L.L.L.
Luciano Liboni, il Lupo. È il cattivo dei film.
L.L.L. fugge; il lupo si nasconde in tane improvvisate.
Si dà alla macchia, ricercato da un esercito di divise. Sa di essere sconfitto ma non si arrende, ed è armato: le sue zanne possono ancora mordere.
Luciano Liboni sta tenendo in ostaggio l’Italia intera. Come se fossimo dentro una storia da selvaggio West, coi banditi, gli sceriffi, le pistole, i duelli mortali e i manifesti ingialliti con i ritratti dei criminali a piede libero, inchiodati sui muri di villaggi sprofondati in province lontane e desolate.
Estate bollente 2004. Una gigantesca caccia all’uomo, con telecronaca ora per ora, è in corso. I media nazionali ronzano sovraeccitati sulla vicenda, pare un poliziesco da americani. Umbria, New Mexico. Marche, Nevada. Lazio, Texas.
Eppure, talvolta, son follie che capitano anche tra le nostre colline e i nostri borghi antichi, non occorre correre a tavoletta sulle highway in mezzo al deserto o tra i sobborghi californiani sui sedili di auto-sceriffe.
Wanted, ricercato. Dead or alive, vivo o morto, e sotto la scritta, la faccia con occhiali e pizzetto del fuggiasco, il pericolo pubblico numero uno, il Lupo.
Luciano Liboni nasce il 6 maggio 1957 a Montefalco in provincia di Perugia, comune umbro che sorge su una collina ricca di uliveti e vigne. La famiglia Liboni è numerosa, lui è il primo di sette fratelli. Non se la passano bene i Liboni, vivono in povertà. Il papà Luigi, muratore, a casa ci sta poco. La mamma, Giuliana, è una donna con problemi seri.
Il bambino viene su male, diverso dagli altri, cattivo. A scuola fa il diavolo a quattro, non è che abbia tanta voglia di perdere tempo sui libri, è inutile provare ad addomesticare quel cucciolo selvatico.
Insofferenza per l’autorità, propensione alla ribellione, rifiuto delle regole, asocialità: il ragazzino fa quel che vuole, isolandosi dai suoi simili.
Nell’adolescenza volano i cazzotti; le risse e le botte sono materie indispensabili per chi sceglie la strada sbagliata. Lucignolo molesto, conosce le sbarre del gabbio minorile per aver rubato un’auto ad un invalido ed essere stato acciuffato dalle guardie dopo un inseguimento a tanti chilometri orari.
Il carcere minorile di Firenze non l’ha corretto, la retta via non è sentiero che gli interessa.
Usa i pugni, in paese, nelle discoteche. Fa una faccia così ad un dipendente comunale, cambia i connotati ad un vigile urbano reo di avergli rotto le scatole per un parcheggio La gente lo addita per quel che è, cioè un attaccabrighe, un violento e un solitario.
Tenta di fare il bravo con il mestiere di falegname, e se la cava persino bene come artigiano, ma alla lunga quella vita da “regolare” gli sta stretta, è incompatibile con il suo spirito turbolento.
Mette su un abbozzo malriuscito di famiglia, quando una ragazza ha la sventura di innamorarsi di quello spirito maledetto, finendo incinta, per poi allontarsi subito con il bimbo in grembo, lontano da lui, tra le montagne svizzere, per troncare definitivamente ogni rapporto presente e futuro.
Con gli altri Liboni, è in perenne conflitto. Taglieggia la pensione della madre e suo fratello lo denuncia. Luciano gli giurerà che prima o poi gli farà la pelle. Un altro fratello, anima ancora più sfortunata, vittima di follia incurabile, si lascerà morire in manicomio, vinto dalla vita.
Ora, aggiungiamo un’altra L alle sue iniziali. L.L.L.L. Luciano Liboni, il Lupo e Ladro. Ruba opere d’arte, facendo razzie tra Umbria, Lazio e Toscana, il suo triangolo di lavoro.
La sua specialità, però è un’altra. È un abile rapinatore di uffici postali, e i colpi messi a segno son tanti, gli permettono di tirare avanti da sbandato.
Per un periodo di qualche anno si lega ad una donna di Foligno di 33 anni, personalità al limite anche lei, con la quale fa rapine a mano armata, senza sparare però. Bonnie e Clyde d’Umbria, condividono l’hobby per la droga pesante e le stanze della casa della madre di lui.
La fidanzata scappa pure lei da Luciano, perché quando il Lupo s’arrabbia, la mena e volano botte forti. Nessuno può stargli vicino, è fatto così.
Il “Cinghiale” lo hanno sopprannominato in paese, un altro nomignolo di bestia, perchè robusto, e si dice che passi periodi da eremita non si sa dove, in casolari abbandonati, nei cassoni di vecchi furgoni, nei boschi. Come un animale.
Gli piacciono le moto da enduro di grossa cilindrata, ne ruba e le spinge con perizia a rotta di collo per i tornanti di monti e colline. Il suo garage ambulante nonché seconda casa su quattro ruote è un Ford Transit con cui scarrozza e custodisce i suoi destrieri d’acciaio e plastica.
S’avvicina all’immaginario del pistolero solitario di memoria western: uomo senza amici nè affetti, perduto, che vaga solo con il suo cavallo e la pistola carica in praterie e villaggi di frontiera in cerca di avventure e disavventure.
Pappardelle-western al ragù di cinghiale, un secolo dopo le rapine alle diligenze e ai saloon. Per un pugno di euro; se fossimo dentro Il buono, il brutto, il cattivo di Sergio Leone, lui sarebbe il brutto e il cattivo incarnati nello stesso corpo.
E il buono? Il buono non c’è in questa storia italiana a cavallo tra due millenni.
Clint Estwood è rimasto a Hollywood.
Il cinghiale corre veloce dentro la spirale, sempre più giù, verso la dannazione in terra. Non si arresta, se va tutto male lui fa peggio, è prossimo alla sua guerra privata e totale. Lui, da solo, contro tutto il mondo.
Lo accalappiano e lo rinchiudono in galera per un breve periodo con le accuse di furti, rapine seriali, droga. È l’estate del 2001. Si fa sei mesi poi esce per decorrenza dei termini; male, là dentro non si è certo ravveduto e addolcito.
Aprono la gabbia ad un Lupo con la rabbia.
L.L.L.L. Luciano Liboni, il Lupo, è Libero. Fate occhio esseri umani per bene.
All’uscita dal carcere qualcuno ascolta le sue parole rabbiose:
“Qua non ci torno più. Se mi trovano li porto all’inferno con me.”
Febbraio 2002, a Todi, in provincia di Perugia, Liboni ruba un’auto ad una donna, una Volkswagen Polo di colore bianco. Per caso, sulla statale, incrocia Franco Gentili, trentottenne benzinaio che riconosce l’auto perché la vittima del furto è una sua amica.
Chiama il 113 e cercando di non destare sospetti, segue la Polo rapinata. In macchina con il benzinaio ci sono la moglie e il figlio. A Ponte San Giovanni, frazione-quartiere della periferia perugina, l’incauto e improvvisato segugio affianca la Polo al rosso di un semaforo. Fa finta di niente, Gentili. Lancia un’occhiata alla sua destra, per vedere chi è il ladro. Oh Gesù, che faccia da forca.
“Mi ricordo quegli occhi spalancati, quello sguardo come un matto. È stato un secondo che mi è rimasto impresso per sempre.”
Gentili crede di essere più furbo del criminale, ma si sbaglia.Luciano si è accorto di tutto e tira giù il finestrino del lato del conducente.
Una canna cromata spunta dalla Polo e sputa un proiettile che buca il finestrino della macchina inseguitrice, sfiora la punta del naso della donna e si conficca nel cranio del benzinaio. Non lo uccide ma ci è mancato pochissimo.
La Polo bianca schizza via a razzo, la macchina della famiglia Gentili, no.
È l’inzio della fine, il Lupo è impazzito e d’ora in avanti chiunque oserà sbarrargli la strada assaggerà i suoi artigli sotto forma di proiettili del revolver cromato 38 special marca “Renato Gamba”, con canna da 2,5 pollici e matricola abrasa.
30 marzo. Sull’Aurelia, nei pressi di Civitavecchia c’è un posto di blocco di finanzieri. Paletta su.
“Alt!”
Il Ford Transit con a bordo il Lupo e una moto rubata non si ferma. Il traffico però blocca subito la fuga del furgone. Scende inferocito e spara a ripetizione e a segno, usando scudi umani afferrati dalle auto imbottigliate.
Tre agenti cadono feriti. Il pistolero si dilegua, sequestrando un’altra vettura.
Il giorno dopo, un ignaro guidatore si gira di scatto verso la portiera destra che si spalanca: entra un ceffo armato che vuole andare a Roma.
Cose che capitano di solito solo al cinema, pensate che trauma, siete lì, tranquilli nel tepore delle vostre auto, ad ascoltare la radio e ad aspettare che il semaforo si faccia verde, immersi nei pensieri, ed ecco ad un tratto una bomba nella vostra vita, un lupo mannaro che odia tutto al vostro fianco che vi preme sulla tempia l’acciaio di una pistola.
Le strade d’Italia scottano troppo, meglio riparare al di là delle Alpi. Alloggia a Praga, nel corso del 2003, la polizia ceca lo ferma, i suoi documenti sono falsi e lo sbattono in cella.
Grave errore e superficialità delle forze dell’ordine locali e dell’Interpol: prima che venga riconosciuta la sua vera identità, lo rilasciano.
Il Lupo è di nuovo a zampa libera.
Nella primavera del 2004 viaggia; prende un biglietto per l’Eden. Forse, è quello l’unico momento felice della sua esistenza noir.
In Sri Lanka, lacrima dell’India, isola di spezie e crocevia di religioni e storia, trova l’amore. A Negombo, sulla costa Ovest, babele di fedi dove convivono cattolici, musulmani, indù, buddisti, stringe una relazione con una ragazza cingalese, conosciuta a Roma, forse diventerà papà per la seconda volta.
Lei gestisce una piccola attività sulla spiaggia e il Lupo in costume da bagno sogna di investire dei soldi, di acquistare terreni coi bottini delle rapine, e chissà, di mettere su bungalow turistici, di aprire un bar, magari un ristorante. E vivere semplice ma bene, all’ombra di palme, lontano da quella società impossibile da sopportare con cui è sceso in guerra da quando è venuto al mondo.
L’Oceano Indiano, il tramonto esotico, un sogno. Tornerà, se lo giura.
Quando rientra da noi nella nebbia invece, subisce il richiamo della foresta. Lupo solitario ed anche misantropo. Il misantropo mannaro.
Vive da braccato, all’addiaccio, nei boschi umbri, alle pendici di monti appenninici.
Un sacco a pelo, scatolette, un fuoco per scaldarsi e poco altro. Sempre più animale, sempre meno uomo.
Vengono ora in mente altre pellicole americane, come Rambo, dove un reduce psicotico della guerra del Vietnam prolunga il conflitto tra le montagne del Nord degli Stati Uniti, contro sceriffi perfidi, diventando da preda predatore. Oppure come Un tranquillo weekend di paura, che narra di una tragica gita in canoa lungo un fiume nello stato della Georgia, le cui sponde boscose sono abitate da un’umanità barbara isolata dal resto della civiltà.
Un Liboni, tra quelle foreste di selvaggi cacciatori di uomini, probabilmente si sarebbe trovato a proprio agio. E ancora: Un giorno di ordinaria follia di Joel Schumacher interpretato da Michael Douglas ...
Ma non stiamo a fare troppo cinema, atteniamoci ai fatti, adesso incalzanti.
Estate 2004. Le ultime sue due rapine, ad inizio luglio, gli fruttano oltre 30.000 euro, un gruzzolo con cui può tirare avanti ancora diversi mesi.
Il 3 luglio, a Guidonia, incappa in nuovo un posto di blocco, questa volta di carabineri.
“Documenti, prego.”
Eccoli qua.
Bang!
Ferisce un militare e sparisce un’altra volta.
Luciano morde e fugge.
Liboni fissa un appuntamento e si presenta in groppa ad un’altra motocicletta dello stesso modello di quella in vendita, solo molto più malmessa e vecchia, un ronzinaccio ormai.
Il venditore si ricorda di quell’uomo per tre cose: per le scarpe da ginnastica molto consumate, per gli occhiali da vista con una brutta montatura rosa e viola, e soprattutto per l’odore. Un olezzo penetrante, intenso, nauseante, bestiale.
“La posso provare?”, chiede l’acquirente.
“Si accomodi”, acconsente il venditore.
Il Lupo accende la moto e sparisce a razzo. Non è stato un buon affare per il tizio di Terni.
Scoprirà inoltre, che la moto usata che il ladro ha abbandonato per lo scambio vantaggioso, è stata rubata a Roma venti giorni prima con lo stesso sistema.
Capita anche a lui di farsi male. Il 21 luglio, su una strada dell’Appennino tosco-romagnolo, scivola con la moto. Si ferisce una mano e si spacca il naso sull’asfalto. Si presenta all’ospedale di San Piero in Bagno in provincia di Forlì con le generalità del suo documento fasullo.
Il Lupo mascherato da signor Franco Franchini passa una notte in degenza. La mattina riprende la via della latitanza armata.
Con la moto malmessa e acciaccato nel fisico, raggiunge Pereto, frazioncina di Sant’Agata Feltria, comune in provincia di Rimini.
Tra le quattro case c’è il bar trattoria “Ciccioni”, qualche tavolo, un bancone, e poco altro.
Fa un caldo boia, le cicale cantano nell’afa della tarda mattina di provincia.
Poca gente, la strada è semideserta.
La proprietaria del locale guarda di sbieco quello strano cliente. Com’è ridotto! Trasandato, barba incolta, cerotti in faccia e benda sulla mano destra, la maglietta verde chiazzata da ampi aloni di sudore. E poi come puzza! Sembra di avere un cane randagio al bar.
No, nemmeno un cane, un lupo addirittura, sbucato da chissà quale foresta.
Liboni chiede di telefonare. Le cifre del numero telefonico che compone sono molte. Luciano chiama la sua donna a Negombo, in Sri Lanka. È una lunga telefonata, concitata, quel motociclista male in arnese si agita.
La proprietaria, oltre all’odore di carogna, avverte anche altro, c’è un qualcosa di indubbiamente pericoloso in quell’uomo selvaggio.
Incrocia gli occhi del Lupo.
Fanno paura.
Avvisa i carabinieri.
Mentre il bandito è al telefono, l’appuntato scelto Alessandro Giorgioni, sposato e papà di un bimbo di cinque anni, fa la sua ronda solitaria con la vecchia Fiat Uno di servizio. Gli ordini di Giorgioni, quel giorno come altri, sono di battere in auto chilometri sui monti stretti tra Emilia-Romagna, Toscana e Marche. Un semplice servizio di osservazione.
Via radio gli comunicano di dirigersi alla frazione Pereto, per un controllo. L’appuntato entra, individua subito chi è da controllare.
“Buongiorno, può mostrarmi i documenti?”
E il Lupo, senza innervosirsi:
“Certo, li ho fuori, sotto il sellino della mia moto. Mi segua.”
Il carabiniere segue il killer. Appena sono usciti, il Lupo azzanna, è un attacco a sorpresa, inaspettato. Liboni si gira di botto, estrae la 38, la punta al collo del militare, preme il grilletto. L’appuntato crolla in terra con la gola esplosa e il bandito gli spara ancora addosso un colpo al petto.
Le cicale interrompono il loro concerto estivo.
Luciano ha oltrepassato il confine del non ritorno. Adesso è un assassino. Una moto enduro romba lontano dalla scena, e dietro, un carabiniere agonizza sul ciglio della strada.
Caccia all’uomo! Gli elicotteri si alzano e sorvolano borghi e radure, i posti di blocco setacciano il traffico, gli identikit del brigante fanno il giro delle caserme. L’Arma dei Carabinieri è furente, hanno ucciso uno dei loro a sangue freddo.
A mettere le manette ai polsi di quella bestia è giusto siano dei carabinieri, costi quel che costi. E se le manette non saranno sufficienti a domare quell’odio che sia in ogni caso un carabiniere a metter fine a quella scheggia impazzita.
Luciano Liboni non deve scappare. Prendetelo, ordinano i generali.
Dead or alive, vivo o morto.
Sono passate poche ore dall’omicidio e il neo pericolo pubblico numero uno si dirige a Sud, sulla Tiberina, superstrada E45 nel cuore dell’Italia Centrale.
Nel suo ultimo on the road, qualcuno lo riconosce ad una stazione di servizio tra Emilia-Romagna e Toscana. Il Lupo fa il pieno, vuole raggiungere la Capitale per il suo ultimo atto.
A Roma cosa spera di trovare? Forse appoggi per espatriare, qualcuno della mala che gli fornisca un passaporto falso, un nascondiglio sicuro... Dai boschi dell’Appennino alla giungla metropolitana, Liboni è deciso comunque a non farsi prendere. Non vivo, perlomeno.
Ma Luciano, di amici non ne ha. La malavita scansa il reietto, non è uno di loro, quello è un cane sciolto, che ha appena accoppato una guardia. Sarebbe un guaio anche solo parlargli assieme.
La madama tutta, i carramba, i pulotti e i canarini sono sguinzagliati sulle sue tracce. Aiutare Liboni equivale alla galera.
Via, sciò, pussa via cagnaccio rognoso, fatti ammazzare per i cavoli tuoi, che i criminali seri hanno altri problemi che star dietro alle follie kamikaze di un orco senza Dio.
Lo cercano disperati, lo trovano la mattina di sabato 24 luglio.
In via delle Terme di Diocleziano, vicino al mercatino dei librai, rimbomba tra i palazzi un grido:
“Mani in alto!”
Un uomo in camicia bianca con gli occhiali da sole e un plico di giornali sottobraccio si volta, indietreggia e dai quotidiani sotto l’ascella, fondina di carta, estrae l’inseparabile ferro del mestiere.
Tra le bancherelle è il panico, volano proiettili che si conficcano in saracinesche. Inseguimento a gambe levate, con la milza in mano per il centro.
Mentre scappa preme altre volte il grilletto per creare caos. Vicino alla stazione Termini apre la portiera posteriore di una Ford Fiesta e s’infila nell’abitacolo.
A fianco, si ritrova la faccia esterefatta di un ragazzino di dodici anni. Sui sedili anteriori sono seduti suo padre e la sorella quindicenne. Il passeggero imbucato ordina:
“Muoviti, cammina.”
E ripete l’ordine urlando come un disco rotto.
“Muoviti, cammina. Muoviti, cammina. Muoviti, cammina” . La Ford Fiesta con famiglia è il mezzo che il Lupo usa per uscire dalla zona ora circondata da forze ingenti, riesce a perforare invisibile il cordone di uomini e mezzi della polizia e dei carabinieri.
Scivola via, ancora una volta.
Il sequestro lampo dura appena 300 metri, il bandito riapre la portiera e s’immerge nella folla, per mimetizzarsi. S’inabissa giù per le scale di una fermata del metrò e coperto dalla gente entra in una carrozza.
Alla fermata esce di nuovo alla luce del sole e sale su una navetta. Si è dileguato, mentre Roma ascolta gli strilli delle sirene e le edizioni straordinarie dei telegiornali.
Paura collettiva. Un uomo solo terrorizza il Paese, la psicosi è nazionale.
25-26-27-28 luglio: caccia grossa. Gli emotivi, i mitomani, i cretini intasano i telefoni dei commissariati. Lo avvistano ovunque, Luciano Liboni, il bandito che ha il potere dell’ubiquità...
I posti di blocco spuntano come funghi non solo nel Lazio, ma anche in Campania, e ben più a nord, in Liguria, dove si teme possa tentare lo sconfino. I nervi sono tesi come corde di violino.
Quattro volanti si mettono all’inseguimento di un individuo in scooter che non s’è fermato all’alt, lo disarcionano per poi puntargli le beretta sotto il naso.
Ma hanno preso un granchio, quello è solo un vecchio tossico ultraquarantenne, non è il Lupo.
Si propone una taglia di un milione di euro. Lo scrittore Carlo Lucarelli, in un’intervista a La Stampa dice:
“L’esperienza mi suggerisce che lo prenderanno vivo.” Questa volta Lucarelli si sbaglia.
Non si sbaglia invece l’ex sindaco di Montefalco, che conosce bene il soggetto:
“Braccare Liboni è inutile, è abituato a scappare e rimarrà una primula rossa fino a quando vorrà".
Ha ragione, l’ex sindaco, anche perchè vengono fuori nuovi elementi dalla biografia del ricercato. Il Lupo è malato.
Da sempre, soffre di epilessia, lieve a dire il vero, ma quando gli prendono gli attacchi bisogna subito adoperarsi con bastoncini di legno sotto la lingua, come ricorda la sua donna e compagna di rapine.
Dal viaggio in Sri Lanka, oltre al ricordo di una storia d’amore si è portato dietro come souvenir la malaria. Ha bisogno di continue assunzioni di farmaci specifici a cui non può fare a meno.
Il male peggiore però, è un altro. Il Lupo ha l’AIDS, ed è spacciato. E allora si può tentare di capire questa sua furia cieca, di un uomo sbandato che non ha davvero più nulla da perdere, perchè sa di essere vicino alla fine.
L’orologio della vita sua sta per fermarsi. È condannato, un morto che cammina.
Le guardie ora sanno che quel folle pistolero non si arrenderà mai. Appare ancora più pericoloso di quanto già non fosse. Di crepare, non gliene frega più nulla.
In quel fine luglio soffocato dal caldo, la gente per bene fa il tifo per le forze dell’ordine, affinchè fermino il killer, mentre la gente per male fa il tifo per il Lupo, nuovo eroe dei dannati, terrore dei buoni e ammazzasbirri.
LUCIANO LIBONI SEI IL MIO DIO
LUCIANO LIBONI TI ADORO
LUCIANO LIBONI FUGGI PER NOI
LUCIANO LIBONI, IL PADRE CHE NON HO MAI AVUTO
UN MERCOLEDI’ DA LIBONI (firmato B.I.S.L. Basta Infami Solo Lame).
LUCIANO LIBONI UCCIDILI TUT (scritta non ultimata dai pittori, quattro squatter romani beccati con le mani nella vernice bianca da una volante della polizia).
Nel frattempo, il Lupo si rintana dove gli riesce. Lo vedono ovunque ma è nella Capitale che lui trascina gli ultimi suoi giorni di vita.
Passa le notti in giacigli di fortuna, in compagnia di barboni, clandestini, esseri umani invisibili, proprietari solo di un cartoccio di vino e di una coperta.
Si mescola agli ultimi, gli scarti della società presentabile.
La panchina come letto per due ore di oblio, l’angolo lercio di una stazione metropolitana come tana per riprendere fiato. E di giorno il bandito non ha altra scelta che tuffarsi nella calca romana e tra le folle internazionali di turisti sudati: mimetizzazione metropolitana, un uomo nascosto a migliaia di altri.
Sabato 31 luglio è l’epilogo, la resa dei conti. La morte non aspetta più, ha tentato di sfuggirle con rara abilità criminale ma ora la Signora Nera esige quello che le spetta.
La scena finale di questo thriller agitato si svolge nella zona del Circo Massimo, di mattina. Tanti i turisti, mischiati ai primi drappelli di fan del duo folk Simon & Gurfunkel, che si esibirà quella sera stessa in un grande concerto allestito tra i Fori Imperiali e il Colosseo, per la gioia di personalità nostalgiche di quando erano giovani, vip nazionalpopolari e circa mezzo milione di spettatori attesi.
Una donna cinquantenne incrocia una sguardo che la terrorizza. Assomiglia a ... sì, a quello della televisione ... “Oddio! Che tte pòssin'ammazzà!”.
La signora ferma due vigili urbani in moto.
“È andato da quella parte, c’ha ‘na faccia brutta.”
I due della municipale seguono a distanza il sospetto. Arrivati in piazza Porta Capena, passano la palla ad una pattuglia di carabinieri, due militari anche loro in motocicletta.
I due cacciatori, guardinghi, si avvicinano alla fiera con occhiali da sole e zainetto.
Cazzo, è lui.
Un carabiniere gli è alle spalle, con la moto condotta a passo d’uomo. L’altro collega fa un giro largo per sbarragli la strada. Sono solo in due ma improvvisano, riuscendoci, una tattica d’accerchiamento.
Momento clou. È stanato.
“Ehi, Luciano!” grida il carabiniere, sceriffo del Circo Massimo nel western romano.
E Luciano ha un brivido, ma non lo fa vedere. Fa tre passi ancora, senza scomporsi, senza cambiare andatura. Scatto! L’artigliata del Lupo è improvvisa e fulminea, come già ci ha mostrato con l’omicidio a sangue freddo dell’appuntato a Pereto.
Giravolta, estrazione dell’arma, fuoco, due spari. Il tempo cambia ritmo, si dilata al rallenty. I proiettili sfiorano Alessandro Palmas del Nucleo motociclisti. Mantiene il sangue freddo, Palmas.
La moto cade in terra, diventa il suo scudo, ma non risponde ancora al fuoco, tenta il dialogo, inutile.
“Forza, arrenditi!”
“Mai”. La coerenza dell’assassino.
Il collega Angelo Bellucci, nel frattempo, interviene.
“Liboni, arrenditi!”
Il Lupo è messo all’angolo dai cacciatori. Una pistola alla schiena, una pistola di fronte.
Non è ancora finita.
Lì c’è un chiosco di cocomeri. Seduti ad un tavolino, una famiglia di turisti francesi si ritrova coinvolta nel mezzogiorno di fuoco.
Luciano afferra una donna, madame Ann Jean Pieret, la tiene a sè stringendole il collo con il braccio sinistro, mentre con la mano destra le punta la 38 alla tempia. Non vuole arrendersi!
“Io ormai sono morto. E vi ammazzo tutti.”
Colpi di pistola in aria da parte dei carabinieri. Colpi di pistola da parte di Liboni, ma non in aria, ma verso Bellucci, per levarlo di torno dall’entrata alla metropolitana.
Non sta fermo, trascina l’ostaggio a passi nervosi.
Palmas fa il gesto di poggiare l’arma a terra, per calmarlo. Liboni se ne fotte, prende la mira verso il carabiniere. L’altro militare prova un trucco. Aziona la sirena della motocicletta, che fa un baccano spaccatimpani.
Mossa che si rivela essere azzeccata: quel suono frastornante deve essere una scossa per i nervi già a pezzi di un pistolero ormai senza via di scampo.
Allenta la presa, la francese china la testa, il sequestratore è per un attimo scoperto senza scudo umano.
Mezzo secondo di black out nella testa del Lupo è sufficiente a chiudere la partita.
Il carabiniere Palmas fa fuoco. Lo prende in pieno, in testa.
Il Lupo ferito a morte, ma con gli occhi non ancora chiusi, cade a terra. Lo devono placcare, l’ultima energia vitale la usa per non smentire la sua reputazione.
Scalcia, si dimena, ringhia.
Nonostante abbia il cranio forato, lo devono ammanettare e tenerlo incatenato mani e piedi nella corsa verso l’ospedale. Fa un ultimo sussulto nel tentativo di buttarsi giù dalla lettiga.
Il Lupo è morto.
“È infinitamente più lodevole cercare di diventare un criminale che un borghese” scrisse Ernst Jünger, scrittore e filosofo tedesco, in una sua provocazione che potrebbe essere stata benissimo il motto ideale e ispiratore della vita balorda di Luciano Liboni.
No, mi stoppo da solo, questa non è la storia giusta per tentare di fare piroette intellettuali o accostamenti colti, citando provocazioni dinamitarde di illustri giganti nel vano e sforzato tentativo di attribuire una filosofia di vita a chi un pensiero precostituito non lo ha mai posseduto, nè voluto possedere.
Sarebbe solo strumentalizzazione, una forzatura postuma di chi non ha mai conosciuto quel folle e affascinante personaggio.
Luciano Liboni è libero, così libero da non essere accostabile a nessuna forma ideologica.
Liboni è l’uomo lupo.
Disperazione, nichilismo totale e solitario, un’esistenza primitiva, fuori dalla logica e dal tempo dei giorni moderni, quasi uscito da una dimensione parallela, inadattabile tra la specie contemporanea: L.L.L. appartiene ad un altro universo, il suo.
Dopo il funerale, una donna che nessuno conosce piange al cimitero di Montefalco. Prima di andarsene, lascia un mazzo di rose rosse sulla tomba del Lupo.
Federico Mosso
@twitTagli
Per approfondire:
- “Rapine e morte, la vita maledetta di Lupo Solitario.” Da La Stampa del 25/07/2004
- “Il Lupo cerca rifugio a Roma.” Da La Stampa del 27/07/2004
- “Ehi, Luciano: tre passi lui si gira e scoppia l’inferno.” Da La Stampa del 01/08/2004
- “Carabiniere ucciso da un ricercato.” Da La Repubblica del 23/07/2004
- Scena tratta dal film “Il Lupo” di Stefano Calvagna, ispirato alla storia di Luciano Liboni (2007).
Note Musicali:
- R.E.M. “Bad Day”. Hit del 2003
- Steppenwolf, “Born TO Be Wild.”
- Motörhead, “Ace of Spade.”
- Johnny Cash, “Cocaine Blues.”