Magazine Diario personale
- I VIP, gli altolocati, quelli con ingenti somme da investire che probabilmente partecipano a gare d'appalto per aggiudicarsi la gestione dei ristoranti italiani negli hotel a cinque stelle sistemati lungo le sponde del Chao Phraya a Bangkok o dei resort di lusso nelle isole del sud. Il gruppo comprende anche come membri adottivi gli chef italiani che ci lavorano, gli aiuti cuoco, i direttori di sala, ecc.
- Le società califfato, come quella che possiede una catena di ristoranti italiani di alto livello nelle zone più costose di Pattaya: Walking street, Second Road e zona moli. Quest'ultima filiale, la più recente, secondo quel che ci ha raccontato uno dei soci è costata 1.5 milioni. "Di baht thailandesi?" Ha chiesto sovrappensiero il mio amico L. "No, di euro!" Una cifra stratosferica per un ristorante in Thailandia. "Ma c'è tutto quello che un qualsiasi operatore del settore può sognarsi di avere a disposizione...", aggiunge lui. Sarà, ma di sicuro hanno bisogno di un successo esplosivo se vogliono avere un ritorno sull'investimento in fretta, e per loro stessa ammissione non possono nemmeno contare su un gran numero di coperti. Dovranno lavorare abilmente sui prezzi del menù, per forza di cose.
- I professionisti da una vita: sono quelli che hanno sempre lavorato nel settore, magari da generazioni, e che si sono semplicemente portati in Thailandia le competenze, assieme alle quattro cianfrusaglie infilate in valigia. Personalmente ho conosciuto i fratelli napoletani del Via Vai di Koh Samui, dove fanno una pizza più buona di molte mangiate in Italia. E l'emiliano del Valentino di Pattaya, specializzato in pasta fresca, in particolare tortellini e ravioli. Ma ce ne sono molti altri.
- Per ultimi (in tutti i sensi) ci sono quelli che L - un amico toscano - definirebbe "i raccattati della piena". Bande di disperati in fuga. Arrivano in Thailandia, si trovano una donna, per vari motivi non se la possono portare a casa (spesso anche se potessero non lo farebbero comunque) e, provando a sfruttare come strumento di marketing il volano di buona reputazione creato e già avviato dai membri delle suddette categorie, aprono quello che loro osano addirittura chiamare "ristorante", ma che potrebbe essere più semplicemente una capanna di bambù con cucinotto, un magazzino di cemento con stufa elettrica, una roulotte o altra struttura prefabbricata munita di forno o anche semplicemente il piano di sotto di casa loro. Ricordo di aver mangiato una pizzetta (il diminutivo non si riferisce alla dimensione) cotta in un fornetto (idem) a gas presso una squallida baracca nei dintorni del molo di Tong Sala a Koh Phangan. Io e l'amico GM eravamo gli unici clienti, in quel momento di sicuro ma forse anche dell'intera giornata, o settimana. Alla fine del pranzo il simpatico romano per arrotondare propose di noleggiarmi il motorino della sua compagna per un giorno. Si potrà anche accusarlo di scarsa dimestichezza con taglieri, pentole e fornelli, ma certamente non di non aver provato a diversificare le attività.
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Nell'immagine il fotogramma di un celebre film di Alberto Sordi, utilizzato anche nell'insegna di un famoso ristorante italiano di Pattaya.
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