circolo/circo mediatico che si innesca sulla sequenza emotiva di sdegno-emotività-violenza.
La ragione, l'accertamento del fatto, non contano più neanche per la stampa, in questo caso La Stampa, che sballa completamente: "Mette in fuga i due romche violentano la sorella" incappa in un madornale obbrobrio razzista, poi crede di correggere con "Spedizione contro i rom per uno stupro inventato" in cui invece di stigmatizzare la spedizione nazista (siamo assolutamente autorizzati ad autorizzare il termine mai come ora) si tende ad enfatizzare la bugia, e poi chiude con "Il titolo sbagliato", redazionale in cui si proclama un sentito mea culpa:
"Un titolo che non lasciava spazio ad altre possibilità, né sui fatti né soprattutto sulla provenienza etnica degli «stupratori». Probabilmente non avremmo mai scritto: mette in fuga due «torinesi», due «astigiani», due «romani», due «finlandesi». Ma sui «rom» siamo scivolati in un titolo razzista."
Mea culpa che censura però solo il primo articolo, non il secondo, del quale probabilmente non se ne vede la fallacia all'origine.
Si fa un gran parlar male e giustamente della televisione, luogo deputato alla spazzatura, alle urla, ai piagnistei, alle marchette, al populismo becero dell'ora post-prandiale, e sia chiaro, la televisione è questo anche fuori da questo Paese, tuttavia anche la stampa del politically correct, delle penne autorevoli, più che un momento di riflessione puntuale ed analisi dei fatti sembra asservire la logica emotivo populista ed inevitabilmente razzista della televisione, in questo caso probabilmente senza neanche volerlo.
Tre anni fa era stata la stessa cosa ma noi italiani dimentichiamo spesso e chi ci ricorda di ricordare è antipatico, è pesante. Pigri, aspettiamo comunque che le cose si sistemino, nel frattempo, ci portiamo avanti con le pulizie domestiche bruciando le baracche dei rom. Perchè tanto, la responsabilità individuale, non sappiamo neanche cosa sia.
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