Magazine Cinema

Jersey boys

Creato il 22 giugno 2014 da Kelvin

JERSEY BOYS(id.)
di Clint Eastwood (Usa, 2014)
con John Lloyd Young, Vincent Piazza, Erich Bergen, Michael Lomenda, Christopher Walken, Mike Doyle
durata: 134 min.

Il New Jersey è la parte di New York che si estende oltre il George Washington Bridge, il ponte sul fiume Hudson. Giuridicamente è un altro stato, in pratica è la sterminata periferia della Grande Mela: quartieri popolari e ultraproletari dove negli anni '50 "c'erano solo tre modi per uscirne: o diventavi mafioso e potevi essere ucciso, o entravi nell'esercito e potevi tornare in una bara, oppure diventavi famoso..." Per molti ragazzi dell'epoca la terza opzione era praticamente un miraggio. Eppure quei quattro debosciati cresciuti nei bassifondi, che vediamo sorpresi dalla polizia a rubare maldestramente una cassaforte, erano destinati a un grande futuro: Tommy (leader senza talento ma con smisurata ambizione), Bob (la mente), Nick (la spalla), e soprattutto Frank, la voce, che canta in falsetto e incanta platee immense di giovani e giovanissimi, per quasi un ventennio scalarono le classifiche e fecero ballare milioni di persone, stregate dal loro sound.


JERSEY BOYS
Ai più potrà sembrare strano che sia l'ottantaquattrenne Clint 'cavaliere pallido' Eastwood a dirigere un musical su una delle band più popolari del secolo. Ma noi, che il vecchio Clint lo conosciamo bene, siamo da sempre al corrente della sua grande passione per la musica e abbiamo adorato i suoi due precedenti film a tema: il buffo Honkytonk Man e lo splendido Bird, uno dedicato alla musica country e l'altro a Charlie Parker, il re del jazz. Niente di strano quindi nel vederlo cimentarsi nella biografia dei Four Seasons, a loro modo antesignani dei Beatles e capaci di interpretare i sentimenti e le speranze di un'America non ancora travolta dagli scandali e dal Vietnam. Quattro ragazzi, mezzi delinquenti, cresciuti a spaghetti e mafia, che cantano i loro sogni e la loro voglia di libertà: all'inizio lo fanno soprattutto per rimorchiare le ragazze, poi però le cose diventano 'serie', così come le loro vite... e allora il film, fino a quel momento affettuosa ricostruzione storico-nostalgica di un tempo passato, diventa un'amara riflessione sull'amicizia, sui rapporti interpersonali, sui legami di sangue, sulle sfide che ognuno di noi deve affrontare per diventare 'grande' e, soprattutto, su quello che si è disposti a sopportare pur di non tradire i propri legàmi e i propri princìpi, anche nelle situazioni più estreme.
JERSEY BOYS
Attraverso la parabola dei Four Seasons, il disilluso Eastwood racconta ancora una volta la fine del Sogno Americano e le sue implicazioni: lo fa mostrandoci prima l'ascesa della band e il successo rapido e clamoroso, seguito dal lento e inesorabile declino dovuto, al solito, alla difficile convivenza con la notorietà. Il film è onesto e spietato nel mostrare le due facce della medaglia: da una parte la bella vita, i bagordi e i capricci da star, dall'altra il lato oscuro dello star-system: conflitti familiari, mogli e figli trascurati, amanti scontente, montagne di debiti accumulati con colpevole incoscienza, tipica di chi non è abituato a gestire i soldi facili... l'anello debole del gruppo è soprattutto Tommy, incapace di staccarsi dal cordone ombelicale che lo lega, soffocandolo, al suo passato e al suo quartiere, ai rapporti con la mafia, e che darà il via suo malgrado allo scioglimento del gruppo. Eppure Frank, pur avendo mille ragioni per farlo, non riesce ad abbandonare l'amico d'infanzia a cui deve praticamente tutto: si assumerà ogni responsabilità, continuerà a cantare per decenni, come solista, accettando qualsiasi ingaggio per ripagare i creditori fino all'ultimo centesimo.
JERSEY BOYS
Per questo Jersey Boys, a ben vedere, non è affatto un titolo 'anomalo' nella filmografia di Eastwood. Vi ritroviamo infatti tutti gli elementi fondanti del suo cinema, a cominciare dal passato che ritorna e che condiziona pesantemente il presente: non è forse lo stesso tema già trattato ne Gli Spietati, Mystic River e Million Dollar Baby, i suoi film più belli? A questo Eastwood aggiunge la sua 'passionaccia' per la musica popolare americana, sciogliendosi un po' e perfino autocitandosi con simpatia (per una frazione di secondo si vede una tv che proietta Rawhide, la serie western che lo vide esordire come attore...). Ne viene fuori un gran film, nostalgico e malinconico, inevitabilmente classico e struggente ma mai melenso, magnificamente interpretato da un quartetto di attori sconosciuti e bravissimi, gli stessi che impersonavano la versione teatrale da cui è tratto. Anche la regìa è in perfetto 'stile Clint': rigorosa, senza fronzoli, con neanche un'inquadratura sprecata, sobria eppure ancora una volta commovente: quando nel finale i quattro musicisti si ritrovano, tutti insieme, dopo quasi trent'anni per il loro ultimo concerto nella Rock'n Roll Hall of Fame, sulle note di 'Can't take my eyes off you', è praticamente impossibile trattenere le lacrime...

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :