Cocaina. La cocaina è una droga che si ottiene dalla lavorazione delle foglie della Erythroxylum coca, la “pianta divina”. Si assume per inalazione, aspirazione, endovena.
È stata sintetizzata in polvere da oltre un secolo con l’ambizione farmacologica di farne una medicina contro la depressione, l’apatia, la stanchezza, l’impotenza. Ai bambini che sembravano agli occhi di mamme premurose poco attenti, svogliati e un po' deficienti, la si prescriveva sottoforma di sciroppo. Che paura immaginarsi bimbi belle epoque eccitatissimi con gli occhi sbarrati come civette.
Dunque un tonico. Una pozione magica. Una scossa al sistema nervoso. Per non dormire.
Cocaetilene. Il cocaetilene è una variante della classica assunzione. Insieme al fiutar zafferano andino, si accompagna l’alterazione artificiale con bicchieri ben colmi di bevande alcoliche. È pratica comune tra i consumatori ma alquanto pericolosa.
Liquore e coca tra loro sono finti amici. Vanno giù insieme e poi tornano su, in testa, per combattersi senza esclusione di colpi nella scatola cranica, per avere la supremazia sull’ospite. Il consumatore perde la percezione del limite etilico, l’ubriachezza non è più un confine, un muro da non valicare, ma si dilata nella mente.
L’appassionato di cocaetilene non si rende conto così di aver ingerito una quantità di liquore in grado di stendere un plotone di alpini, gli pare di esser ancora, se non proprio lucido, in piedi sulle sue gambe. È il doping dell’atleta della notte che per non andare a dormire sbronzo bara.
Intanto, dentro di lui, l’inferno. La tossicità di ambedue le sostanze si mette l’esponente. L’alcool, infingardo e offeso per non aver compiuto la sua missione soporifera, rompe gli argini e diviene fiume in piena, travolge cuore e fegato, inonda la psiche e distrugge i recinti in cui sono chiuse le arpie dello spirito: le cattive sorelle ansia, fobia, paranoia, aggressitività.
L’ultima, in particolare, è la condizione che introduce questa storia allucinata di trent’anni fa, tra nottambuli impenitenti, ostentazione, eccessi e ori in una Milano che si diceva essere da bere ma che era anche da vendere, da comprare, e perchè no, pure da sniffare.
Siamo dunque nella metropoli del Nord Italia, in un’assurda mattina di martedì 26 giugno 1984. La città meneghina si sta svegliando, è l’ora di andare a laurà per tutti i milanesi laboriosi e operosi, è martedì mica domenica.
Ma non tutti sono laboriosi ed operosi. C’è qualcuno che non è andato ancora a dormire dalla notte prima.
In via Magenta 14 c’è un palazzo signorile. Dentro il palazzo alcune anime disgraziate e corrotte stanno rappresentando l’atto più tragico delle loro vite sregolate e fuori giri.
Cinque colpi di pistola.
Una ragazza fugge dall’appartamento e corre come una matta su per le scale del palazzo. Pigia un campanello al piano superiore, con il pollice premuto isterico.
È un suono molesto che dopo gli spari irrompe nella quiete dell’alba molto peggio di una doccia fredda; è un rumore improvviso che desta al pari o peggio di schiaffi ricevuti nel sonno. Un uomo apre la porta di casa in vestaglia. Ma che diavolo succede?
“Francesco is dead”.
L’uomo in vestaglia ha ricevuto senza dubbio una brutta sveglia. Stretto nella vestaglia c’è Carlo Cabassi, giovane finanziere e socio di una delle più importanti agenzie di modelle di Milano (e quindi del mondo) e fratello del “Sabbionat”, Giuseppe, imprenditore edile da novanta. È il suo martedì nero.
Chi si trova davanti è una bella ragazza, Laurie Royko, indossatrice americana con un cognome affascinante; Royko, ha un qualcosa di esotico, letterario. È sconvolta. È terrorizzata. È strafatta.
Carlo manda in avanscoperta il domestico. Royko e il maggiordomo scendono giù, entrano nell’appartamento di Francesco D’Alessio, amico di Cabassi (o meglio, suo compagno di ululate sotto la luna). Nella stanza da letto, riverso in terra e con l’addome e il cranio forati, c’è Francesco in agonia.
Li raggiunge Carlo, che dopo aver ordinato al maggiordomo di chiamare l’ambulanza si preoccupa di occultare dalla casa che affittava al suo “amico” la cocaina e tracce della stessa in giro su tavolini e piani marmorei.
"Ma l' ho fatto unicamente per ripulire la memoria di D'Alessio", dirà poi al processo.
Francesco non raggiungerà l’ospedale da vivo.
È chiaro, si tratta di un omicidio. Anche il nome di chi è stato a commetterlo è chiaro sin da subito. Royko dice al commissario che è stata una certa Terry, che conosceva di vista perchè abitavano nello stesso residence, l’allora celebre Principessa Maria Clotilde, ribattezzato “Principessa Maria Clitoride”, un birbante nomignolo porno-buffo che lascia spazio ad interpretazioni boccaccesche, puttanesche, animalesche.
Al Maria Clitoride sono ospitate modelle e modelline che vengono a Milano a cercare fama, contratti, scatti di foto, passerelle, feste, soldi ... quegli anni sono il Klondike della moda, la corsa all’oro delle grandi firme del Made in Italy, dove l’oro è l’immagine spot, che vende, che fa sognare, che è lusso.
Doppia E, E-E, Eldorado Edonista; il residence Maria Clotilde è metà teatro e metà alcova della ricca città, ubriaca di successo e di se stessa.
Dopo facili e rapidissime indagini, la principale sospettata ha pure un cognome. La ricercata si chiama Terry Broome (foto), passaporto americano, da poche settimane in Italia sulle orme della sorella Donna, modella già affermata.
L’indagata viene fermata dalla polizia elvetica, dopo che il fidanzato di lei, Giorgio Rotti, avvisa la questura dove ritrovarla. Poche ore prima era stato proprio lui ad accompagnare la sua fiamma all’areoporto di Linate e ad imbarcarla sul volo Swiss Air delle 10.45 per Zurigo, complice di una goffa latitanza lampo.
Lei confessa subito e questa non è un’indagine nel mistero, a tastare ipotesi o annusare congetture. Il copione ha attori che compiono fatti assodati, confessati, certi.
Semmai l’interesse di chi scrive (e forse di chi legge) è rivolto ad immaginarsi l’ambiente e la situazione in cui l’omicidio è stato commesso, e nel contempo appoggiare la lente d’ingandimento storica in quegli anni di euforia, di effimere cascate di soldi, di nuova ricchezza.
I personaggi di questo racconto sembrano essere usciti da una mediocre sceneggiatura di qualche film del tempo, un incrocio tragicomico tra Vacanze di Natale e un giallo mal recitato.
La vittima si chiama Francesco D’Alessio, ex tennista, ex rugbista, rampollo, playboy. Non lavora, può permettersi di non farlo e di occupare il proprio tempo al tavolo verde, a far festa, a rincorrere l’esercito di gonne allegre della Milano che non ha sonno.
Suo padre è Carlo D’Alessio, avvocato ma di quelli spessi, gran amante dei cavalli, possiede importanti scuderie di purosangue.
Francesco è romano, si è trasferito a Milano dopo la separazione in armi dalla moglie Cheryl Stevens, americana, adultera, mangiatrice di denaro, e tanto per cambiare modella pure lei.
A Milano Francesco trova un habitat perfetto dove sguinzagliare la propria personalità eccessiva, irruente, arrogante, maleducata, affamata. Ha 40 anni vissuti bene o male a seconda del punto di vista, la sua figura rientrerebbe nella categoria dei vitelloni se fossimo nella provincia degli anni ’50; ora rientra nella razza dei viveur, termine più à la page in quegli anni che frizzano di neobenessere.
Ne stende tante Francesco, è un collezionista erotomane di avventure da materasso. Ma fallisce nel sedurre quella giovane americana del sud degli Stati Uniti, fragile e un po' mattoide.
Lei lo respinge, lui si offende, si vendica come un viziato bamboccio crudele, la denigra in pubblico, la umilia, la molesta, fa lo stalker volgare, mima masturbazione in sua presenza, si sbottona per mostrarle l’oggetto insaziato. Il fallo come prolungamento del D’Alessio-pensiero o forse il pensiero stesso del bellimbusto vanitoso. Tutto che ruota intorno al pacco.
Terry Broome è carnefice e vittima allo stesso tempo. Che vita sfortunata la povera Terry. Il padre, reduce di Corea e Vietnam, è di cinghia facile sui figli. Di botte a casa Broome in South Carolina ne volano tante.
Sedicenne scappa di casa ma a bordo di una strada trova il lupo cattivo nelle fattezze di una banda di negri con la schiuma alla bocca, eccitati dalla sua fanciullezza.
Che orrore, Terry diventa grande nel peggiore dei modi, la saccheggiano ripetutamente, barbari senza pietà. Questo episodio, più di altri, deve far riflettere molto sulla psiche traumatizzata della giovane.
Difatti poi le disavventure giungono incalzanti, in un percorso di vita che è corsa verso il fondo, verso la dissolutezza sempre più radicale.
Si sposa a diciotto anni per divorziare subito. Si rifugia a New York, in cerca di chissà cosa, trovando invece la bottiglia a tanti gradi, le anfetamine birichine, la coca infame.
La sorella Donna, pure lei un bel pezzo di ragazza, che nella moda sta riscontrando un certo successo, la chiama per farla venire dove c’è fermento e possibilità. A Milano ci si può sistemare, si può diventare modella, si può trovare un ricco ereditiere da sposare, et voilà appendere il cappello al chiodo e fuck off alle preoccupazioni e le miserie di un’esistenza borderline.
All’ombra della Madonnina Terry conosce il suo fidanzato bisettimanale, il gioiellere Giorgio Rotti, pippatore di bamba da Champions, tira sempre, anche quando guida tenendo il volante tra le ginocchia, un naso ingordo che si vanta d’un monile di sua creazione che porta al collo, una simpatica cannuccia d’oro per farcirsi le narici.
Ma oltre al viziaccio Giorgio pare essere tutto sommato una persona per bene, e anche se può apparire come una fantasia ingenua, Terry pensa che con lui può nascere qualcosa di diverso, forse è l’occasione per cambiare vita.
Illusioni.
Anche Terry ha il naso goloso. E le piacciono gli uomini, e le piacciono più uomini assieme. Una notte, nella villa di campagna di proprietà del “modellaro” Carlo Cabassi, si degenera un po'. Al banchetto carnivoro, la portata principale è fatta dagli ansimi dell’americana.
È in quell’occasione che Francesco D’Alessio viene rifiutato, ma come si permette a dire di no quella sciaquetta yankee ad un figo come lui? Iniziano le offese e le avances pesanti e insopportabili.
La notte del 25 giugno 1984 un’allegra combriccola di tavolieri si sollazza al Nepentha, discoclub di yuppies, di giovani con il portafogli pesante, di gambe lunghe di allegre signorine.
D’Alessio insulta la preda mai conquistata, dice a tutta la banda ebbra che è ninfomane, che fa le ammucchiate. Dietro una colonna fa gesti porci. La segue in bagno e compie l’atto da ragazzino delle medie, sbottonandosi la patta platealmente, ma lui ragazzino delle medie non è, ha 40 anni quel ciaparàtt.
Intanto, cocaina per tutti.
Giorgio Rotti e dama si ritirano a casa di lui, ma per litigare e forte. Quel D’Alessio ha messo in imbarazzo Giorgio davanti a tutti i suoi amici, si è fidanzato con una sgualdrina, te se propri un pirla Giorgio!
La manda a quel paese e si eclissa a tentar di dormire.
Dentro la testa di Terry qualcosa si rompe, il mondo le sta crollando addosso, di nuovo. Non ha voglia di andare a dormire. Si mette in salotto, stende sul tavolino la polvere pestifera.
Una, dieci, cento righe. Poi alè, alto il gomito e giù in gola whisky e vodka. La ragazza è un fuscello, non è mica un carrista sovietico, ma quanto beve?!?
È ovviamente agitata, la botta si fa sentire al galoppo. Tocca le cose di Giorgio, infila le mani nei cassetti. Oh, tu guarda cosa spunta fuori. Revolver Smit&Wesson 38 special, sei colpi nel tamburo pronti all’uso.
L’alterazione ora si fa davvero pericolosa. Terry medita, matta e sballata persa, la sua maldestra vendetta.
Chiama casa di Francesco, dice di essere una certa Diana e chiede di raggiungerlo. Lui non sa chi sia Diana, ma perchè no? Magari si fa orgia.
Prima di entrare nel palazzo di Via Magenta, imbottita e imbottata, con la faccia tirata e rigida, gli occhi sbarrati e le pupille dilatate in una brutta maschera di ipereccitazione, si da ancora ulteriore carica in una cabina del telefono.
Assunzione smodata, da infarto.
Il suo persecutore è in compagnia di Royko, fanno festino al mattino. D’Alessio è sorpreso di vederla ma invita Terry ad unirsi alla scorpacciata dei tiratardi; lei non se lo fa ripetere e ancora non paga fa scendere la testa su un altro tavolino; la donna-aspirapolvere.
Rabbia + frustrazione + alcool + cocaina = pazzia. Francesco e Terry vanno in camera da letto e scoppia la burrasca, il litigio isterico. L’americana estrae l’arma e fa fuoco cinque volte, due proiettili vanno a segno.
“Francesco is dead”.
Il processo assumerà toni grotteschi, ridicoli, teatrali. La città industriale dei commerci e della moda si leverà il paraocchi: scoprirà ipocrita che tra i suoi figli dell’alta borghesia c’è marcio.
Accorre in aula il pubblico curioso, il popolo è sempre affamato di queste cose. D’altronde gli ingredienti cinematografici per attirare le folle ci sono tutti: soldi, droga, belle ragazze, vite dissolute, sesso.
Alla gente piace quando i ricchi cadono; quando i ricchi piangono la gente gongola. In tribunale si ride pure. “Ammuncchiate”. “Polverina magica”. “Francesco aveva il tic di toccarsi sempre”.
A Terry, la sfortunata ragazza della Carolina del Sud, il giudice riconoscerà le attenuanti. 14 anni in primo grado, piena lieve per un omicidio, è giusto, non ha agito per malvagità.
Scontata la pena, tornerà in America in cerca di un nuovo inizio.
L’episodio di cronaca nera di trent’anni fa porta la mente verso quello strano periodo di esplosione liberal-consumistica arrivata anche da noi per influenza reaganiana.
E Milano è al centro di quel futile movimento di frivolezze, di moda e di status symbol. L’apparenza - anzi l’apparire - diviene sovrano e il pensiero intellettuale decade in noia. L’apparire sodomizza il pensiero.
Le immagini fanno guadagnare, sono tutto; ed eccole scorrere quelle immagini nella memoria storica, visioni ormai demodé, quasi nostalgie naif.
Milano ’80. I soldi che girano in una tromba d’aria. I liceali benestati in Moncler divoratori di cibo spazzatura al Burghy di Piazza San Babila. Fast food; fast life.
Berlusconi, Milano 3 e i quieti quartieri-città di cigni e laghetti.
Piazza Affari in euforia rapace, anche la borsa si è drogata. Ci sono i Re Mida delle contrattazioni che trasformano i milioni in milardi e i giovani arricchiti male detti yuppies, ma in realtà il termine giusto è parvenues, ovvero plebei che si mascherano da signori e scimmiottano Gianni Agnelli ed uno stile che mai sarà loro.
Il PSI al potere, l’ambizione di quarta potenza industriale e il sogno nazional-craxiano. Quanta coca, pippa che ce la fai, nei locali la chiamano “l’acqua bella frizzante”.
Ma dietro la riga aspirata con il Caravaggio delle 100.000 lire arrotolate è bene sapere che ci sono i banditos di Medellín, Cosa Nostra, i contrabbandieri di Calabria e i ras di Napoli. E poi, su tutto il marasma di neon, l’ascesa più importante dal punto di vista storico e sociale: la televisione commerciale, amata nostra signora puttana.
Amico tubo catodico dacci oggi la nostra dose quotidiana di quiz, tette, telefilm, Drive In, Dallas, cartoni nipponici, sogni di varietà, luci rutilanti, allegria!
Amico tubo catodico dicci oggi cosa comprare.
Milano da bere e i suoi cinque spari al mattino, la festa è finita.
Federico Mosso
@twitTagli
Per approfondire:
Storia proibita degli anni 80 - La Milano da bere, ascesa e caduta (History Channel)
Spot Amaro Ramazzotti Milano da bere 1987
TERRY BROOME uno sparo nella cocaina – Corriere della Sera, 13 agosto 1995
“Sotto il vestito niente” – film di Carlo Vanzina - Italia 1985