John Winston Lennon nacque a Liverpool nel 1940. Il papà Alfred, d’origine irlandese, era un marinaio, la mamma Julia una casalinga. Sembra si fosse trattato di un matrimonio un po’ affrettato, anche se non riparatore. John arrivò due anni dopo.
Complici le lunghe assenze del marito, Julia si concedeva delle divagazioni e presto si ritrovarono separati di fatto. Alfred si dileguò ma, prima, chiese al figlio se per caso volesse vivere con lui, non si sa bene dove; il piccolo rifiutò e si ritrovarono solo molti anni più tardi, quando il padre era moribondo.
John Lennon bambino con la zia Mimi
Julia ebbe tre bambine da più compagni. Non aveva tempo per badare a John e lo affidò alla propria sorella Mimi, sposata senza figli. La donna, dopo un’iniziale perplessità, si dedicò al piccolo con passione. John, in seguito, parlò con rispetto degli zii.
L’infanzia non fu particolarmente tribolata, considerati gli inizi difficili. Era prevedibile che John crescesse secondo i modelli sociali dell’epoca e del luogo: i gruppi giovanili girovagavano in cerca di risse nell’angiporto, in preda alle prime intemperanze alcoliche. Nel frattempo, arrivava dall’America la musica rock, portando in dote un indubbio vantaggio per i figli d’Albione: parlava inglese. Fu così che per molti di noi bambini e ragazzini italiani, dire Inghilterra e associarla alla musica fu tutt’uno: mentre fino a quel momento era stato l’ultimo degli interessi, da quelle parti.
John non sarebbe stato un cattivo studente, se seguito a dovere; era particolarmente portato per il disegno e coltivò quest’ hobby fino alla morte. Per il resto, le sue abitudini erano quelle dei ragazzi della sua età, in quel centro portuale che forniva qualche occasione di svago in più rispetto ad altre città, senza ovviamente uguagliare la capitale.
Biografi ostinati e indomiti hanno insinuato che in quegli anni lui abbia ucciso incidentalmente un coetaneo durante una rissa; e che abbia la responsabilità della morte di Stuart Stutcliffe, un caro compagno di bisbocce, giovanissimo. In uno slancio di violenza cameratesca da amiconi molto in confidenza, John lo avrebbe preso a calci in testa. Il povero “Stu” stava provando a entrare nel gruppo pur senza saper far nulla e, di lì a poco, un’emorragia interna gli fu fatale. La sua ragazza, una tedesca, aveva studiato le pettinature a frangetta della band.
Sentimentalmente John stava quasi a zero, poco incline, da buon inglese, a grandi gesti amorosi, anzi timido e maldestro. Ci fu l’apprendistato con qualche ragazza più grande, sotto l’arcigna disapprovazione di zia Mimi. Infine la dolce e giovanissima Cynthya Powell, che girava in kilt e twin set a colori pastello, riuscì ad attirare la sua attenzione e a “fermarlo” per qualche anno.
John e Cynthia
John non ne parlò mai molto, se non a pochi intimi. Lei era innamoratissima, lui chissà. A un certo punto la ragazza restò incinta e i due si sposarono in tutta fretta nel 1962, poco più che ventenni. Nell’aprile 1963 nacque il malinconico Julian, che il padre non riuscì mai a capire. Si giustificava affermando che il bambino aveva un carattere introverso e poco intraprendente, come la madre, ma in realtà lo trascurò fino alla fine e, dopo il secondo matrimonio, finì per vederlo poche volte l’ anno. Pare che passasse alla sua ex famiglia un mensile da fame, se rapportato ai suoi redditi. Dicono che “Hey Jude” sia stata dedicata da McCartney proprio a Julian, per confortarlo della sua triste condizione.
All’inizio i quattro giovanotti si facevano chiamare “Quarrymen” e seguivano la corrente musicale detta “Merseybeat” (dal nome della Mersey, fiume di Liverpool, NdR), insomma erano dei beat . Cos’erano dei beat? “Rocchettari” in salsa inglese. Per fare figo portavano i capelli un po’ lunghi con zazzere a coprire la fronte e all’inizio non se li filò nessuno. Erano magrolini con facce inespressive e poche ragazze al mondo li avrebbero trovati sexy.
John era forse ancora più impacciato degli altri. Nelle interviste dei primi anni si vede un ragazzo che fa strane smorfie e battute, così, tanto per fare. Il vero portavoce era il più accorto e disinvolto Paul. Gli altri due, non è che non contassero, ma contavano meno. Pare che John avesse uno strano carattere: si impuntava su principi inderogabili, ma incomprensibili ai più. Per molti, era solo un gran rompiballe. Aveva diciotto anni quando la madre morì investita da un’auto. Da poco erano ripresi i rapporti tra i due: fu un colpo durissimo.
La carriera dei Beatles iniziò in sordina in un locale “di giro” di Amburgo, molto adatto a gavette musicali per band emergenti o che mai sarebbero emerse. Ma loro ebbero fortuna, non si sa perché, forse per fortuna.
John è stato accusato di falsa eterosessualità. Ciò è assurdo, poiché evidentemente ebbe diverse storie d’amore con donne, avventure di ogni genere, periodi promiscui, relazioni parallele: in definitiva, tutto il bagaglio sentimental-sessuale della rockstar che si rispetti. Certo, era capace, nei suoi momenti di follia, di abbracciare e baciare sulla bocca un amico, dopo averlo fatto rotolare a terra con sé; o di uscirsene in affermazioni di affetto per altri maschi, senza inibizioni. Ma anche di criticare scherzosamente le canzoni dei rivali/amici Rolling Stones, definendole “da culattoni”. Era un personaggio fuori dagli schemi e poco prudente nelle affermazioni, senza dubbio. Basti pensare a quando disse che i Beatles erano più famosi di Gesù Cristo. Chiaramente desiderava solo esprimere lo stupore che gli stessi quattro dovevano provare, assistendo al delirio che avevano provocato. In quella fase, davvero i media parlavano più di loro che di qualunque altro argomento. Ma ne nacque un putiferio.
Poi c’era il loro manager, Brian Epstein. Di lui si è detto molto e forse non tutto il merito del successo della band gli va attribuito. Il lavoro fu corale e distribuito nel tempo tra varie figure, tra cui spicca George Martin. Epstein non li mollava un attimo; era, in pratica, il quinto Beatle e così fu definito da John il giorno in cui si seppe che Brian si era suicidato. Partì un vespaio di pettegolezzi: era gay, innamorato di Lennon, si era ucciso perché, dopo un’iniziale breve relazione, John avrebbe troncato per ovvii motivi.
Lennon in una immagine di fine anni ’60
Il successo dei Beatles è innegabile; fu maggiore nei paesi di lingua inglese, buono nel resto dell’Europa e del mondo occidentale. L’onda lunga è arrivata un po’ ovunque, ma il tutto durò otto anni, dal 1962 al 1970.
I “fab four” , a corto di voce, non amavano le tournée dal vivo e facevano di tutto per evitarle, finché riuscirono a smettere. Va registrato anche il contenuto riscontro che trovarono in Italia, nel 1965. Non ci fu una particolare esaltazione, eppure erano i tempi del Piper, dei beatnicks e dei capelloni. Naturalmente non mancarono una vivace curiosità e un certo entusiasmo giovanile, del tutto comprensibili.
Incontenibile invece fu la gazzarra negli Stati Uniti, con grave disappunto dei gruppi locali, e dell’ambiente musicale in genere, che si riteneva defraudato dai “copioni” inglesi e dagli altri che nel frattempo si stavano affermando. Si parlò di “british invasion”. Gli USA, con John in particolare, non furono mai teneri.
La regina Elisabetta elargì loro il titolo di “baronetti”. Qualche anno dopo John lo restituì e raccontò che, in attesa di essere ricevuti dalla sovrana, prima della cerimonia, lui e gli altri tre avevano fumato erba nei bagni di Buckingham Palace.
Il governo laburista li corteggiava, per accattivarsi le simpatie dei più giovani. Il gruppo rappresentava un’espressione popolare, utile a far dimenticare i guai della disoccupazione e della decadenza economica. Titoli e simpatie li tennero al riparo per un po’ dalle perquisizioni poliziesche, allora frequentissime, da parte dei governi decisi a dimostrare di non guardare in faccia a nessuno quando si trattava di lotta alla droga. Dopo le irruzioni “a sorpresa”, laddove un cantante dormiva tranquillamente in compagnia delle sue belle e della sua roba, la casa discografica pagava una cauzione e tutto finiva lì.
Il capitolo “sostanze” non è molto originale. Un po’ di tutto e di più, come si dice, ma John non fu mai un “drogato” per antonomasia, alla Morrison e alla Hendrix: rientrava nella categoria dei consumatori di alto bordo. E’ stato osservato che i testi delle canzoni dei Beatles fanno spesso riferimento all’uso di stupefacenti, in maniera più o meno velata ( un esempio per tutti “Lucy in the sky with diamonds”).
John Lennon con suo figlio Julian e la sua colorata Rolls Royce
Lennon praticava sport a intermittenza, con lunghi periodi di inattività, durante i quali viveva e lavorava praticamente a letto. Poco amante della guida, tutt’al più si divertiva in gare puerili con gli altri tre, ammaccando delle fuoriserie. Infine ebbe un incidente, in una delle rarissime occasioni in cui si era concesso una gita con Yoko e i rispettivi figli, e gli passò la voglia. Optò per una Rolls bizzarramente dipinta, condotta dall’autista di fiducia Les Anthony, che ha riferito di alcune cosette che vi accadevano. Diversi anni dopo acquistò una Mercedes Station Wagon, poi venduta alle aste per collezionisti.
Amava i comportamenti intellettuali e l’ironia fine; se era di buon umore e non in preda ad uno dei suoi temibili attacchi di collera, si rivelava sagace e spiritoso, divertente e profondo. Forse per questo rimase attratto da Yoko Ono, artista alternativa di stanza a New York, specializzata in arte concettuale e nota per organizzare eventi “off”.
Era l’epoca della cultura hippy e delle nuove forme di arte figurativa. Stava emergendo Andy Warhol, un bizzarro ometto d’origine ruteno/slovacca, sul cui talento artistico ancora si discute, proprietario di una “factory” di artisti e strambi compagni di vita. Andy, noto anche per l’abitudine a portare sempre strane parrucche, sosteneva che tutti dovrebbero godere di un quarto d’ora di celebrità.
Yoko, classe 1933, che ne desiderava più di un quarto d’ora, era una giapponese cresciuta in America, altolocata, già due volte divorziata, con una figlia che non vedeva mai (qualcosa in comune con il futuro marito). Non bella, al massimo interessante, se necessario si atteggiava a materna con John, sicura di sé, pronta a condividere le esperienze estreme e portata alle scienze esoteriche: Cynthia non aveva alcuna speranza e dovette farsi da parte. Dopo aver subito tradimenti e lo smacco finale, Cynthia, l’ abbandonata, in un momento di rabbia si fece beccare con un tipo, un laido che spifferò tutto. Gli avvocati di John lo convinsero a motivare il divorzio come vittima, lui, di un adulterio (mentre ne era il primo responsabile). Da questo episodio il futuro femminista Lennon esce peggio dell’ultimo maschilista mediterraneo. In compenso, si svenava per finanziare le iniziative artistiche della nuova compagna, che, in verità, pur interessanti e innovative, erano apprezzate da pochi e assai costose.
John e Yoko nei primi tempi della loro relazione.
Yoko si infilava sempre nelle sedute di registrazione degli ultimi album, senza schiodarsi. Interferiva significativamente. minando la coesione del gruppo. Metteva becco, mentre il marito fingeva di subirne le attenzioni. John , ricordiamo, per natura non era remissivo. Probabilmente “usava” la figura di lei per levarsi dalla band, ormai saturo dell’esperienza con gli altri.
I due, dopo il matrimonio nel 1969 a Gibilterra, desideravano a tutti i costi un figlio: lei subì almeno un aborto spontaneo. Si separarono per più di un anno, durante il quale John si mise con la loro segretaria nippo-americana, Mai Pang; la tresca veniva supervisionata da Yoko, che la interruppe d’autorità e si riprese il marito.
Come premio di riconciliazione, nel 1975 la quarantaduenne signora fece bingo e nacque Sean, il 9 ottobre, lo stesso giorno del padre.
Ripartì una raffica di supposizioni. Yoko era “anziana” e anche dedita alle droghe; i tentativi degli anni precedenti erano andati a vuoto; secondo le testimonianza dei soliti linguacciuti amici, i due si vedevano assai poco: come accidenti era potuto succedere che lei rimanesse incinta? Si insiste su una fecondazione artificiale, allora non ancora sdoganata ufficialmente.
Comunque accadde e John era euforico; un altro smacco per il triste primogenito Julian, in balìa della sequela di mariti di Cynthia e patrigni provvisori per lui. Come non bastasse, John spendeva denari ed energie in quantità per ritrovare Kyoko Cox, la figlia di primo letto di Yoko, tenuta nascosta dal padre legittimo. Si riferiva alla bambina come ad una figlia naturale e scelse di vivere negli USA anche per consentire alla moglie di starle vicina.
John, assunto il cognome di Yoko, lo aggiunse anche a Sean. Si dedicò al bambino, lasciando alla moglie l’amministrazione del patrimonio familiare, ma non trascurò di aiutarla nella sua autonoma carriera di artista: la fece addirittura cantare accompagnata da Eric Clapton. L’ambiente dei musicisti sghignazzava. In realtà dai filmati si intuisce il disagio della donna, impegnata a stare al passo con un uomo difficile. In ogni caso, Lennon si fece una reputazione di maschio aperto e femminista, per lo spazio concesso alla moglie.
Passò poi per pacifista incallito, grazie ai “bed in”, a canzoni come “Imagine” e, di più, per la sua vicinanza ai “sette di Chicago”, intellettuali e attivisti impegnati contro la guerra del Vietnam, come la famosa Angela Davis e il futuro parlamentare Tom Hayden, per un po’ marito di Jane Fonda. Il gruppo era monitorato dall’FBI di Hoover e qualcuno afferma che si spendevano più dollari per controllare loro che per ricercare gli ex nazisti. Perfino Elvis Presly, riscopertosi patriota, trovò da ridire: li accusò di deviare la gioventù, rivelando un moralismo sconcertante e la solita fifa del “falce e martello” made in USA”.
Lennon ebbe fama, contraddittoriamente, di gran taccagno e di finanziatore dell’IRA per via delle proprie origini irlandesi. Canzoni come “Working class hero” o “Power to the people” gli procurarono, per buona misura, un’accusa di filo comunismo, rafforzata da documenti FBI, resi pubblici nel 2000, che sostenevano finanziasse pure il partito trotskista di Vanessa Redgrave. Vuoi per tutto ciò, vuoi per il continuo uso di sostanze, c’erano sempre difficoltà con il visto per gli USA e non si parlò mai, per lui, di ottenerne la cittadinanza; con Yoko si stabilirono comunque al residence di lusso “Dakota”, a Manhattan, tetro edificio, non amato dai superstiziosi. I Lennon dichiararono (non a torto) che decine di popstar strafatte e dal comportamento riprovevole venivano osannate negli USA e non si capiva perché solo loro venissero perseguitati. In realtà la ragione era fin troppo chiara, ma è ipotizzabile che i federali avessero travisato le opinioni del cantante, più vicino a un libertario anarcoide che a un comunista dal cucchiaio d’oro – o forse proprio per questo più pericoloso.
In apparenza comandava la signora. Per farsi accettare dall’alta società obbligava il marito a frequentare ricevimenti mondani “perbene”, ma pare che lui si prendesse qualche rivincita sottoforma di plateali tradimenti.
I detrattori della giapponese sostenevano che fosse lei a tradire, attribuendole un debole per i gay, che avrebbero accettato la sua compagnia per soldi. Si parlò anche di percosse. Un bel mucchio di fango sulla coppietta: qualcuno sostiene che in realtà il divorzio era vicino e solo la morte di John l’ha evitato.
Il 1980 si annunciava radioso. John, quarantenne, pronto a riemergere come artista con il suo nuovo disco, stava imparando a condurre le imbarcazioni, deciso a farne il suo prossimo hobby. In primavera andò incontro a un fortunale nell’oceano Atlantico e quasi ci rimise le penne: deve aver pensato di averla scampata bella.
Con Yoko girarono i video dell’album, che conteneva plateali dichiarazioni d’amore alla moglie (“Woman”) e promesse di impegno a ricostruire l’affiatamento (“Starting over”). Come era già accaduto, i due si mostrarono nudi.
Secondo alcuni critici, il disco, dopo una buona partenza, stava già precipitando in classifica a poche settimane dall’uscita. Le paranoie di Mark Chapman, che sparò a John l’8 dicembre 1980, rimescolarono le carte e, da quel momento, i dischi di Lennon non hanno praticamente mai smesso di vendere a ritmi elevati.
Mark Chapman nella foto segnaletica della polizia di New York del 9 dicembre 1980. L’assassino di John Lennon è ancora in carcere.
John, solito ad andarsene in giro come un normale cittadino abbiente, senza scorte particolari, poche ore prima aveva firmato un autografo al suo assassino, appostato dalla mattina davanti al residence, insieme ad altri fans. Si trattava di un tipo grassoccio e inquietante, sposato, residente alle Hawaii, conosciuto per comportamenti devianti, conseguenti alla solita infanzia difficile. Chapman, dopo l’evento, a propria giustificazione, additò l’incoerenza di John, che predicava l’uguaglianza e l’amore vivendo da nababbo. Un’accusa quasi ingiusta per l’ex beatle, che ostentava meno di altri la sua ricchezza, vivendo quasi al di sotto delle sue possibilità.
Si è parlato di misteri, di servizi segreti, di ambienti che ce l’avrebbero avuta con John per questo o quel motivo. Tanto per cambiare, si puntò il dito sulla vedova, rea di non mostrarsi abbastanza addolorata. Anche in questo caso si pescava nel torbido inutilmente. Yoko non era tipo da manifestare i suoi sentimenti, per carattere ed educazione. Certo si preoccupava poco del parere della gente, visto che fece cremare il marito in tutta fretta e non si sa dove siano finite le ceneri.
Chapman fu condannato al minimo di 20 anni, scontati i quali avrebbe potuto uscire con il consenso di Yoko. Lei lo ha sempre negato “per salvaguardare l’incolumità dei figli di John e mia”. Non si fida dell’assassino, benché lui non abbia mai perso occasione, nelle interviste, per lodare la signorilità e la forza d’animo di lei.
Si tratta di qualità che Yoko aveva riacquistato, a detta di chi la conosceva bene, soprattutto da vedova. E’ stato osservato che l’impegno di seguire la carriera del marito, esserne all’altezza, fronteggiare la stampa e fare anche la moglie l’aveva molto provata, fisicamente e psicologicamente. Poco dopo la disgrazia riprovò con il canto, stroncata dai critici, come al solito. Poi lasciò perdere e si ritirò a vita privata. Dicono che sia diventata un’altra persona, rilassata e affettuosa.
A Cuba è stata dedicata una statua a John. Lui ne avrebbe sorriso, divertito. A Central Park, Yoko ha voluto la creazione dello spazio denominato “Strawberry Fields”, dove campeggia un cerchio colorato con al centro la scritta “Imagine”, meta di un pellegrinaggio ininterrotto. Lennon adorava NY.
Infine, perché John? Perché qualcuno, come la sottoscritta, che non ha mai tenuto i poster di chicchessia in camera nemmeno a tredici anni e detesta il culto della personalità, ha eletto a suo mentore costui? Una nonenciclopedia senza guantoni, potremmo tentarla a nostra volta, per non essere accusati di idolatria.
Lennon 1.0 . Un ragazzotto inglese, teppistello, autodidatta, per una botta di culo da competizione, si ritrova rocker nel momento giusto, nell’era dei gruppi; anzi, secondo alcuni, fantoccio, insieme ai compagni, al posto di veri musicisti che componevano i pezzi e suonavano nelle registrazioni, mentre loro dal vivo arrivavano al massimo al rango di gruppo da cantina: marionette di un teatrino organizzato da forze occulte per ringiovanire l’immagine della monarchia.
Il tipo si prende molto sul serio e, anziché godersi il successo, diventa insofferente alle regole, molla la famiglia, sposa una nippo-chic perché gli “fa figo” e per lei spende inutili miliardi nel tentativo di farne una cantante, fa il buffone nei locali quando è strafatto o sbronzo (memorabile una peregrina apparizione al Trobadour di LA); si mette in proprio e sforna pezzi naif, diventando la caricatura del pacifista miliardario. Ha un carattere orribile ed è un padre degenere col primogenito. Tuttavia, credendosi amato da tutti, va in giro per la città come gli pare, così il solito pazzoide, che negli USA non manca mai e forse aveva visto qualcosa del genere in Nashville di Altman, lo fredda per sfizio.
Lennon 2.0. Bambino cresciuto senza genitori, si salvò per la passione musicale. Messa incinta la fidanzatina, fece il suo dovere e la sposò, ma lei non riuscì a tenere il passo con il travolgente successo e un giorno addirittura perse il treno su cui dovevano salire tutti i Beatles con le consorti. Julian crebbe come tanti figli di divorziati vip. Lennon poteva avere tutte le ragazzine che voleva, ma si risposò con una donna intrigante e difficile, perchè in una compagna cercava un ideale completamento. Anche se il matrimonio ebbe le sue tempeste, non si può dire che non si siano amati e lui è ricordato da Sean come un papà affettuoso e dedito. L’uso di droghe non ne fa certo un’eccezione, ma non si diede mai a spaccare oggetti o arredi d’albergo come tante altre stupide rockstar. Era leale con i colleghi e ammirava Mike Jagger, suo amico. Cercò sempre di perfezionarsi nella sua arte e aveva una voce suadente, che usava alla perfezione. Convinto delle sue idee, le perseguì ingenuamente, ma sinceramente. Cercava conforto nelle filosofie e nelle religioni, le studiò, non aderì ad alcuna ma definiva Dio ” il nostro rapporto con il dolore”, la vita ” quella cosa che capita quando siamo impegnati in altro” e la donna ” the nigger of the world”. Fu un moderno filosofo pop e tutto ciò che auspicava in Imagine è esattamente ciò che il mondo dovrebbe fare, mentre ha perseverato nel suo contrario, con i risultati che vediamo.
Abbiamo un altro John, però. Siamo già al 3.0. Ultimamente qualcuno ha sostenuto che Lennon vedeva di buon occhio l’elezione di Reagan. E noi pensiamo che, se fosse ancora tra noi, avrebbe qualche parola di comprensione per Berlusconi. Vi spieghiamo perché riteniamo verosimile sia la prima supposizione, fatta da suoi conoscenti, che la seconda, di nostra produzione.
Ronald Reagan era stato un libertario governatore della California, prima di diventare un parruccone reazionario, manovrato da una cricca che ne sfruttava il rimbambimento da Alzheimer. E John credeva alle persone. Ci piace pensare che tentò di chiamarlo a sé, visto che, due mesi dopo la sua morte, il presidente neo eletto stava per fare esattamente la sua stessa fine….
Berlusconi crede di essere davvero qualcuno che può salvare il mondo, è un visionario, perfino senza prendere droghe; la gragnuola di critiche che gli piovono sempre addosso avrebbe esaltato in John i suoi ferrei principi voltairiani. Lasciatelo parlare, avrebbe replicato, tutti ne hanno diritto. E’ un’idea, qualcosa di umano, vale di per se stessa.
Ecco, quando proprio non riusciamo a capacitarci dell’esistenza del “ras di Arcore”, il pensiero corre a John Winston Lennon: lui è il nostro rapporto con il non amore, con il dolore.
[Fonti. " The lives of John Lennon" di Albert Goldman; History Channel; Nat Geo; Columbus, dell'autrice.]
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