Attività: sesso.
Inconveniente: procreazione, fecondazione, concepimento, impollinazione, ingravidamento, nascita.
Soluzione: oggi per grazia ricevuta esiste di tutto (pillole, preservativi aromatizzati a qualsiasi gusto, sottili o straspessi pro-eiaculatio praecox, spirali e diaframmi, astinenza (!), coitus interruptus, etc.); insomma, prevenzioneprevenzioneprevenzione antifiglio.
Ok. Ma la mia domanda è: e sei poi capita?
Ab origine: C’era una volta il prezzemolo
Non illudiamoci; il puritanesimo ed il sovrappopolamento – da sempre due dei problemi più noti dell’umanità – sono i principali ispiratori dell’Interruzione Volontaria di Gravidanza*, detta più comunemente aborto; fin dalle origini, dunque, gli uomini erano dei barbari proni alla semplice legge della sopravvivenza, vuoti di aspirazioni ideali alla qualità della vita di genitori e futuri figli.
Il Medioevo giustificava pertanto metodi anti-pupo come lavande interne, purghe, sale, olio, catrame, piombo, succo di menta, semi di cavolo, segale cornuta, foglie di salice, prezzemolo, semi di trifoglio e perfino urina animale.
Chiaramente nell’800 ci si è evoluti: il primo step abortivo era il bagno caldo, spesso “aromatizzato” con senape in polvere, che si risolveva in un nulla di fatto, e alla fine sapevi di mostarda. Da qui si passava a legarsi il ventre il più stretto possibile, a percuoterlo col mattarello o gettandosi da solai e scale a pioli o ancora saltando dalle sedie, a sollevare oggetti pesanti, ed infine alla tradizione popolar-botanica o a dosi massicce di sostanze medicamentose per sfruttarne gli effetti collaterali.
L’extrema ratio pre-disperazione era costituita dai mezzi strumentali (perforazione e irrigatori), diffusisi soprattutto nei primi anni 20 del ‘900.
Per quanto concerne i mezzi chimici odierni, i loro benemeriti precursori sono certe sostanze medicinali (arsenico, piombo, fosforo, chinino e apiolo) che trovarono ampio consenso tra ‘800 e ‘900. In particolare, dopo la prima guerra mondiale l’affarone fu il prezzemolo: circa la metà degli aborti volontari era dovuto all’utilizzo dei suoi derivati, negli ultimi trent’anni soppiantati dalle più avanzate e (in)efficienti tecniche legali.
Lux fuit?
In Italia l’aborto regolamentato arriva nel 1978: grazie alla cara vecchia legge 194 sulle “Norme per la tutela della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza”, oggi una donna può richiedere l’I.V.G. entro i primi 90 giorni di gestazione:
* La coppia ha diritto di scegliere liberamente, nel rispetto delle proprie convinzioni e delle proprie necessità, i tempi di una eventuale gravidanza
* La legge 194/78, che prevede la tutela della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza, dà facoltà alla donna, sulla base delle proprie condizioni di salute, economiche, sociali e familiari, di chiedere l’interruzione volontaria della gravidanza.
In sintesi, la 194 permette di abortire legalmente a carico del Sistema Sanitario Nazionale, e non dà indicazioni limitative sul metodo.
Il buon prezzemolo divenne così anacronistico, lasciando il posto ai ben noti metodi chirurgici (aspirazione, raschiamento, isterotomia, etc.) e, negli ultimi anni, farmacologici (Ru486).
Ed ora un tocco di sana realtà locale:
Mi dispiace, ma qui non possiamo aiutarti; i tempi di attesa per l’intervento sono superiori a un mese. Ed è inutile che cerchi in città, gli altri ospedali hanno tutti lo stesso problema (da Aborto, obiettori 9 medici su 10 – Repubblica del 02 marzo 2008, Palermo).
Oggi a Palermo le richieste di I.V.G. saturano l’offerta: per un aborto volontario nel migliore dei casi bisogna attendere un minimo di 30 giorni.
Non che manchino i medici. Il problema è che il 91,7% circa dei ginecologi è obiettore di coscienza, così come le ostetriche e gli infermieri; come dice Antonella Monastra, “ormai si fa fatica anche a trovare barellieri non obiettori”. …Tutto il contrario di quanto prevede e garantisce la 194; 194 condivisa in toto dall’OMS ma, dopo 32 anni dalla sua approvazione, non ancora deglutita, digerita, metabolizzata dalla sgangherata sanità italiana.
L’ipotetica soluzione, il miracoloso prezzemolo della moderna era abortiva (ave Cesare!), ci piove dal cielo dei paesi più sviluppati il 10 dicembre 2009 in forma di pillola: la Ru486.
Ma aspettate a stappare Moët et Chandon: la famigerata RU è ormai utilizzabile in Italia per indurre un aborto farmacologico, ma solo previo ricovero ospedaliero, alias turni infiniti, alias ospedali assaltati, alias medesimi problemi di obiettorato & co.
Ed ecco che la Ru486, da prezioso uovo di Colombo, si trasforma nella scoperta dell’acqua calda; scoperta assolutamente non in grado di snellire le liste sature dalla nostra sanità pubblica.
E difatti, lungi dal migliorare la situazione, la Ru486 si inserisce tra quelle procedure mai erogate ad esempio in Sicilia, o erogate dai privati a prezzi spesso altissimi. A titolo di esempio, nella Regione Toscana il prezzo onnicomprensivo di intervento e degenza di 3 giorni è di 800 euro. Negli altri Paesi europei, come il Belgio e la Spagna, il prezzo della confezione da 3 compresse è di circa 70 euro. Che ne prendete?
Ovviamente una minima percentuale di persone “che può” va all’estero a “sistemare” il tutto; il resto rinuncia alla pillolona, consolata dall’idea del caro vecchio aborto chirurgico. Peccato che le liste di attesa siano sempre infinite! Così, spesso non resta che farsi prendere il ventre a calci dall’uomo di casa o diventare madri a 16 anni, disoccupate e senza idea di cosa sia un poppante.
Tu dirai: “mannò, c’è sempre il privato!” Beh, sì… in privato il costo di un aborto chirurgico è di circa 1.000 euro; però puoi vendere mezzo rene destro, et voilà: tutto risolto, siamo salvi.
L’altra faccia della medaglia anti-neonatale – ovvero quella nascosta, poco dispendiosa, che le nostre amate istituzioni fanno finta di non conoscere – è che la Ru486 si vende su internet, e che abortire a casa è più semplice e veloce che in ospedale. Basta una carta di credito, un computer, un collegamento a internet e un centinaio di euro circa. Indi digitare su Google le semplici parole “Ru486 online” e appaiono circa 526mila risultati.
E non è tutto. Se non si dovesse trovate la pillola abortiva, c’è un altro farmaco, molto più pericoloso (e che non rispetta la legge), che permette l’interruzione della gravidanza in pochissimo tempo ed anche oltre la settima settimana (tempo massimo previsto dalla 194): si chiama Cytotec, costa solo 14 euro, ed è nato per curare l’ulcera, ma in sovradosaggio – tadàh! – può provocare l’aborto; si può trovare in farmacia, ma anche comodamente… in metropolitana. Infatti – udite udite, oh gente gravida! – alla Stazione Centrale di Milano puoi essere avvicinata da ragazze che ti guardano, ti salutano e tentano ammiccanti di rifilartelo.
Qual è allora la morale della favola?
L’interruzione volontaria di gravidanza è un diritto ormai ampiamente riconosciuto alle donne.
L’inadeguatezza del servizio per indisponibilità di strutture e medici, tempi di attesa, atteggiamento scoraggiante e moralista dei professionisti sanitari, costi spesso proibitivi ostacolano l’accessibilità ad una procedura sicura e appropriata.
Ma, come sottolineato dal Consiglio d’Europa, questo lasciare o rendere l’aborto una pratica élitaria, costosa, illegale, utopica non riduce la necessità di ricorrervi; impedisce semmai la sua esecuzione in condizioni di sicurezza, cosicché una donna su 4 sarà vittima di severe complicazioni, compresa la morte.
Ed io mi chiedo: in questi casi, poi, a chi diamo la colpa?