Posted 31 maggio 2013 in J'accuse, Slider with 0 Comments
di Matteo Zola
La mia generazione è stata derubata. Non del sogno della prosperità e del consumo, un sogno che non è il nostro. Ma della realtà della dignità e del diritto. Alla mia generazione è stato rubato il futuro, immolato sull’altare di un presente insostenibile che una classe dirigente cieca e incapace continua a voler mantenere immutato. La mia generazione a Roma non può pagarsi l’affitto con le fatiche del proprio lavoro. Quando c’è un lavoro. La mia generazione ad Atene si sveglia pensando a cosa dare da mangiare ai propri bambini. La mia generazione a Salonicco si mette un fazzoletto in faccia e distrugge, invano, la città. La mia generazione, a Madrid, fa la fila all’aeroporto. A Lisbona fa la fila al centro per l’impiego. A Ioannina non ha i farmaci per curarsi. A Londra incendia le strade. A Parigi mette a ferro e fuoco i ghetti in cui l’hanno rinchiusa. A Stoccolma brucia le periferie. A Milano non ha abbastanza denaro per fare la spesa. A Istanbul protesta per una democrazia che vede irrealizzata. Ad Atene per una democrazia che vede scomparire.
La mia generazione è stata immolata sull’altare del nostro tempo. La più istruita, tecnologicamente avanzata, cosmopolita generazione che l’Europa abbia mai avuto è tenuta a pane e acqua, schiacciata da affitti troppo alti e stipendi troppo bassi, contratti precari e disoccupazione, incertezza e minacce. Reagisce, ovunque, a questo furto. A volte sbaglia, eccede, cerca soluzioni nella violenza. A volte – più spesso – tace, non perché sconfitta ma perché più impellenti bisogni le occupano la mente. La mia generazione ha strappato le radici, perché la terra in cui è nata non la vuole. Andrà ad arricchire potenze emergenti oppure vagherà come esule in patria alla ricerca di qualcuno che ancora sappia cosa vuol dire giustizia. Perché non è giusto patire l’oppressione di un sistema che defrauda speranze, fatiche, impegni.
Non ci manca il coraggio. Un coraggio quotidiano, di chi sa il sapore della polvere. Non vogliamo eroi, simboli, bandiere o ideologie. Vogliamo il rispetto delle costituzioni democratiche, e ne vogliamo dove non ci sono. Vogliamo il diritto a un lavoro e diritti sul lavoro. Vogliamo un’economia che sostituisca alla parola “sviluppo” la parola “progresso“. Vogliamo poter sorridere, a sera, con pochi amici e non fare il conto di quanto anche oggi ci è stato tolto. Non dai padri, anche loro vittime in fondo, e spaventati più di noi. Dalle oligarchie che si mascherano da rappresentanti del popolo, che si intersecano in interminabili comitati d’affari, che si spartiscono ricchezze inesauribili.
La mia generazione è una repubblica. La mia generazione è una sola Costituzione. Andiamo per il mondo e dal mondo ci vediamo arrivare, riconoscendoci nelle stesse ansie, speranze e volontà. Recitiamo a memoria lo stesso libro. Cantiamo insieme una sola canzone di cui, ancora, non sappiamo le parole. La mia generazione è un esilio interiore, è una fuga, un riscatto, una corsa ad aprir la finestra che comunque dà sulla nebbia.
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nella foto: il bacio di Vancouver
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