un aspirante suicida cerca il momento giusto tra le pieghe di un canyon messicano.
I.“me voy a matar”
è una peregrinazione ascetica, la ricerca dell’ultimo istante nel luogo giusto. di modo che rimanga solo e solamente l’immagine della vallata verde innaffiata dai nuvoloni suggestivi, l’odore dei campi e del grano maturo ad accompagnarla. tuttavia è una ricerca vana. uccidersi è, talvolta, cosa ridicola (basta un nonnulla), ma pianificare l’ultimo atto non è roba per noi (per l’Uomo). fuggire una vita intera è una debolezza che nemmeno il più debole riesce a permettersi, come il nostro protagonista. la serenità che ostenta e di cui parla con l’anziana Ascen sono lontani anni luce da lui, che è ancora in discesa libera, che continua ad assaggiare istanti di agonia, e non riuscirà mai a decidersi.
II.il granaio
alla fine, non si è mai pronti, non si è mai adeguatamente preparati. si pensa che manchi ancora qualcosa, quell’ultimo atto, quell’ultimo gesto, quell’ultimo orgasmo, uno sguardo, e non ci si accorge della ricchezza che ci è capitata. siamo così piccoli rispetto al cielo e alla montagna, perché cercare di intricarci ancor più il cammino? perdere lo sguardo nei simboli dell’eros che la natura dissemina è il primo segnale per la rinascita. è come se ci rassicurasse, ci dicesse che sì, finalmente, abbiamo trovato il nostro rifugio. possiamo fermarci e ammirare il cammino fatto finora, le anime incontrate. e combattere affinché non ce li portino via, né il rifugio né le anime, né nient'altro. o sperare che nulla avvenga che possa mettere in pericolo questo tesoro. perché, in fin dei conti, noi (Uomini) siamo davvero poca cosa.
titolo originale: Japónun film di Carlos Reygadas2002