Un diario emotivo dell’Italia 2.0. Arriva a Venezia 71. l’edizione italiana del progetto ideato da Ridley Scott nel 2010, “Life in a day”: un giorno di tempo per girare e inviare un video realizzato con qualsiasi mezzo a disposizione nell’arco della giornata del 26 ottobre 2013. Il risultato? “Italy in a day” ovvero 44.197 video ricevuti, oltre 2200 ore di immagini, 632 video montati, cuciti e supervisionati da una squadra con Gabriele Salvatores al timone. Un puzzle di emozioni, un film collettivo che mette gli italiani davanti a se stessi: l’Italia che parte e quella che torna, l’Italia ribelle, sognatrice, ferita o libera di andare…
“Italy in a day” è davvero uno specchio dell’Italia di oggi?
Ciò che avete visto è quello che abbiamo ricevuto, quasi 45 mila video. Abbiamo dovuto operare naturalmente delle scelte, in proporzione è ciò che ci è stato inviato
Abbiamo eliminato quello che ci sembrava molto costruito, mi aspettavo roba molto più trash e invece non c’è stato nulla di tutto questo.
Non ci sono arrivati più di 300/ 400 filmati con indicazioni fortemente sociali.
Quanto c’è di suo?
Ci sono cose che non avrei mai potuto ricreare in un film di finzione. C’è ad esempio una scena che mi commuove ogni volta che la vedo: la signora con l’Alzheimer che non ricorda il nome del figlio. La forza di questo esperimento è la realtà delle cose, certo non basta avere una macchina fotografica per fare il fotografo o una chitarra per essere un musicista: devi avere sempre uno sguardo, un tuo modo di leggere i fatti che nel caso del cinema è il montaggio, l’anima di un film.
Come mai non vediamo nessun povero e nessun ricco?
I poveri ci sono, non ci sono invece i ricchi. Non c’è nessun professionista ad aver mandato un video e verrebbe da chiedersi perché. I video che abbiamo ricevuto mi fanno pensare che l’overdose di Tg, informazioni e web tutte incentrate sul problema della crisi, del lavoro e della mancanza di dignità ha forse creato uno spostamento verso una visione più privata, intima, quasi da confessione laica o da seduta di psicanalisi collettiva con tutto ciò che di buono e di brutto c’è in questo. Credo che la gente abbia colto l’occasione per lanciare un messaggio in una bottiglia, cosa che ovviamente mi ha creato grossi problemi di responsabilità e di scelta. Non so se l’Italia di “Italy in a day” sia quella reale, sicuramente è quella che ci hanno voluto raccontare e il nostro compito principale era rispettare sentimenti, proporzioni ed emozioni di chi ce lo ha inviato. Se fossi un politico oggi mi sentirei responsabile delle vite di cui dovrei occuparmi e sarei più colpito da queste immagini che da certe discussioni o risse da tv, perché la protesta sociale è sotto gli occhi di tutti mentre la voglia di mantenere un minimo di sogni e desideri tocca più nel profondo.
Come siete riusciti a uniformare la qualità delle immagini?
Sono state fornite delle telecamere nei luoghi in cui non c’erano come le carceri, per il resto chiunque ha filmato con quello che poteva. Sono stati usati tutti mezzi atti a riprendere immagini e nessuna è stata manipolata, abbiamo solo migliorato tecnicamente alcune cose come il contrasto, il colore e il lavoro sul suono.
Siamo intervenuti laddove necessario solo per rendere i filmati più fruibili dal punto vista tecnico, ma nessun video è stato falsato o taroccato.
Che struttura narrativa ha utilizzato?
Abbiamo deciso in base a quello che ci emozionava di più.
A differenza del film di Scott abbiamo scelto di non fare un montaggio forzato e veloce, videoclippato, ma di stare il più vicino possibile alle storie che realmente queste persone ci stavano raccontando. L’unico filo conduttore sono le 24 ore.
Come vede il futuro dell’Italia?
L’immagine che mi è rimasta dopo aver visto tutti questi video è quella di un’ Italia sicuramente ferita, sofferente ma con dignità e che non ha chiuso tutte le finestre verso il futuro. C’è un diffuso senso di tenerezza verso la vita e l’umanità.
di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net