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James Harpur – Voci del Libro di Kells – traduzione di Francesca Diano

Creato il 21 marzo 2014 da Emilia48
Libro di Kells, pagina del X Rho

Libro di Kells, pagina del X Rho

 

                JAMES  HARPUR

 

             Voci del Libro di Kells

 

 Traduzione di FRANCESCA   DIANO

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Sono da anni, da quando l’ho scoperto in Irlanda, innamorata della poesia di questo grandissimo poeta, e di suo ho tradotto vari testi. Per la Giornata Mondiale della Poesia ho deciso di rendergli omaggio pubblicando, oggi e nei giorni successivi, la mia traduzione, in anteprima assoluta per l’Italia, dato che nulla di lui è mai stato da noi tradotto, del suo lungo poemetto sul miracolo di sconvolgente bellezza che è il Libro di Kells.

Harpur è nato nel 1956 da genitori angloirlandesi e da alcuni anni si è trasferito a vivere  nella Contea di Cork a Clonakilty. Ha compiuto studi  classici, approfondendo soprattutto la storia e la letteratura irlandese ma anche latina e greca  dei primi secoli del cristianesimo e ha soggiornato per lunghi periodi sull’isola di Creta, ambiente che ha ispirato molte delle sue opere. La sua è una delle voci più originali, colte e intense della poesia irlandese contemporanea in lingua inglese e, non mi parrebbe eccessivo dire,  della poesia europea, non solo per la cultura vastissima, per  l’originalità della sua voce, ma per  i temi che tratta, che spaziano dall’Irlanda celtica, a quella protocristiana, al declino del mondo classico in occidente, alla contemporaneità. Ha pubblicato  varie raccolte di testi poetici con la prestigiosa Anvil Press e una meravigliosa traduzione di Boezio, che ha intitolato Fortune’s Prisoner. Ma traduzioni ha pubblicato anche da Dante, da Virgilio, da Tagore, da Eschilo, da Plotino  ecc.

Interessantissimo è l’uso della metrica, che spesso è quella classica; trimetro giambico, distico elegiaco ecc.

Da A Vision of Comets, a The Monk’s Dream, da The Dark Age a Oracle Bones a Voices of the Book of Kells, le sue raccolte  poetiche gli hanno guadagnato moltissimi riconoscimenti e premi. Nel 1995 ha ricevuto the British National Poetry Prize, borse dalla Cork Arts, dall’Arts Council, dall’Eric Gregory Trust e dalla Society of Authors. Nel 2009 ha vinto il Michael Hartnett Award. E’ direttore della sezione poesia  di Southword, uno dei più importanti e autorevoli  periodici letterari irlandesi e del Temenos Academy Review.  È stato poeta residente per il Munster Literary Centre e la Cattedrale di Exeter.

La sua è una poesia dalla voce forte e potente, che getta una luce del tutto nuova sui santi irlandesi dei primi secoli dell’era cristiana, su figure di primi asceti cristiani o di aruspici di Siria e d’Egitto, su figure pagane dell’Irlanda che sta per divenire cristiana, su personaggi, temi e aspetti di diverse tradizioni e culture, ma che tutte appartengono a quei secoli insomma critici e di passaggio dal mondo antico al primo Medio Evo. Ma non mancano temi più personali e intimi, che lo vedono muoversi nell’Irlanda contemporanea. È una poesia fortemente impregnata di misticismo, dunque molto irlandese, ma un misticismo che ha una profondissima connessione con la modernità. Il travaglio del passaggio da un’epoca a un’altra infatti è l’eco del nostro, le domande  che torturano i suoi asceti, cristiani e pagani, i dubbi che attanagliano suoi uomini, i suoi indovini, i suoi monaci, sospesi tra un mondo e un altro, sono i nostri, la fine drammatica  di un’epoca che si avvia incerta verso l’ignoto è la nostra.

Ho da anni l’onore di un rapporto epistolare con James Harpur, che presento in anteprima assoluta per l’Italia per la Giornata Mondiale della Poesia e ho avuto da lui il consenso a tradurre e far conoscere la sua opera in Italia. Presento dunque oggi la prima parte del lungo poemetto Voices of the Book of Kells e nei prossimi giorni le altre tre parti. Mi piacerebbe che questo grandissimo poeta irlandese, molto noto e giustamente celebrato, ma da noi sconosciuto, potesse trovare un editore.

Francesca Diano

 

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Storia del Libro di Kells (di James Harpur)

 Il Libro di Kells è stato associato almeno a tre luoghi: Iona, Kells e Dublino. Alcuni ritengono che fosse proprio il Libro di Kells che  Giraldus Cambrensis  vide a Kildare alla fine del 12° secolo. Ma chi  creò il libro e dove, rimane tuttora un mistero. Ora molti studiosi pensano che sia stato iniziato, se non condotto a termine, nel monastero irlandese di Iona, prima di essere portato nel monastero fratello di Kells  dopo l’incursione vichinga dell’806. Rimase probabilmente a Kells negli otto secoli successivi e infine, a metà del 17° secolo,  venne trasferito al Trinity College di Dublino, dove è ora esposto.

Il Libro di Kells è un luogo di poesia divina, scritta e visiva e, soprattutto, da una moderna prospettiva, l’archetipo, o il santo patrono di ogni libro. In ogni pagina vi si dispiega un senso di devozione amorevole, di concentrazione e maestria – è chiaro che il libro fu fatto per durare. È anche un libro di sorprendente tensione; il gusto visionario per la totalità si unisce all’ossessione per il dettaglio; il grandioso formalismo statico delle miniature a tutta pagina è bilanciato da spirali vorticose, intrecci nastriformi e fogliame, gatti birichini e topi, lontre e pesci che saltellano in angoli nascosti. Questo  libro suscita in ogni scrittore delle domande fondamentali sull’arte; il suo rapporto con l’ispirazione; la moderna preoccupazione per l’ originalità e la voce individuale; lo scopo dell’arte sacra e il suo rapporto con la  funzione dell’arte laica o con l’arte in un’epoca laica; la natura dell’immaginazione; la possibilità o meno di rappresentare in forma visibile la verità ultima, ecc.

 

Premessa di James Harpur  

Il poemetto è diviso in quattro parti. Ciascuna è costituita da un monologo pronunciato da un personaggio storico associato a un luogo specifico: L’Orafo (un miniatore), è associato all’isola di Iona; Scriba B (un amanuense), a Kells;   Giraldo di Cumbria a Kildare; Lo Scribacchino (uno scrittore moderno) a Dublino. Oltre ad essere imperniata su una ‘voce’ e un luogo specifico, ogni sezione si concentra su di una particolare miniatura del Libro di Kells, sulla sua immagine e sui suoi riferimenti, il tutto intessuto nella trama della narrazione. I metri e i ritmi dei versi riflettono, in certa misura, il carattere dei diversi personaggi. Ad esempio, la voce tagliente dello Scriba B è resa con un trimetro giambico ridotto e leggermente spezzettato (scazonte), mentre il raffinato ed esuberante Giraldo si esprime in pentametri pieni ed estesi.

 

Prima Parte. L’Orafo (Iona, AD 806)

 Nella prima parte compare un miniatore anonimo che lo studioso francese del Libro di Kells, Françoise Henry ha soprannominato l’Orafo, per la sua predilezione per l’orpimento, il pigmento minerale usato per rappresentare l’oro. L’azione si svolge a Iona, poco prima di una devastante incursione vichinga. L’Orafo racconta di come sia arrivato a Iona nel tentativo di salvare la propria vita spirituale dal lassismo di un monastero irlandese e dell’onere di creare ciò che poi diverrà (nella realtà) la famosa pagina del Chi Rho. La sua è la tensione di ogni artista; la pagina o la tela bianca rimane l’eccitante regno del possibile, dell’infinito, fino all’istante in cui il primo segno di inchiostro o di colore riducono l’astrazione del pensiero e del sentire entro i confini del mondo materiale finito. Ed in questo sta il paradosso: la spinta a creare e tuttavia la delusione di non essere in grado di rappresentare la vastità e la ricchezza del sogno. Allo stesso tempo, l’Orafo si strugge sul ruolo che ha come miniatore: è l’opera della sua vita, dedicata a Dio…ma che accadrà una volta che avrà completato il suo ultimo dipinto? Che ruolo avrà allora agli occhi di Dio? Questa  parte esplora queste tensioni, che giungono al culmine quando infine l’Orafo si impegna nella sua opera più grande: la pagina del Chi Rho.

 

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Pagina del X Rho, particolare

Pagina del X Rho, particolare

 

“Per dipingerti, o Vergine, più stelle che colori
 si dovrebbero usare, così che tu, o Porta della Luce
fossi dipinta nel tuo sfolgorare. E tuttavia le stelle
non obbediscono a voce mortale. Dunque noi ti tracciamo
 e  dipingiamo con ciò che ci può offrire la natura
e secondo le regole che chiede  la pittura.”

Costantino di Rodi, 9° sec.

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1

L’orafo

 

 

Iona 806

 

Il grado in cui la bellezza è effusa  nel penetrare  all’interno della materia,
 è tanto più debole di quanto  sia concentrata nell’Uno.

Plotino

 

Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo

Matteo 1. 18

 

Pesto il sentiero sonoro che si piega

Verso l’interno ed il fumo di casa

Lungo rocce affioranti e  felci e il giallo ginestrone,

Accanto alle incostanti pecore aurocrepuscolari

Dal muso nero come angeli caduti,

E poi giù per il colle del nostro benedetto Colombano

Finché raggiungo il vallo che m’accoglie,

Solido accanto alla riva spumosa,

Il ronzio delle celle

E solitudine fin dentro il midollo.

Nella cappella dorme la campana

Pronta a suonare  il terrore, la preghiera;

Ed oltre il suono  i monti fanno crescere

Color di primavera dai ghiacci che s’arretrano,

Gioisce il mare ruggendo di luce

E venti di ponente ci addolciscono i nervi.

Striscio dentro la mia capanna oscura

E cerco di pregare e di covare

La pace di Dio che so non si può imporre

Ma  soltanto riesco ad osservare

Il mio respiro fatto nuvolette e  ancora sento

L’abate che riprende:

<<Parti da una visione. Ricolmati i polmoni

Fino a scoppiar del vento della gioia

Lascia affiorare immagini.

Ogni cosa dipingi e poi avvertila

Come  sole da cui esploda un orizzonte nuovo,

Un’ancora che sia d’oro o d’argento

Tratta da un mare di luce sepolta,

In note di cristallo pizzicate su un’arpa

O il canto di un uccello che ammalii l’alba,

Una cometa che spazzi con la coda la notte

Come  piume di un cigno,

Una croce che sfolgori nel cielo –

Nel suo segno tu pure vincerai.

<<E falla scintillare e vorticare

Come fanno le ruote di Ezechiele

E pure aver la solida saldezza di una pianta.

Fa’ che risplenda come pelle d’angelo

O le scaglie d’un pesce, e poi profonda

Nel pozzo della propria sobrietà.

Dovrebbe rivelare i suoi segreti

Come s’apre la coda di un pavone

E sia allo stesso tempo un’arca santa

Per tutta la creazione, bestie e uomo,

Per i fiori dei campi e per le vigne

Per la lontra e il salmone

E le creature dei recessi oscuri –

Per ratti e gatti e topi in fuga lesta –

Per le presenze angeliche

La lesta intelligenza della linea

Che s’incurva, fluisce e s’attorciglia a rivestire

L’energia invisibile di Dio.>>

 

L’abate aveva voce sempre calma

Mai celavano gli occhi il rapimento.

 

Trovar l’inizio, questa è la fatica.

L’ammiccante sorriso delle pagine vergini

La cui innocenza non è che un inganno –

Poiché il nulla possiede una bellezza

Che un nonnulla d’inchiostro può violare.

Mi crogiolo nel vuoto

La promessa del non ancora nato

Ed il sollievo del non impegno

Quando ancora divergono le scelte

Come delfini balzano dal mare

Liberi d’inalare l’aria e celebrare

Il tripudio dell’esser senza peso

O come viticci a tendersi nel sole

Delicati e potenti, colmi di vita

A protendersi in spazi sconfinati.

 

Non riesco a capire questo luogo:

benedetto da Dio o abbandonato?

I mille trabocchetti della regola

Ed il fardello della miniatura

Accrescono la brutalità

Di tempeste e di nebbie e dello stillicidio della pioggia.

Sono giorni che la nebbia mi blocca

E annienta ogni mia immaginazione;

Ma poi uno sprazzo di sole dalle nubi

Che riveste di lamina dorata rocce  e campi

O un momento di contemplazione,

Il dissiparsi dei sensi di colpa,

Fanno robusto il perché della  chiamata.

 

Ho cercato un rifugio su quest’isola

Ché la vita veloce mi sfuggiva

I capelli ingrigiti e già più radi,

Le caviglie rigonfie per il vino –

Le devozioni un compito seccante;

Ogni dipinto, confessione per metà di sogni

Che il terrore mi impediva di attuare.

Avevo – ho – bisogno di afferrare, di afferrare

L’immateriale che si trova oltre

La superficie del colore, del tatto,

Cercavo un luogo di luce petrosa

Che al di là di me stesso mi portasse;

Eppure  ogni dipinto che completo

Elude l’infinito a cui anelo

E temo la mia anima si sfaccia:

Poiché che cosa sono a parte i miei dipinti?

Che valore ho per Dio?

Se non quello del gusto per il dettaglio, la forma?

E quando il mio ultimo dipinto vedrà la luce

Che scopo avrò io più?

 

Dovevo allontanarmi, ma mi manca la casa.

I monti Slievebloom,

L’abbazia del Campo delle Querce

Teneri soli e costanza di piogge

Le colline con i bruni lanosi e il loro verde

La compagnia, le battute bonarie –

Tutto mi spinge ancora sulla riva

A celare il convulso del dolore.

 

Quest’isola è un relitto, alla deriva

Ma mai per approdare sulla costa

Di un qualunque paese della terra,

I fratelli sferzati da venti ruvidi come cardi,

L’isolamento ha reso alcuni folli.

Le durezze straziano lo spirito, ma

Mi instillano un fremito nel corpo

Che mai io prima d’ora ho conosciuto.

 

Accendo una lucerna. Odore d’olio

E contemplo la carta pergamena.

Rinvio ancora una volta il momento

Nell’abilità, non nell’ispirazione mi rifugio.

Pratico i fori con grande attenzione

In cornici spettrali di linee e margini

E curvature di cerchi e semicerchi.

Qualunque sia il punto da cui inizio il lavoro

Non so deviare dalla simmetria;

E per quanto caotica essa sia

E’ la mappa del cielo che deve riprodurre.

Osservo la struttura che si forma

Apparendo di propria volontà

In simultanea dentro

La mia mente e sul vello lucente;

E’ come uno schema preesistente

Che m’incalza per essere incarnato.

 

Il flusso inizia a sembrare  una perdita

Del sé – sono preso dal panico, mi fermo, balzo in piedi.

Il sole gonfio ribolle verso il mare

Domani per davvero inizierò.

 

La notte ripulisce la lavagna del giorno;

Cammino sulla riva per colmare

La mia mente di onde, del flusso e del riflusso.

Uno spicchio di luna sta sospeso a colmare

L’ombra vasta della sua forma;

In principio l’oscurità è totale

Ma poi, epifania di luci

Lo scheletro d’Orione

Dal nulla si materializza.

La sua cintura di stelle triple e immobili

E silenti,  guardano come i Magi,

Christi autem generatio

E nell’eternità di questa meraviglia

L’oscurità oceanica dà  vita

Ad altre stelle che emanano scintille come pietre focaie

E a grado a grado una cornucopia

di piccoli diamanti, di zaffiri e di perle

Scintillanti, risplendenti di vita –

Un improvviso filo di seta luminoso

È lanciato da punto a punto

Mentre Dio rivela sulla sua pergamena

Che tutto nella creazione è collegato.

 

Lascio il mare nero-lucerna e ritornando

Trovo la notte dentro la mia cella.

In questi giorni sento che aumenta la pressione

E fa fluire più luce serotina;

Avverto una potenza che mi ingrossa le ossa

Incubi  che infiorano il mio sonno

Ricorrenti come campana d’allarme

Di serpenti che balzano nel mare

Di serpenti con giganti nel ventre.

 

Ed il mattino arriva con sollievo

Fino a che emerge l’opera di Dio.

Scuoto i pigmenti fuori dalle ciotole

Mischio nel verderame il bianco d’uovo

Poi gesso e lapislazzuli,

Preparo l’orpimento color oro.

La pergamena brilla come fonte di rocca

E nel suo specchio vedo l’abate;

Sta parlando; lo ascolto attentamente.

 

<<Voi siete i pastori di chi è cieco.

Devi evitare le derivazioni

Le separate istanze proprie della natura,

Ritraiti a contemplare, trova

Il paradigma primevo di Dio

Intatto, intangibile, abbagliante –

Questo mondo non ne è che imitazione.

Dipingere l’ombra della creazione

Solo è moltiplicazione dell’errore

Ingannare  e attirare  verso il basso lo spirito

Nel brulicame oscuro della materia.

<<La vera arte nasce della meditazione –

Quando  la mente giunge

A cancellare ogni interferenza;

Così come le stelle accrescono l’intensità

Dei loro punti nel cuore della sfera che s’inombra

Si chiariranno le vere sembianze;

Fissale con fermezza fino a quando

L’anima tua sarà tanto ricolma di luce

Da traboccare la sua testimonianza

E riversarsi in forme temporali.

Vuota te stesso dell’io ed introduci

Il labirinto dell’eternità

L’energia che fluisce serpeggiante

A connettere tutta la creazione

In spirali, in anelli ed in viluppi

In cui  l’Alfa e l’Omega

Sono ovunque e sono in nessun luogo

Perché non v’è inizio, non v’è fine,

Ma solo una e ininterrotta verità.>>

Un merlo apre la gola.

Gli auspici son propizi.

Mi siedo e guardo. Guardano le pagine

Da una polla bruciante di luce.

 

È  sospeso l’istante.

 

La procrastinazione ora mi implora

Disegnando una lontra sopra un margine

E poi ecco che sento sussurrare:

No non pensare all’enormità.

Rilassati e lascia che lo spirito emerga

Nel vuoto.

Ma come posso affidare lo spirito

Ad un pigmento inerte?

Come può ciò che è Incorruttibile

Essere reso da  corrotta visione?

Le domande intanto si moltiplicano

Per arrestare il panico e il terrore

Dell’autoannientamento; e tuttavia

Un’occasione di illustrare l’eternità

Di dispiegare il mio talento supplice –

Ma come potrà Dio esser mediato!

Egli è in ogni onda che s’infrange passando

Da un non formato a un altro non formato.

Come potrò imprigionare la  gloria?

Resta nella cornice, ti devi concentrare

Lascia fluire l’ispirazione; vai a ruota libera

Dispiega l’ingegno –

Sii altruista  in questa sacra opera

All’uomo sconosciuta ma amata da Dio

Per ogni pennellata che gli è cara.

Immergi il tuo pennello, fallo  errare

Investi in esso tutta la tua fede e penetra

Nel vuoto che è in attesa –

Basta l’inizio, il resto fluirà, lo so;

Prima il Chi, e dopo il Rho.   

 

(C) by James Harpur

(C) by Francesca Diano per la traduzione RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Pagina del X Rho, partcolare

Pagina del X Rho, partcolare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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