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Jean Arp, il grande sadico eccezionale

Creato il 17 dicembre 2010 da Fabry2010

a cura di Loris Pattuelli

la farfalla impagliata diventa una fafarfalla impapagliata la fafarfalla impapagliata diventa una granfafarfalla grandinpapagliata. Davanti alla sua immensa finestra alta quanto quella di una cattedrale, il grande sadico eccezionale vibra come una budella elettrica piena di caucciù di niente.

Il grande sadico eccezionale è completamente nudo e strofinato di fosforo, questo lo rende macabro e decorativo. I suoi occhi come la sua lunga femminea capigliatura sono bianchi come aria strigliata. Il suo portamento è fiero e senza pietà come in tutti i veri grandi sadici stilizzati, brevettati, e che hanno diritto a una pensione di stato. Il grande sadico eccezionale disdegna di mangiare il suo tempo profumato nell’erba spenta, di portare i guanti bianchi rosati di coloro che trasportano i loro riscatti in una lettiera di luce tarata. Vibra come una budella elettrica piena di caucciù di niente, ho detto, e lo ripeto e lo ripeterò tante volte quanto sarà necessario. E’ ansioso di continuare il suo penoso lavoro augusto o alfonso come volete chiamarlo. Già i suoi domestici arrivano con coccodrilli, nonne, damerini, aeroplani, mosche eccetera deponendoli di fronte alla grande finestra.
In uno slancio diabolico e remunerato, con un grido gioioso di tirolese defenestratore che danza attorno a un lago di morchia, si precipita sugli oggetti accumulati e li getta dall’alta finestra maestosa. E’ la sua vita gettare dalla finestra tutto ciò che esiste. Piano, piano, piano supplicano gli elefanti intrepidi ma terrorizzati. Il grande sadico eccezionale non si arresta nel suo venerabile slancio. Tutto quello che gli portano i servitori di vivo o di morto, dolce o salato, pesante o leggero, egli lo getta dalla finestra: sigari, marinai, appartamenti, ferrovie, caffelatte, sex-appeals, case, funghi eccetera. La finestra è collocata a un’altezza sufficiente perché gli oggetti dopo la loro caduta si trasformino in marmellata d’aranci, che miliardi di bambinetti leccano come mosche con le loro piccole bocche. I bambinetti battono gioiosamente fra loro le manine e gridano, marmellata, marmellata, marmellata, verso la finestra del grande sadico eccezionale. E senza respiro, a forza di braccia, egli getta pianoforti, dirigibili, monumenti, diplomatici, eccetera dalla finestra. Egli schiumeggia, traspira, stride i denti e si rende conto che deve superare se stesso e coronare la sua opera già incommensurabile. Non avendo più nulla sottomano, strappa la sua capigliatura bianca, le sue mani, i suoi piedi, li getta dalla finestra, e finalmente getta dalla finestra ciò che ancora rimane di se stesso lanciando un grido terribile, mentre si trasforma, dopo la caduta, come tutti gli altri oggetti, con grande piacere dei miliardi di bambinetti, in marmellata d’arancio.

Jean Arp, Poesie, Quaderni della fenice 3, Guanda. (Traduzione di Vincenzo Accame).

LA NOSTRA TROMBETTA

Senza sosta la nostra trombetta cerca di suonare la sua nuova trombetta.
La nostra trombetta non è soltanto un buon trombetta, ma anche un signor trombetta.
Nient’altro di simile esiste oggi sulla faccia della terra.
La sua nuova trombetta, quest’inquietante creatura che svanisce in un mondo privo di materia, lui non è più capace di trattenerla.
In gioventù la nostra trombetta trovò un beccuccio, proprio là dove avrebbe dovuto esserci soltanto il nulla.
Poco più di uno sbaglio per questa vivace trombetta.
Vanamente lui adesso gonfia le sue guance come un pallone.
Quaggiù più nessun suono risuona.
Credo che la cosa riguardi le parti invisibili della trombetta.
Di quali e quanti sotterfugi sarà mai capace questa trombetta?
Si metterà anche lei a resistere? L’inquietante e smisurata creatura non produce neanche mezzo suono.
Guarda con quanta sfacciataggine adesso soffia dentro al nostro trombettista: trara trara trara!
Il nostro trombettista stramazza al suolo e si domanda se è mai stato una trombetta.
Certo non pensa di mollare.
Si mette a soffiare forte, fin quasi a perdere conoscenza.
La cosa non garba alla trombetta, che non può essere chiamata trombetta.
Prima violenta e poi malvagia, lei si agita come una biscia pestata.
Il nostro trombettista riprende subito conoscenza e con il pericolo arrivano anche le arti e il coraggio.
Altro piccolo istante di turbamento.
Lui si crede un ramo secco travestito da cascata, una scuderia piena di cavalli a dondolo, un familionario spudorato, una scimmia immatura che cade come un frutto dall’albero e chiede aiuto in un inglese incomprensibile.
Una volta e poi un’altra volta ancora appoggia le sue labbra alla trombetta, che non è una trombetta, e suona chiara e pura la sua aria preferita: “Le grand Knipperdolling”.
Lui suona.
La trombetta, che non è una trombetta, risponde.
Si può pensare che a forza di soffiare i due siano sul punto di scoppiare.
Il nostro trombettista soffia e soffia fino alla vittoria.
Mai il trombettista aveva soffiato così bene, ma la trombetta adesso pende dalle sue labbra come un diavolo vizzo, come uno straccio bagnato.

Jean Hans Arp, Sable de lune, Editions Arfuyen. (traduzione di Loris Pattuelli).

QUATTRO DONNE

Quattro fanciulle decidono di crescere fino a diventare donne.
Una volta diventate donne
sposano quattro uomini piccoli
e continuano a crescere
fin quasi a toccare il soffitto.
Per passare dalla porta
devono strisciare a quattro zampe.
Più le donne crescono
più gli uomini diminuiscono.
Prima per la sorpresa
di queste donne che continuano a crescere
poi per amore.
Il corpo degli uomini è ricoperto
di piume grigie e blu.
Gli uomini poco chiacchieroni
parlano sempre meno
cominciano a tubare
poi diventano ancora più taciturni
ma tubano e tubano.
Nel frattempo una delle quattro donne
dorme nella stanza
e continua a crescere e a crescere
dentro la stanza.
La sua massa compatta riempie tutta la stanza
con parti di essa che escono dagli infissi.
Suo marito è un cafone
e senza tanti complimenti
si dichiara stufo di tutta questa crescenza
tuba un’altra volta
e incomincia a volare.
La massa della moglie scoperchia la prigione
poi corre a nascondersi
nel primo abisso disponibile.
Gli altri tre uomini
restano fedeli alle loro gigantesse
e appollaiati sulle loro dita
tubano
e s’ingozzano di briciole di pane.

Jean Hans Arp, Sable de lune, Editions Arfuyen. (traduzione di Loris Pattuelli).



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