Libro di Kells, pagina del X Rho
JAMES HARPUR
Voci del Libro di Kells
Traduzione di FRANCESCA DIANO
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Sono da anni, da quando l’ho scoperto in Irlanda, innamorata della poesia di questo grandissimo poeta, e di suo ho tradotto vari testi. Per la Giornata Mondiale della Poesia ho deciso di rendergli omaggio pubblicando, oggi e nei giorni successivi, la mia traduzione, in anteprima assoluta per l’Italia, dato che nulla di lui è mai stato da noi tradotto, del suo lungo poemetto sul miracolo di sconvolgente bellezza che è il Libro di Kells.
Harpur è nato nel 1956 da genitori angloirlandesi e da alcuni anni si è trasferito a vivere nella Contea di Cork a Clonakilty. Ha compiuto studi classici, approfondendo soprattutto la storia e la letteratura irlandese ma anche latina e greca dei primi secoli del cristianesimo e ha soggiornato per lunghi periodi sull’isola di Creta, ambiente che ha ispirato molte delle sue opere. La sua è una delle voci più originali, colte e intense della poesia irlandese contemporanea in lingua inglese e, non mi parrebbe eccessivo dire, della poesia europea, non solo per la cultura vastissima, per l’originalità della sua voce, ma per i temi che tratta, che spaziano dall’Irlanda celtica, a quella protocristiana, al declino del mondo classico in occidente, alla contemporaneità. Ha pubblicato varie raccolte di testi poetici con la prestigiosa Anvil Press e una meravigliosa traduzione di Boezio, che ha intitolato Fortune’s Prisoner. Ma traduzioni ha pubblicato anche da Dante, da Virgilio, da Tagore, da Eschilo, da Plotino ecc.
Interessantissimo è l’uso della metrica, che spesso è quella classica; trimetro giambico, distico elegiaco ecc.
Da A Vision of Comets, a The Monk’s Dream, da The Dark Age a Oracle Bones a Voices of the Book of Kells, le sue raccolte poetiche gli hanno guadagnato moltissimi riconoscimenti e premi. Nel 1995 ha ricevuto the British National Poetry Prize, borse dalla Cork Arts, dall’Arts Council, dall’Eric Gregory Trust e dalla Society of Authors. Nel 2009 ha vinto il Michael Hartnett Award. E’ direttore della sezione poesia di Southword, uno dei più importanti e autorevoli periodici letterari irlandesi e del Temenos Academy Review. È stato poeta residente per il Munster Literary Centre e la Cattedrale di Exeter.
La sua è una poesia dalla voce forte e potente, che getta una luce del tutto nuova sui santi irlandesi dei primi secoli dell’era cristiana, su figure di primi asceti cristiani o di aruspici di Siria e d’Egitto, su figure pagane dell’Irlanda che sta per divenire cristiana, su personaggi, temi e aspetti di diverse tradizioni e culture, ma che tutte appartengono a quei secoli insomma critici e di passaggio dal mondo antico al primo Medio Evo. Ma non mancano temi più personali e intimi, che lo vedono muoversi nell’Irlanda contemporanea. È una poesia fortemente impregnata di misticismo, dunque molto irlandese, ma un misticismo che ha una profondissima connessione con la modernità. Il travaglio del passaggio da un’epoca a un’altra infatti è l’eco del nostro, le domande che torturano i suoi asceti, cristiani e pagani, i dubbi che attanagliano suoi uomini, i suoi indovini, i suoi monaci, sospesi tra un mondo e un altro, sono i nostri, la fine drammatica di un’epoca che si avvia incerta verso l’ignoto è la nostra.
Ho da anni l’onore di un rapporto epistolare con James Harpur, che presento in anteprima assoluta per l’Italia per la Giornata Mondiale della Poesia e ho avuto da lui il consenso a tradurre e far conoscere la sua opera in Italia. Presento dunque oggi la prima parte del lungo poemetto Voices of the Book of Kells e nei prossimi giorni le altre tre parti. Mi piacerebbe che questo grandissimo poeta irlandese, molto noto e giustamente celebrato, ma da noi sconosciuto, potesse trovare un editore.
Francesca Diano
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Storia del Libro di Kells (di James Harpur)
Il Libro di Kells è stato associato almeno a tre luoghi: Iona, Kells e Dublino. Alcuni ritengono che fosse proprio il Libro di Kells che Giraldus Cambrensis vide a Kildare alla fine del 12° secolo. Ma chi creò il libro e dove, rimane tuttora un mistero. Ora molti studiosi pensano che sia stato iniziato, se non condotto a termine, nel monastero irlandese di Iona, prima di essere portato nel monastero fratello di Kells dopo l’incursione vichinga dell’806. Rimase probabilmente a Kells negli otto secoli successivi e infine, a metà del 17° secolo, venne trasferito al Trinity College di Dublino, dove è ora esposto.
Il Libro di Kells è un luogo di poesia divina, scritta e visiva e, soprattutto, da una moderna prospettiva, l’archetipo, o il santo patrono di ogni libro. In ogni pagina vi si dispiega un senso di devozione amorevole, di concentrazione e maestria – è chiaro che il libro fu fatto per durare. È anche un libro di sorprendente tensione; il gusto visionario per la totalità si unisce all’ossessione per il dettaglio; il grandioso formalismo statico delle miniature a tutta pagina è bilanciato da spirali vorticose, intrecci nastriformi e fogliame, gatti birichini e topi, lontre e pesci che saltellano in angoli nascosti. Questo libro suscita in ogni scrittore delle domande fondamentali sull’arte; il suo rapporto con l’ispirazione; la moderna preoccupazione per l’ originalità e la voce individuale; lo scopo dell’arte sacra e il suo rapporto con la funzione dell’arte laica o con l’arte in un’epoca laica; la natura dell’immaginazione; la possibilità o meno di rappresentare in forma visibile la verità ultima, ecc.
Premessa di James Harpur
Il poemetto è diviso in quattro parti. Ciascuna è costituita da un monologo pronunciato da un personaggio storico associato a un luogo specifico: L’Orafo (un miniatore), è associato all’isola di Iona; Scriba B (un amanuense), a Kells; Giraldo di Cumbria a Kildare; Lo Scribacchino (uno scrittore moderno) a Dublino. Oltre ad essere imperniata su una ‘voce’ e un luogo specifico, ogni sezione si concentra su di una particolare miniatura del Libro di Kells, sulla sua immagine e sui suoi riferimenti, il tutto intessuto nella trama della narrazione. I metri e i ritmi dei versi riflettono, in certa misura, il carattere dei diversi personaggi. Ad esempio, la voce tagliente dello Scriba B è resa con un trimetro giambico ridotto e leggermente spezzettato (scazonte), mentre il raffinato ed esuberante Giraldo si esprime in pentametri pieni ed estesi.
Prima Parte. L’Orafo (Iona, AD 806)
Nella prima parte compare un miniatore anonimo che lo studioso francese del Libro di Kells, Françoise Henry ha soprannominato l’Orafo, per la sua predilezione per l’orpimento, il pigmento minerale usato per rappresentare l’oro. L’azione si svolge a Iona, poco prima di una devastante incursione vichinga. L’Orafo racconta di come sia arrivato a Iona nel tentativo di salvare la propria vita spirituale dal lassismo di un monastero irlandese e dell’onere di creare ciò che poi diverrà (nella realtà) la famosa pagina del Chi Rho. La sua è la tensione di ogni artista; la pagina o la tela bianca rimane l’eccitante regno del possibile, dell’infinito, fino all’istante in cui il primo segno di inchiostro o di colore riducono l’astrazione del pensiero e del sentire entro i confini del mondo materiale finito. Ed in questo sta il paradosso: la spinta a creare e tuttavia la delusione di non essere in grado di rappresentare la vastità e la ricchezza del sogno. Allo stesso tempo, l’Orafo si strugge sul ruolo che ha come miniatore: è l’opera della sua vita, dedicata a Dio…ma che accadrà una volta che avrà completato il suo ultimo dipinto? Che ruolo avrà allora agli occhi di Dio? Questa parte esplora queste tensioni, che giungono al culmine quando infine l’Orafo si impegna nella sua opera più grande: la pagina del Chi Rho.
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Pagina del X Rho, particolare
“Per dipingerti, o Vergine, più stelle che colori si dovrebbero usare, così che tu, o Porta della Luce fossi dipinta nel tuo sfolgorare. E tuttavia le stelle non obbediscono a voce mortale. Dunque noi ti tracciamo e dipingiamo con ciò che ci può offrire la natura e secondo le regole che chiede la pittura.”
Costantino di Rodi, 9° sec.
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1
L’orafo
Iona 806
Il grado in cui la bellezza è effusa nel penetrare all’interno della materia, è tanto più debole di quanto sia concentrata nell’Uno.
Plotino
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo
Matteo 1. 18
Pesto il sentiero sonoro che si piega
Verso l’interno ed il fumo di casa
Lungo rocce affioranti e felci e il giallo ginestrone,
Accanto alle incostanti pecore aurocrepuscolari
Dal muso nero come angeli caduti,
E poi giù per il colle del nostro benedetto Colombano
Finché raggiungo il vallo che m’accoglie,
Solido accanto alla riva spumosa,
Il ronzio delle celle
E solitudine fin dentro il midollo.
Nella cappella dorme la campana
Pronta a suonare il terrore, la preghiera;
Ed oltre il suono i monti fanno crescere
Color di primavera dai ghiacci che s’arretrano,
Gioisce il mare ruggendo di luce
E venti di ponente ci addolciscono i nervi.
Striscio dentro la mia capanna oscura
E cerco di pregare e di covare
La pace di Dio che so non si può imporre
Ma soltanto riesco ad osservare
Il mio respiro fatto nuvolette e ancora sento
L’abate che riprende:
<<Parti da una visione. Ricolmati i polmoni
Fino a scoppiar del vento della gioia
Lascia affiorare immagini.
Ogni cosa dipingi e poi avvertila
Come sole da cui esploda un orizzonte nuovo,
Un’ancora che sia d’oro o d’argento
Tratta da un mare di luce sepolta,
In note di cristallo pizzicate su un’arpa
O il canto di un uccello che ammalii l’alba,
Una cometa che spazzi con la coda la notte
Come piume di un cigno,
Una croce che sfolgori nel cielo –
Nel suo segno tu pure vincerai.
<<E falla scintillare e vorticare
Come fanno le ruote di Ezechiele
E pure aver la solida saldezza di una pianta.
Fa’ che risplenda come pelle d’angelo
O le scaglie d’un pesce, e poi profonda
Nel pozzo della propria sobrietà.
Dovrebbe rivelare i suoi segreti
Come s’apre la coda di un pavone
E sia allo stesso tempo un’arca santa
Per tutta la creazione, bestie e uomo,
Per i fiori dei campi e per le vigne
Per la lontra e il salmone
E le creature dei recessi oscuri –
Per ratti e gatti e topi in fuga lesta –
Per le presenze angeliche
La lesta intelligenza della linea
Che s’incurva, fluisce e s’attorciglia a rivestire
L’energia invisibile di Dio.>>
L’abate aveva voce sempre calma
Mai celavano gli occhi il rapimento.
Trovar l’inizio, questa è la fatica.
L’ammiccante sorriso delle pagine vergini
La cui innocenza non è che un inganno –
Poiché il nulla possiede una bellezza
Che un nonnulla d’inchiostro può violare.
Mi crogiolo nel vuoto
La promessa del non ancora nato
Ed il sollievo del non impegno
Quando ancora divergono le scelte
Come delfini balzano dal mare
Liberi d’inalare l’aria e celebrare
Il tripudio dell’esser senza peso
O come viticci a tendersi nel sole
Delicati e potenti, colmi di vita
A protendersi in spazi sconfinati.
Non riesco a capire questo luogo:
benedetto da Dio o abbandonato?
I mille trabocchetti della regola
Ed il fardello della miniatura
Accrescono la brutalità
Di tempeste e di nebbie e dello stillicidio della pioggia.
Sono giorni che la nebbia mi blocca
E annienta ogni mia immaginazione;
Ma poi uno sprazzo di sole dalle nubi
Che riveste di lamina dorata rocce e campi
O un momento di contemplazione,
Il dissiparsi dei sensi di colpa,
Fanno robusto il perché della chiamata.
Ho cercato un rifugio su quest’isola
Ché la vita veloce mi sfuggiva
I capelli ingrigiti e già più radi,
Le caviglie rigonfie per il vino –
Le devozioni un compito seccante;
Ogni dipinto, confessione per metà di sogni
Che il terrore mi impediva di attuare.
Avevo – ho – bisogno di afferrare, di afferrare
L’immateriale che si trova oltre
La superficie del colore, del tatto,
Cercavo un luogo di luce petrosa
Che al di là di me stesso mi portasse;
Eppure ogni dipinto che completo
Elude l’infinito a cui anelo
E temo la mia anima si sfaccia:
Poiché che cosa sono a parte i miei dipinti?
Che valore ho per Dio?
Se non quello del gusto per il dettaglio, la forma?
E quando il mio ultimo dipinto vedrà la luce
Che scopo avrò io più?
Dovevo allontanarmi, ma mi manca la casa.
I monti Slievebloom,
L’abbazia del Campo delle Querce
Teneri soli e costanza di piogge
Le colline con i bruni lanosi e il loro verde
La compagnia, le battute bonarie –
Tutto mi spinge ancora sulla riva
A celare il convulso del dolore.
Quest’isola è un relitto, alla deriva
Ma mai per approdare sulla costa
Di un qualunque paese della terra,
I fratelli sferzati da venti ruvidi come cardi,
L’isolamento ha reso alcuni folli.
Le durezze straziano lo spirito, ma
Mi instillano un fremito nel corpo
Che mai io prima d’ora ho conosciuto.
Accendo una lucerna. Odore d’olio
E contemplo la carta pergamena.
Rinvio ancora una volta il momento
Nell’abilità, non nell’ispirazione mi rifugio.
Pratico i fori con grande attenzione
In cornici spettrali di linee e margini
E curvature di cerchi e semicerchi.
Qualunque sia il punto da cui inizio il lavoro
Non so deviare dalla simmetria;
E per quanto caotica essa sia
E’ la mappa del cielo che deve riprodurre.
Osservo la struttura che si forma
Apparendo di propria volontà
In simultanea dentro
La mia mente e sul vello lucente;
E’ come uno schema preesistente
Che m’incalza per essere incarnato.
Il flusso inizia a sembrare una perdita
Del sé – sono preso dal panico, mi fermo, balzo in piedi.
Il sole gonfio ribolle verso il mare
Domani per davvero inizierò.
La notte ripulisce la lavagna del giorno;
Cammino sulla riva per colmare
La mia mente di onde, del flusso e del riflusso.
Uno spicchio di luna sta sospeso a colmare
L’ombra vasta della sua forma;
In principio l’oscurità è totale
Ma poi, epifania di luci
Lo scheletro d’Orione
Dal nulla si materializza.
La sua cintura di stelle triple e immobili
E silenti, guardano come i Magi,
Christi autem generatio…
E nell’eternità di questa meraviglia
L’oscurità oceanica dà vita
Ad altre stelle che emanano scintille come pietre focaie
E a grado a grado una cornucopia
di piccoli diamanti, di zaffiri e di perle
Scintillanti, risplendenti di vita –
Un improvviso filo di seta luminoso
È lanciato da punto a punto
Mentre Dio rivela sulla sua pergamena
Che tutto nella creazione è collegato.
Lascio il mare nero-lucerna e ritornando
Trovo la notte dentro la mia cella.
In questi giorni sento che aumenta la pressione
E fa fluire più luce serotina;
Avverto una potenza che mi ingrossa le ossa
Incubi che infiorano il mio sonno
Ricorrenti come campana d’allarme
Di serpenti che balzano nel mare
Di serpenti con giganti nel ventre.
Ed il mattino arriva con sollievo
Fino a che emerge l’opera di Dio.
Scuoto i pigmenti fuori dalle ciotole
Mischio nel verderame il bianco d’uovo
Poi gesso e lapislazzuli,
Preparo l’orpimento color oro.
La pergamena brilla come fonte di rocca
E nel suo specchio vedo l’abate;
Sta parlando; lo ascolto attentamente.
<<Voi siete i pastori di chi è cieco.
Devi evitare le derivazioni
Le separate istanze proprie della natura,
Ritraiti a contemplare, trova
Il paradigma primevo di Dio
Intatto, intangibile, abbagliante –
Questo mondo non ne è che imitazione.
Dipingere l’ombra della creazione
Solo è moltiplicazione dell’errore
Ingannare e attirare verso il basso lo spirito
Nel brulicame oscuro della materia.
<<La vera arte nasce della meditazione –
Quando la mente giunge
A cancellare ogni interferenza;
Così come le stelle accrescono l’intensità
Dei loro punti nel cuore della sfera che s’inombra
Si chiariranno le vere sembianze;
Fissale con fermezza fino a quando
L’anima tua sarà tanto ricolma di luce
Da traboccare la sua testimonianza
E riversarsi in forme temporali.
Vuota te stesso dell’io ed introduci
Il labirinto dell’eternità
L’energia che fluisce serpeggiante
A connettere tutta la creazione
In spirali, in anelli ed in viluppi
In cui l’Alfa e l’Omega
Sono ovunque e sono in nessun luogo
Perché non v’è inizio, non v’è fine,
Ma solo una e ininterrotta verità.>>
Un merlo apre la gola.
Gli auspici son propizi.
Mi siedo e guardo. Guardano le pagine
Da una polla bruciante di luce.
È sospeso l’istante.
La procrastinazione ora mi implora
Disegnando una lontra sopra un margine
E poi ecco che sento sussurrare:
No non pensare all’enormità.
Rilassati e lascia che lo spirito emerga
Nel vuoto.
Ma come posso affidare lo spirito
Ad un pigmento inerte?
Come può ciò che è Incorruttibile
Essere reso da corrotta visione?
Le domande intanto si moltiplicano
Per arrestare il panico e il terrore
Dell’autoannientamento; e tuttavia
Un’occasione di illustrare l’eternità
Di dispiegare il mio talento supplice –
Ma come potrà Dio esser mediato!
Egli è in ogni onda che s’infrange passando
Da un non formato a un altro non formato.
Come potrò imprigionare la gloria?
Resta nella cornice, ti devi concentrare
Lascia fluire l’ispirazione; vai a ruota libera
Dispiega l’ingegno –
Sii altruista in questa sacra opera
All’uomo sconosciuta ma amata da Dio
Per ogni pennellata che gli è cara.
Immergi il tuo pennello, fallo errare
Investi in esso tutta la tua fede e penetra
Nel vuoto che è in attesa –
Basta l’inizio, il resto fluirà, lo so;
Prima il Chi, e dopo il Rho.
(C) by James Harpur
(C) by Francesca Diano per la traduzione RIPRODUZIONE RISERVATA
Pagina del X Rho, partcolare
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