Nel solco della consueta attenzione che Imperfetta Ellisse ha verso la poesia contemporanea di altri paesi, pubblico qui alcune poesie del giovanissimo poeta spagnolo Javier Vicedo Alós, tratte dalla raccolta Ventanas a ninguna parte (Ed. Pre-textos, 2010) e tradotte da Antonio Buccelli (Antonio Bux), italiano in terra di Spagna. Altri testi, tratti dalla stessa raccolta e tradotti e introdotti sempre da Buccelli (che ringrazio per la sua gentile collaborazione), erano già stati pubblicati QUI
UN SOLO OCCHIO SU TROPPE FINESTRE
Ho conosciuto la poesia di questo giovane poeta nativo di Castellón ma residente a Madrid spulciando, come mio solito, tra le pagine web non solo italiane, ma anche estere, alla ricerca di qualche valido verso sparso qua e là tra le innumerevoli galassie del mondo interattivo.
Quando ho incontrato i versi di Javier Vicedo Alós, non ho avuto tentennamenti; la trasparenza delle tematiche e del linguaggio di questo poeta non lasciano dubbi di sorta: è questa una poesia straripante e diretta, che non indugia in futili narcisismi; una poetica bella così come appare, nuda e cruda, quasi spavalda, che aumenta di tono nel suo esaurirsi, quasi a voler lasciare appositamente interdetto chi la legge; come a voler donare, in una ipotetica sinergia autore/lettore, spazio e voce all’altro.
Sebbene tradurre sia sempre compito arduo e indelicato, e sebbene si tratti sempre di una riscrittura, di una nuova veste per una già cucita idea, non ho trovato troppe difficoltà di “sintonia” nel tradurre Javier, vista l’affinità poetica che ci lega, né tanto meno spero aver stravolto troppo l’idea originaria di fondo delle sue poesie e della sua lirica.
Una lirica questa, aspra e diretta, sottilmente aperta all’infinito e alla fatalità dell’esistenza; un dire che si fa in alcuni tratti più duro e sprezzante, quasi intransigente, soprattutto nei confronti dell’uomo stesso, nonostante permanga l’impronta sostanzialmente esistenziale delle tematiche affrontate. (Si nasce senza parole/e con tutte le parole distrutte /ce ne andiamo. da Omaggio verticale parte II).
Il titolo della raccolta invece, tradotto in italiano suona un po’ come “Finestre su nessun luogo” quasi a voler enunciare che il poeta osservi l’infinito nella sua inesauribilità da un luogo neutrale, irraggiungibile; da dove fissare le coordinate anche della sua personale ristrettezza, imposta dalla carne, dalla materia; dirigendo le proprie emozioni da una finestra (a volte totalmente spalancata, in altre solo socchiusa, in alcuni casi totalmente serrata) che altro non rappresenta che la propria anima in balia di un mondo sempre più vuoto, stanco.
Il poeta ci invita così a percorrere a stretto contatto con sé questa profonda escursione verticale.
Le poesie hanno come tema centrale appunto questa visione ambigua e mutevole della vita: il desiderio d’infinito, ma anche la ricerca della realtà, difficilmente rintracciabile; condizione da cui scaturisce l’amara riflessione che contraddistingue la maggior parte dell’opera.
E poi la particolarità quasi maniacale che Vicedo Alós riserva alla parola, resa monito, forse simbolo da preservare costantemente, come la finestra, vera figura centrale di tutta la silloge. La finestra è qui metafora d’anima e di coscienza, una coscienza che non vuole piegarsi all’uomo, ma che vorrebbe quasi distaccarsene, per magari ritornare a quegli stadi primordiali spesso invocati, in stretta simbiosi con tutti gli esseri della terra e con il grande vuoto sapienziale dell’universo (Scomporre il mio nome in questa sera/come l’uccello che si schianta in canto/fino a intonare la sua stessa assenza. da Ambizione).
Anima che comunque ritorna in sé e retrocede a vittima di un’esistenza da cui non si ha scampo, anzi, da dove riaffiora prepotente il desiderio/rigetto di appartenerle (Rischioso il ritmo della carne/questo salto contro il mondo/ e la sua respirazione di corpi vincolati./Però lì è l’uomo: in quel rischio d’esserlo. da Desiderando mondo).
Una poetica quindi precisa e perentoria nella sua tematica, una riflessione sull’esistenza e sull’impossibilità di immedesimarsi nell’altro, anche avendone la necessità costante.
Nell’ultima poesia di questa raccolta infine, Javier sembra lasciarci apposta socchiuso uno spiraglio verso il nulla ma specialmente ci lascia, secondo il mio modesto parere, uno spiffero di segreto aperto verso le sue intime finestre; sapremo allora noi guardarvi dentro, ma soprattutto, sapremo cosa e dove guardare?
Antonio Bux
A Juan Gelman
Non so perché,
però a volte la vita
ci conduce più su.
O non proprio ci conduce:
piuttosto è un trascinare,
un’articolazione violenta;
un immergerci
nel fango delle sue viscere.
Non so perché,
però allora succede,
inchiodati nel seno
più torbido della vita,
che incontriamo un polmone di cielo
del più alto e nitido azzurro.
A volte per imprevisto
o per inusitato,
ma ritornata la carne
alla sua fondazione d’aria
s’arma di uccelli.
CIELO BAJO
A Juan Gelman
No sé por qué,
pero a veces la vida
nos conduce más alto.
O no tanto que nos conduzca;
más bien es un arrastre,
una articulación violenta;
un sumergirnos
en el fango de sus entrañas.
No sé por qué,
pero sucede entonces,
clavados en el seno
más turbio de la vida,
que hallamos un pulmón de cielo
del más alto y nítido azul.
Tal vez por imprevisto
o por insólito,
pero vuelta la carne
a su fundación de aire
se arma de pájaros.
REINIZIO
“… quale rinuncia ti tenta oh sedotto
se tutto
fino all’autunno
continua ad essere inizio.”
Tomás Segovia
La finestra è aperta
nella prima notte di settembre.
Già i corpi non sudano nell’abbraccio,
le lenzuola succedono alla stanchezza.
Tu solevi rinchiuderti al tempo,
rifiutare la temperatura d’ogni nuovo mese.
Desideravi vivere al margine,
nella stagione dei tuoi desideri,
ma quella stessa rinuncia
era riconoscere una grande verità.
Oggi non neghi il freddo che già incomincia,
quasi sei tu quella che attraversa la finestra
e che sputa i turisti verso il centro.
C’è mercurio e azione dentro le vene,
tutto si rinnova nel suo stare al mondo,
e in questo movimento ci riscopriamo.
Tutto quello che si vive all’incontrario
-senza piedi, in un luogo disfatto-
marca la propria tristezza.
La finestra è aperta e nessuno va a chiuderla.
Un vento ci trasporta in ogni luogo.
RECOMIENZO
“...Qué renuncia te tienta oh seducido
si todo
hasta el otoño
sigue siendo comienzo.”
Tomás Segovia
La ventana está abierta
a la primera noche de septiembre.
Los cuerpos ya no sudan abrazados,
las sábanas suceden al cansancio.
Tú solías cerrarte al tiempo,
rechazar la temperatura de cada nuevo mes.
Deseabas vivir al margen,
en la estación de tus deseos,
pero aquella misma renuncia
era reconocer una poderosa verdad.
Hoy no niegas el frío que ya empieza,
casi eres tú quien cruza la ventana
y escupe los turistas hacia el centro.
Hay mercurio y acción bajo las venas,
todo renueva su estar en el mundo,
y en este movimiento nos descubrimos.
Todo aquello que se vive contrario
-sin pies, en un lugar deshecho-
rubrica su tristeza.
La ventana está abierta y nadie va a cerrarla.
Un viento nos conduce a todas partes.
TRITTICO DELLA CADUTA
I
Non c’è bisogno, non tentiamo la parola
nemmeno i gesti verso l’animo,
solo potete accompagnarmi
come io accompagno voi.
Ché più nessuno prometta una mano congiunta all’altra,
l’universo è una mano che trema sola.
II
Diamo presenze all’intimità
come si riempie un abisso.
Diamo gli uccelli in fuga dai significati,
l’oscuro sguardo di quello che aspetta.
Diamo al prossimo il nostro profilo impietrito.
Avanziamo promesse, echi, turbolenze.
Apriamo le mani e decifriamo il mondo.
III
Una mano scrive la propria solitudine d’uomo,
l’ugual caduta del diverso
la vertigine d’essere
in altri.
TRÍPTICO DE LA CAÍDA
I
No hace falta, no intentemos la palabra
ni los gestos hacia el ánimo,
sólo podéis acompañarme
como yo os acompaño a vosotros.
Que ya nadie prometa una mano junto a otra,
el universo es una mano que tiembla a solas.
II
Demos presencias a la intimidad
como se llena un abismo.
Demos los pájaros en fuga de los significados,
la mirada oscura de lo que aguarda.
Demos a lo cercano nuestro perfil de roca.
Precipitemos promesas, ecos, turbulencias.
Abramos la mano y cifremos el mundo.
III
Una mano escribe su soledad de hombre,
la igual caída de sus distintos,
el vértigo de ser
en otros.
STANCHEZZA
“Aprile è il mese più crudele …”
T.S. Eliot
Un nuovo mese abbraccia i corpi
ed evito nominarlo
perché crudeli sono tutti i mesi:
la crudeltà di tentarci
con una bocca più grande,
mentre il peso dell’aria ci fa
ogni volta più piccoli
e meno padroni delle cose.
Che più non vengano a me le novità.
Sono stanco, profondamente stanco.
Ho scalato promessa su promessa
questa lunghissima scala dei mesi,
e una oscura estensione di terra
continua ad accecare le finestre.
Dove la bocca che ci tenta?
Avanzare non è ascendere,
e vivere è stancarsi di sperare.
CANSANCIO
“April is the cruellest month…”
T.S. Eliot
Un nuevo mes abrasa los cuerpos
y evito nombrarlo
porque crueles son todos los meses:
la crueldad de ir tentándonos
con una boca más alta,
mientras el peso del aire nos vuelve
cada vez más pequeños
y menos amos de las cosas.
Que no vengan ya a mí las novedades.
Estoy cansado, profundamente cansado.
He subido promesa por promesa
esta larguísima escalera de meses,
y una oscura extensión de tierra
sigue cegando las ventanas.
¿Dónde la boca que nos tienta?
Avanzar no es lo mismo que ascender,
y vivir es cansarse de esperar.
KIND OF GREY
Immobile dinanzi al corso delle ore
sei corpo misurato di silenzio.
La sera è uno sbadiglio traboccato,
una lunga strada di necessità,
un orizzonte che si sgretola
-nessuna luce che sfugga dalla sua morsa meccanica-.
Ciascun amico naufraga nella sua quiete.
I libri e la musica intristiscono
come note di pioggia nel silenzio.
Né quelle sue labbra-sembra- potrebbero salvare
la tua sagoma dal grigio precipizio delle ore.
Sei questa intenzione incalcolabile,
questa infame verità sconcertante:
un uomo nero che cerca di smantellare
la presenza stagnante della sera,
ma che stanco d’essere uomo non sa come.
Certamente sembri aspettare qualcosa.
Forse stai attendendo quella chiamata impossibile
che esorti ai compiti dimenticati:
le alchimie capaci di fondere
fuoco, labbra, l’immenso e la vita.
Ma niente accade nel frattempo,
solo alcuni colombi
beccano sulla ringhiera
i resti del tedio della sera:
gli avanzi della tua vita senza progetto.
KIND OF GREY
Inmóvil frente al curso de las horas
eres cuerpo enfrentado de silencio.
La tarde es un bostezo desbordado,
una larga avenida de carencias,
un horizonte que se desmorona
-ninguna luz que escape de su estricta mecánica-.
Cada amigo naufraga en su quietud.
Los libros y la música entristecen
como notas de lluvia en el silencio.
Ni aquellos labios suyos –parece- salvarían
tu figura del gris precipicio de las horas.
Eres esta intención informulable,
esta infame verdad del desconcierto:
un hombre oscuro que busca quebrar
la presencia estancada de la tarde,
y que cansado de ser hombre no sabe cómo.
Sin embargo parece que algo esperas.
Quizá estés esperando esa llamada imposible
que invite a los oficios olvidados:
las alquimias capaces de fundir
fuego, labios, altura y vida.
Pero nada acontece mientras tanto,
únicamente unas palomas
picotean en la baranda
los pedazos de tedio de la tarde:
los restos de tu vida sin proyecto.
NEGLI ARMADI
A Juan Gómez Bárcena
Vivere è anche raccogliersi negli armadi:
una parola troppo aspra,
il travestimento del momento macchiato per sempre,
quel cappotto di tua madre
o una pezza d’azzurro intenso
senza stagione d’un così azzurro …
Vai vivendo la tua ritirata.
Misura bene la tua felicità presente
prima di appenderla come una gruccia.
Un giorno non entrerai più nell’armadio.
Ti stiperanno con il fuoco,
sotto l’aria.
EN LOS ARMARIOS
A Juan Gómez Bárcena
Vivir también es recogerse en los armarios:
una palabra demasiado áspera,
el disfraz del momento manchado para siempre,
aquél abrigo de tu madre
o una pieza de azul intenso
sin estación de tan azul...
Vas viviendo tu retirada.
Mide bien tu felicidad de ahora
antes de colgarla como una percha.
Un día no cabrás en los armarios,
te guardarán con fuego,
bajo aire.
SCALE SOPRA
Non vuoi la vita senza tutto il suo volume,
non è così piccolo il tuo destino.
A te appartiene l’ultimo canto,
il taglio verticale della pietra nell’aria.
Chi disse che fosse possibile
cantare la luce o fondare città,
saltare per le finestre di un corpo
senza sapere che saremmo caduti un giorno
a terra, lontani da qualsiasi corpo?
L’eternità è nostra per un momento,
tutto il resto è la stanchezza delle statue.
Un ultimo gradino fa più alta la vita.
ESCALERAS ARRIBA
No quieras la vida sin todo su tamaño,
no es tan pequeño tu destino.
A ti pertenece el último canto,
el corte vertical de la piedra en el aire.
¿Quién dijo que fuera posible
cantar la luz o fundar ciudades,
saltar por las ventanas de un cuerpo
sin saber que caeremos un día
a la tierra, lejos de todos los cuerpos?
La eternidad es nuestra por un momento,
lo demás es el cansancio de las estatuas.
Un último escalón hace más alta la vida.