Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha messo sul tavolo della discussione politica un tema di grande urgenza sociale: quello del riconoscimento della cittadinanza ai figli di immigrati. Che dovrebbe essere foriero di gioia, poichè di arricchimento generale e sociale si tratta e non di problemi o frizioni.
E’ ragionevole pensare che sia cittadino italiano chi nasca in Italia. Eppure non è esattamente così, poichè, nel nostro paese, è cittadino italiano chi nasce da “cittadini italiani”, a prescindere dal luogo. Anche questo secondo principio giuridico, in realtà, è ragionevolmente condivisibile…
Tuttavia, le mutate condizioni sociali internazionali e le nuove società globali devono pur fare i conti con il mondo che verrà. Razza, nazione, ideologia hanno fatto, tutte insieme o separatamente, più danni che altro nel corso del secolo scorso. Quel modello è concettualmente sbagliato, poichè non tiene in considerazione un principio etico fondamentale: il diritto di essere “uomo”, eguale tra altri uomini.
In fondo, tali norme servono solamente per creare confini, barriere e separazioni sociali e culturali. Cioè discontinuità. Esse appartengono ad un sistema d’ordine imposto e non ad un valore per il singolo.
La mobilità delle merci e dei capitali non è ancora accompagnata da un quadro giuridico delle singole nazioni che permetta di eliminare le asimmetrie giuridiche territoriali legate alla vita degli uomini. Da qui partono scontri di civiltà, movimenti identitari che si strutturano verso valori morali e retaggi culturali che separano gli uomini tra loro, invece di unirli in un dialogo di pace foriero di “sicurezza”, in cui le differenze sono elemento di incontro e non di scontro.
Non è un caso che il garante della nostra costituzione, il Presidente Napolitano, consapevole delle necessità di una società in divenire sempre più eterogenea, affronti, con fare politico responsabile, un tema sociale che necessariamente deve essere normato, nel rispetto del presente.
Così come non è un caso che i vecchi barbari leghisti, fragili nel loro essere partecipi in un mondo di confronto, si arrocchino dietro alla Costituzione stessa per impedire che i figli di immigrati, nati in Italia, siano cittadini italiani.
La stupidità politica di questa opposizione è tanto scontata quanto incomprensibile. Creare stranieri in patria vuol dire creare cittadini di serie B. Il che equivale ad ammettere che esistano uomini di serie B. Nonostante questi uomini abbiano un percorso di vita sociale e professionale del tutto simile a quelli che sarebbero, o che presumono di essere, di serie A.
A ciò bisogna aggiungere che l’esclusione sociale è il fertilizzante migliore per creare tensioni e frizioni sociali e per demolire quei valori secolari che rendono oggi gli italiani tali. L’ordine sociale non deve e non può andare contro l’essenza dell’essere umano, quello di essere un soggetto che, nel diritto, esprime le proprie potenzialità, la propria natura e il proprio essere, in un contesto di uguaglianza che sia formale e potenzialmente sostanziale.
La crisi della politica e la sua attuale inadeguatezza si manifestano anche in questo caso. E’ stato necessario cedere la mano della democrazia a quella della ragion di Stato, accettando un Governo tecnico. Si è pensato che il Parlamento italiano potesse almeno produrre un dibattito costruttivo sui temi specifici della “politica”, così non è. Alla fine, l’unica conclusione verosimilmente logica è che questa classe dirigente ha fatto il suo corso e, nonostante continui a tenere le redini del potere, sia obsoleta e inadeguata. Va sostituita.