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Altri invece vogliono ricondurre il Job Act ai documenti della passata gestione del Pd o alle proprie posizioni personali con una forma di egocentrismo. Tale posizione è incapace di guardare il futuro del lavoro in Italia e non prende in considerazione nuovi strumenti per affrontare l’iniquità del mercato del lavoro che si è prodotta fino ad oggi. Tra questi si citano l’alto tasso di disoccupazione in particolare quella giovanile e l’ampliamento a dismisura dell’area del lavoro precario. Questi fenomeni significano che le politiche economiche del passato sono fallite e che le regole e le norme del lavoro precario non sono servite a contenere ed a porre sotto controllo tale fenomeno caratterizzato dall’insicurezza e dalla incertezza delle nuove generazioni verso il futuro.
Le regole per essere efficaci devono essere applicabili e non devono ampliare l’area della non applicabilità della legge. Pertanto, se le norme che regolano il lavoro precario consentono di nascondere un rapporto di lavoro dipendente sottostante e di sfruttare le nuove generazioni al fine di trarne vantaggio sul costo del lavoro vanno abolite o nel migliore dei casi rivisitate.
Il documento di Matteo Renzi non si limita a dettare nuove regole del mercato del lavoro ma interviene a favore delle imprese e della creazione di nuovi posti di lavoro in quanto “non sono i provvedimenti di legge che creano lavoro, ma gli imprenditori”. Infatti interviene sui costi di produzione delle imprese per renderle più competitive nel mercato globale (energia, tasse, burocrazia ecc.) e sul costo del lavoro (tasse, cuneo fiscale). Inoltre individua i settori da sostenere con azioni operative e piani industriali (cultura, turismo, agricoltura e cibo, made in Italy, Ict, green economy, nuovo welfare, edilizia, manifattura). Tali interventi dovrebbero consentire l’aumento della base occupazionale.
Le nuove regole del mercato sono finalizzate ad introdurre nel sistema equità, il superamento del dualismo tra lavoratori protetti e lavoratori precari ed a ripensare e, quindi, cambiare gli istituti che non corrispondono a tali obiettivi.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro occorre considerare che fino a questo momento una efficace politica attiva del lavoro non è stata mai attuata in Italia se non in modo marginale ed inconcludente. La politica passiva del lavoro è presente nel nostro paese e non è integrata dalla riqualificazione professionale e dalla rioccupazione. Pertanto, la condizionalità delle prestazioni a sostegno del reddito è evanescente per assenza di una politica outplacement.
Matteo Renzi è stato il primo politico in Italia che ha introdotto la valutazione del tempo (velocità) nell’attuazione delle politiche. Nel caso particolare sembra che Renzi sia contenuto e cauto in un momento in cui l’occupazione è il primo vero problema dell’Italia. Faccio riferimento specifico a:
- “Semplificazione delle norme. Presentazione entro otto mesi di un codice del lavoro che racchiuda e semplifichi tutte le regole attualmente esistenti e sia ben comprensibile anche all’estero”. Si ritiene che tale intervento possa essere effettuato entro il mese di giugno per accelerare gli effetti di tale soluzione;
- “Processo verso un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti”. Anche in questo caso vanno indicati tempi certi e brevi. Le attività che formano il processo non sono indicate e si spera che il processo sia snello e veloce.
La semplificazione amministrativa e la trasparenza di cui si parla nel documento sono fattori fondamentali per attrarre gli investimenti esteri in Italia.
I servizi di outplacement, la riqualificazione dei centri per l’impiego, la formazione professionale sono tutti fattori dai quali dipende una efficace politica del lavoro. Nel caso contrario si investono risorse con risultati improduttivi sul piano occupazionale.
Le regole espresse nel documento sono senz’altro positive ma occorre approfondirle e completarle.
Occorre tenere presente che alcune proposte di Renzi sono già presenti nell’ordinamento: l’assegno universale (Aspi), condizionato all’accettazione del posto di lavoro, che sostituisca le altre forme di prestazioni a sostegno del reddito (indennità di mobilità, cassa integrazione in deroga). La Cig ordinaria contrazione del mercato, intemperie stagionali) e straordinaria (ristrutturazione aziendale) deve essere riportata alla sua funzione originaria di garantire il sostegno del reddito quando c’è realmente la prospettiva di riprendere il lavoro nella medesima azienda. Quindi, basta alla Cig in deroga per lunghi periodi di tempo che non consente ai lavoratori sospesi di riprendere il lavoro nella stessa azienda, di rientrare nel mercato del lavoro e di riqualificarsi. Quest’ultima forma di sostegno fa aumentare il lavoro nero, svaluta la professionalità ed il potere contrattuale dei lavoratori.
Attualmente i Centri per l’impiego registrano 9.865 dipendenti ed un costo di 464 milioni di cui per tre quarti destinato agli stipendi. Tali strutture sono fuori dal mercato e non posseggono le capacità e la professionalità per attuare una politica attiva del lavoro (rioccupazione e riqualificazione professionale). Senza una politica attiva del lavoro qualunque cambiamento delle regole del mercato del lavoro risulta infruttuoso. Per tali motivi ritengo che la proposta del senatore Pietro Ichino sul contratto di ricollocazione vada presa in considerazione perché consente, come dichiara lo stesso Ichino: 1)una stretta cooperazione fra uffici pubblici e agenzie private specializzate nell’assistenza intensiva ai disoccupati; 2) la possibilità per questi ultimi di scegliere liberamente l’agenzia da cui farsi assistere, tra quelle accreditate; 3)il pagamento del servizio da parte della Regione soltanto a risultato ottenuto; 4)un controllo efficace circa la disponibilità effettiva del disoccupato, dalla quale, entro limiti ragionevoli, deve essere fatta rigorosamente dipendere l’indennità di disoccupazione”.
Ritengo inoltre che la ripartizione delle competenze sul lavoro tra lo Stato e le Regioni vada rivista perché non ha funzionato ed è necessario realizzare una politica del lavoro unitaria e non inefficace e diversificata.
Per quanto riguarda la formazione professionale si ritiene che vadano introdotti alcuni indicatori di efficacia esempio la misurazione delle persone che si sono occupate grazie ai corsi di formazione professionale) e realizzati rapporti di collaborazione stretti e proficui tra le imprese e gli enti che gestiscono la formazione al fine di considerare le esigenze professionali delle imprese nell’attività formativa.
Il Job Act ha il merito di aver introdotto come priorità il lavoro nel dibattito politico con proposte che non sono ortodosse e che possono realizzare un nuovo equilibrio nel mercato del lavoro, abbandonando vecchie regole e strumenti che hanno ingessato il mercato del lavoro e mortificato l’equità tra i lavoratori, i disoccupati ed i lavoratori precari.
Adesso aspettiamo il documento completo per analizzarlo e capire il cambiamento che si vuole realizzare.
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